«Mio Dio» esclamò Theo. «Mi dispiace.»
Stavolta Rusch annuì, accettando semplicemente il commento.
Tra i due non c’era altro da dire, e per di più Theo doveva tornare all’aeroporto; non voleva sobbarcarsi la spesa di una stanza d’albergo a Berlino.
«La ringrazio molto per avermi dedicato il suo tempo» disse Theo. Infilò la mano in tasca e ne trasse un biglietto da visita. «Se le viene in mente qualche altra cosa che ritiene possa essermi utile, le sarei molto grato se mi telefonasse o mi inviasse un’email.» Porse a Rusch il cartoncino.
L’uomo lo prese, ma non lo degnò di uno sguardo. Theo se ne andò.
Il giorno dopo Lloyd si recò di nuovo nell’ufficio di Béranger. Questa volta il tragitto richiese ancora più tempo: Lloyd venne atteso al varco da un gruppo che sosteneva la teoria del campo unificato, e che era diretto verso il Centro computer. Quando finalmente riuscì a raggiungere l’ufficio di Béranger, Lloyd esordì: «Mi dispiace, Gaston, lei può cacciarmi, ma io ho intenzione di rendere nota la faccenda.» «Mi sembrava di avere detto chiaramente…» «Dobbiamo renderla nota. Mi ascolti, ho appena avuto una conversazione con Theo. Lo sa che ieri è stato in Germania?»
«Non posso tenere nota dell’andirivieni di tremila dipendenti.»
«È stato in Germania… ha avuto un’informazione dell’ultima ora e ha trovato un volo a tariffa economica. Perché? Perché la gente ha paura di volare. Il mondo intero è ancora paralizzato, Gaston. Tutti hanno paura che la dislocazione temporale si ripeta di nuovo. Controlli i notiziari alla TV, se non mi crede; io l’ho fatto. Evitano ogni attività sportiva, prendono la macchina solo quando non possono proprio farne a meno, e non viaggiano in aereo. È come se… come se aspettassero il colpo di grazia.» Lloyd ripensò di nuovo a suo padre, quando aveva annunciato che se ne sarebbe andato via. «Ma questo non succederà, no? Finché non replicheremo ciò che stavamo facendo non c’è alcun modo in cui si possa ripetere il fenomeno. Non possiamo lasciare il mondo in sospeso. Abbiano già fatto abbastanza danni. Non possiamo permettere che la gente abbia paura di vivere la propria vita, di tornare a un’esistenza — per quanto possibile — simile a quella di prima.»
Béranger sembrò riflettere su quell’affermazione.
«Andiamo, Gaston. Prima o poi qualcuno lo verrà a sapere.»
Béranger sospirò. «Lo so. Crede che non lo sappia? Non voglio fare dell’ostruzionismo. Ma dobbiamo pensare alle conseguenze… alle conseguenze legali.»
«Sarà certamente meglio che lo comunichiamo spontaneamente, invece di attendere che qualcuno lo venga a sapere e diffonda la notizia.»
Béranger fissò a lungo il soffitto. «Io so che non le piaccio» disse, evitando di incontrare lo sguardo di Lloyd, il quale aprì la bocca per replicare, ma fu tacitato dalla mano alzata di Béranger. «Non si prenda il disturbo di negarlo. Non ci siamo mai frequentati, non siamo mai stati amici. In parte è una cosa naturale, certo… succede in tutti i centri scientifici del mondo. Scienziati convinti che gli amministratori esistano solo per mettergli i bastoni fra le ruote. Amministratori che si comportano come se gli scienziati fossero un inconveniente, invece che il cuore e l’anima della struttura. Ma c’è qualcosa di più, vero? Qualunque fosse il nostro incarico, io non le piacerei lo stesso. Prima non mi ero mai soffermato a riflettere su queste cose. Sapevo sempre che a qualcuno non piacevo e non sarei mai piaciuto, ma non pensavo che fosse colpa mia.» Si interruppe, poi si strinse appena nelle spalle. «Ma forse lo è. Io non le ho mai detto che cosa c’era nella mia visione… e non ho intenzione di dirglielo adesso. Ma mi ha fatto pensare. Forse sono in guerra con lei da troppo tempo. Lei è convinto che dovremmo rivelare tutto all’opinione pubblica? Cristo, io non so se sia la cosa giusta da fare oppure no. Non sono nemmeno convinto che non farlo sia la cosa giusta.»
Fece un’altra pausa. «A proposito, abbiamo trovato un parallelo… qualcosa da gettare in pasto alla stampa se dovesse mettere il naso qui, un’analogia per dimostrare perché non siamo colpevoli.»
Lloyd sollevò le ciglia.
«Il crollo del ponte di Tacoma Narrows» disse Béranger.
Lloyd annuì. Il mattino presto del 7 novembre 1940 il ripiano del ponte sospeso di Tacoma Narrows, nello stato di Washington, cominciò a ondeggiare. Ben presto l’intero ponte si mise a oscillare su e giù, deformandosi in modo vistoso, e alla fine crollò. Gli studenti di fisica dei licei di tutto il mondo avevano visto il filmato, e per decenni era stata data la spiegazione più attendibile: che forse il vento aveva generato una risonanza naturale con il ponte, facendo sì che oscillasse a ondate.
I progettisti del ponte avrebbero dovuto sicuramente prevedere tutto ciò, aveva detto allora la gente; in fin dei conti la risonanza richiede grande precisione — se non fosse così qualsiasi cantante potrebbe frantumare un bicchiere di vino — e i venti casuali quasi certamente non possono produrla. No, nel 1990 venne dimostrato che il ponte di Tacoma Narrows era crollato a causa della fondamentale non-linearità dei ponti di sospensione, una conseguenza della teoria del caos: una branca della scienza che non esisteva quando il ponte venne costruito. Agli ingegneri che lo avevano progettato non si poteva addossare nessuna responsabilità; non avevano alcun modo, in base alle conoscenze di allora, di prevedere o evitare il crollo.
«Se tutto si fosse limitato alle visioni,» proseguì Béranger «lei lo capisce, non avremmo bisogno di proteggerci il culo; anzi, sospetto che molti le sarebbero grati. Ma ci sono stati tutti quegli incidenti automobilistici, e la gente che è caduta dalle scale, e via dicendo. È preparato a farsi carico dello sdegno? Perché non sarò io a fare da scudo, e nemmeno il CERN. Quando giungeremo al dunque, per quanto parliamo del ponte di Tacoma Narrows e delle conseguenze imprevedibili, l’opinione pubblica vorrà un capro espiatorio umano specifico, e sa che toccherà a lei, Lloyd. È stato il suo esperimento.»
Il direttore generale smise di parlare. Lloyd considerò la situazione, poi disse: «Posso farcela.»
Béranger annuì una volta. «Bien. Convocheremo una conferenza stampa.» Guardò fuori dalla finestra. «Penso che sia ora di dire la verità.»
LIBRO II
Primavera 2009
Il libero arbitrio è un’illusione.
È sinonimo di percezione incompleta.
12
L’edificio amministrativo del CERN aveva ogni sorta di aule per seminari e di spazi per incontri. Per la conferenza stampa si servirono di una sala con duecento posti… nessuno dei quali era vuoto. Gli addetti alle pubbliche relazioni non avevano dovuto fare altro che annunciare a giornali e televisioni che il CERN stava per fare un annuncio di grande importanza sulla causa della dislocazione temporale, e i giornalisti erano giunti da tutta Europa, più uno dal Giappone, uno dal Canada e sei dagli Stati Uniti.