Quando raggiunse l’appartamento di Rusch, erano appena passate le otto di sera. «La ringrazio per avermi ricevuto» disse Theo.
Rusch era sui trentacinque: magro, capelli biondi, occhi del colore della grafite. Si fece di lato per lasciare entrare Theo nel piccolo appartamento, ma non sembrò affatto contento di avere un visitatore in casa. «Devo dirglielo» esordì, in inglese. «Vorrei che lei non fosse venuto. Questo è un momento molto difficile per me.»
«Eh?»
«Ho perso mia moglie durante… come diavolo lo chiamate? La stampa tedesca l’ha definito Der Zwischenfall… l’incidente.» Scosse la testa. «A me sembra un nome del tutto inadeguato.»
«Mi dispiace.»
«Ero in casa quando è successo. Di martedì non insegno.»
«Insegna?»
«Sono professore associato di chimica. Ma mia moglie… è rimasta uccisa mentre tornava a casa dal lavoro.»
«Sono davvero dispiaciuto» disse Theo con sincerità.
Rusch alzò le spalle. «Questo non la riporterà indietro.»
Theo annuì, concedendo il punto all’altro. Fu contento, comunque, che Béranger avesse impedito a Lloyd di rendere pubblico il coinvolgimento del CERN nell’incidente… era convinto che Rusch, se lo avesse saputo, non gli avrebbe nemmeno parlato.
«Come mi ha trovato?»
«Informazione riservata… Ne ho ricevute parecchie. La gente sembra affascinata dalla mia… dalla mia ricerca. Qualcuno mi ha scritto un’email dicendomi di avere saputo che lei, nella sua visione, ha visto alla televisione qualcosa che riguarda la mia morte.»
«Chi è stato?»
«Uno dei suoi vicini. Non credo che importi sapere chi è.» In effetti Theo non era legato alla segretezza, ma non gli sembrava nemmeno prudente rivelare il nome della sua fonte. «Per favore,» disse «ho fatto un lungo viaggio, con una spesa considerevole, per parlare con lei. Dev’esserci qualcosa di più che lei può dirmi, rispetto a quanto mi ha detto al telefono.»
Rusch sembrò ammorbidirsi un poco. «Credo di sì. La prego di scusarmi. Lei non ha idea di quanto amassi mia moglie.»
Theo diede un’occhiata alla stanza. C’era una foto su una libreria bassa: Rusch, almeno una decina di anni più giovane di adesso, e una splendida ragazza dai capelli neri. «È lei?» gli domandò.
Sembrò che il cuore di Rusch avesse mancato un battito… quasi che Theo avesse indicato sua moglie in carne e ossa, miracolosamente restituita alla vita. Ma poi i suoi occhi si posarono sulla fotografia. «Sì» rispose.
«È bellissima.»
«Grazie» farfugliò Rusch.
Theo attese qualche secondo, poi riprese, semplicemente: «Ho parlato con qualcuno che ha letto articoli di giornale o su Internet riguardo al mio… al mio omicidio, ma lei è il primo che abbia davvero visto qualcosa in TV. La prego, che cosa può dirmi in proposito?»
Alla fine Rusch fece cenno a Theo di sedersi, cosa che lui fece, accanto alla fotografia della defunta frau Rusch. Sul tavolino c’era un vassoio pieno di grappoli d’uva… probabilmente una delle nuove varietà geneticamente modificate che rimanevano fresche e saporite anche fuori dal frigo.
«Non c’è molto da dire» cominciò Rusch. «Anche se, adesso che ci ripenso, c’era una cosa strana. Il notiziario non era in tedesco. Anzi, era proprio in francese. E qui in Germania non si prendono molte emittenti francesi.»
«C’erano le lettere di qualche sigla, o un logo della rete?»
«Oh, probabilmente… ma non ci ho fatto troppo caso.»
«Il giornalista… lo ha riconosciuto?»
«La giornalista. No. Era in gamba, però. Molto sveglia. Ma non c’è da stupirsi che non l’abbia riconosciuta; non aveva certamente più di trent’anni, il che vuol dire che oggi deve averne meno di dieci.»
«C’era scritto il suo nome in sovrimpressione? Se riesco a rintracciarla oggi, naturalmente la sua visione sarà quella in cui legge quel notiziario, e magari si ricorderà qualcosa che lei non ricorda.»
«Non stavo seguendo un notiziario dal vivo: era registrato. La mia visione è iniziata con me che mandavo il nastro avanti veloce, però non usavo un telecomando. Direi che il registratore rispondeva alla mia voce. Il nastro era in avanzamento veloce, ma non era una videocassetta; l’immagine accelerata era assolutamente scorrevole, senza effetto neve o salti d’immagine.» Fece una pausa. «Comunque, appena è apparsa una grafica dietro la giornalista che mostrava una sua fotografia — era lei, mi è sembrato, anche se naturalmente più vecchio — ho bloccato l’avanzamento e ho cominciato a guardare. Le parole della grafica dicevano: ‘Un savant tue’… morte di uno scienziato. Immagino che quel titolo mi abbia incuriosito, lei capisce, essendo uno scienziato anch’io.»
«E ha guardato tutto il servizio?»
«Sì.»
Un pensiero trafisse il cervello di Theo. Se Rusch aveva seguito l’intero servizio, allora doveva essere durato meno di due minuti. Naturalmente tre minuti erano un’eternità, in televisione, ma…
Ma la sua intera vita raccontata in meno di un minuto e quarantatrè secondi…
«Che diceva la giornalista?» chiese Theo. «Qualsiasi cosa lei possa ricordare mi sarà molto utile.»
«Onestamente non ricordo molto. Io sembravo interessato, ma… insomma, io credo di essere stato preda del panico. Voglio dire, che diavolo stava succedendo? Io ero seduto al tavolo della cucina, proprio lì, a sorseggiare il caffè e a leggere alcuni compiti degli studenti, quando all’improvviso cambia tutto. L’ultima cosa che mi interessava era prestare attenzione ai particolari di un servizio su qualcuno che nemmeno conoscevo.»
«Mi rendo conto che lei deve essersi sentito molto disorientato» disse Theo, ma non avendo avuto una visione lui stesso ebbe il forte sospetto che in realtà non se ne rendesse affatto conto. «Però, come le ho detto, qualunque particolare le venga in mente mi sarebbe utilissimo.»
«Be’, la donna ha detto che lei era uno scienziato… un fisico, mi pare. È giusto?»
«Sì.»
«E ha detto che lei aveva — avrà — quarantotto anni.»
Theo annuì.
«E ha detto che le avevano sparato.»
«Ha detto dove?»
«Ah, al petto, mi sembra.»
«No, no. Intendevo dove mi hanno sparato… in quale posto.»
«Temo di no.»
«È stato al CERN?»
«Ha detto che lei lavorava al CERN, ma… non ricordo di averla sentita dire che quello è il luogo in cui lei è stato ucciso. Mi dispiace.»
«Ha fatto cenno a un palazzetto dello sport? A un incontro di pugilato?»
Rusch sembrò sorpreso da quella domanda. «No.»
«Ricorda qualcos’altro?»
«No, mi dispiace.»
«Qual è stato il servizio che è andato in onda subito dopo il mio?» Non sapeva perché gli avesse fatto quella domanda… forse per vedere a quale gradino lo avevano collocato nella scala della gerarchia sociale.
«Mi spiace, non lo so. Non ho seguito il resto del notiziario. Quando è finito il servizio su di lei hanno mandato la pubblicità… di una ditta che crea bambini progettati su misura: quello mi affascinava — affascinava il me stesso del 2009 — ma il me stesso del 2030 non sembrava minimamente interessato, e ha spento il… be’, non era proprio un televisore, naturalmente: era una specie di schermo piatto luminoso, appeso al muro… lui ha pronunciato la parola ‘spegni’ e quello è diventato buio, proprio così, all’improvviso. Poi lui — io — noi ci siamo voltati e… credo che fosse la stanza di un albergo, c’erano due grossi letti. Sono andato a sdraiarmi su uno dei letti, tutto vestito. E ho trascorso il resto del tempo a fissare il soffitto, finché la mia visione è finita e mi sono ritrovato al tavolo della cucina.» Fece una pausa. «Avevo un grosso bernoccolo sulla testa, naturalmente; all’inizio della visione avevo sbattuto contro il tavolo. E mi ero anche versato il caffè bollente sulla mano; devo aver rovesciato la tazza quando sono caduto in avanti. Sono stato fortunato di non essermi procurato una brutta bruciatura. Mi ci è voluto un bel po’ prima di ritrovare la lucidità, e poi mi sono reso conto che tutti i residenti del palazzo avevano avuto lo stesso tipo di allucinazione. Allora ho cercato di chiamare mia moglie, solo per scoprire che… che…» Deglutì a fatica. «Ci hanno messo un po’ a trovarla o, almeno, a mettersi in contatto con me. Stava salendo una ripida rampa di scale, mentre risaliva dalla metropolitana. Era quasi arrivata in cima, secondo alcuni testimoni, poi ha perso i sensi ed è caduta all’indietro per sei o sette gradini. Cadendo si è spezzata il collo.»