E così, mentre lei volava a oriente verso la sua patria, Lloyd rimase a Ginevra, tentando di far capire a un’umanità sconcertata l’aspetto scientifico di quanto era avvenuto.
«Dottor Simcoe,» disse Bernard Shaw «forse lei può spiegarci quello che è successo?»
«Ma certo» disse Lloyd mettendosi a suo agio. Si trovava nella sala delle teleconferenze del CERN, con una telecamera non più grande di un ditale che lo guardava dalla sommità di un treppiede malmesso. Shaw, naturalmente, si trovava nella sede CNN di Atlanta. Lloyd aveva in programma per la giornata altre cinque interviste analoghe, una delle quali in francese. «Molti di voi avranno sentito nominare il termine ‘spaziotempo’, o ‘continuum spaziotemporale’. Si riferisce alla combinazione delle tre dimensioni, lunghezza, larghezza, altezza, e della quarta dimensione, il tempo.»
Lloyd fece un cenno al tecnico, una donna, che stava in piedi fuori campo, e sul monitor alle sue spalle apparve l’immagine di un uomo dai capelli neri. «Questo è Hermann Minkowski» disse Lloyd. «È colui che avanzò per primo il concetto di continuum spaziotemporale.» Una pausa. «È difficile illustrare direttamente il concetto delle quattro dimensioni,
Fece un altro cenno e l’immagine cambiò.
«Questa è una mappa dell’Europa. Naturalmente l’Europa ha tre dimensioni, ma siamo tutti abituati a servirci di mappe bidimensionali. E Hermann Minkowski è nato a Kaunas, nel 1864, in quella che oggi si chiama Lituania.»
Una luce si accese all’interno della Lituania.
«Eccola. Facciamo finta, tuttavia, che la luce non sia Kaunas, ma Minkowski stesso, nato nel 1864.»
Nell’angolo in basso a destra della mappa apparve la scritta 1864.
«Se torniamo indietro di qualche anno, possiamo vedere che prima di quel punto non c’è nessun Minkowski.» La data della mappa cambiò in 1863, poi 1862, poi 1861 e non c’era più traccia di Minkowski.
«Adesso torniamo al 1864.»
La mappa obbedì, con la luce di Minkowski che brillava alla latitudine e longitudine di Kaunas.
«Nel 1878,» disse Lloyd «Minkowski si recò a Berlino per frequentare l’università.»
La mappa del 1864 scivolò via come se fosse il foglio di un calendario: quella successiva indicava la data del 1865. In rapida successione scorsero altre mappe, indicate con gli anni dal 1866 al 1877, ciascuna delle quali con la luce di Minkowski a Kaunas, o nei dintorni, ma quando apparve quella del 1878, la luce si era spostata di quattrocento chilometri a ovest, su Berlino.
«Minkowski non rimase a Berlino» proseguì Lloyd. «Nel 1881 si trasferì a Kònigsberg, nei pressi dell’attuale confine polacco.»
Altre tre mappe scivolarono via, e quando apparve quella con l’anno 1881, la luce di Minkowski si era spostata di nuovo.
«Nei successivi diciannove anni il nostro Hermann si spostò da un’università all’altra, tornando a Kònigsberg nel 1894, poi recandosi a Zurigo qui in Svizzera nel 1896, e infine all’università di Gòttingen, nella Germania centrale, nel 1902.»
Il cambiare delle mappe illustrò i suoi spostamenti.
«E rimase a Gòttingen fino al giorno della sua morte, il 12 gennaio 1909.»
Scorsero altre mappe, ma la luce rimase fissa.
«E naturalmente, dopo il 1909, lui non c’è più.»
Scivolarono via le mappe con le date 1910, 1911,1912, ma nessuna aveva la luce.
«Ora» disse Lloyd «che succede se prendiamo le nostre mappe, le sovrapponiamo in ordine cronologico e le pieghiamo appena, in modo da vederle obliquamente?»
La grafica computerizzata sullo schermo alle sue spalle eseguì l’operazione.
«Come potete vedere, la luce che indica gli spostamenti di Minkowski forma un tracciato nel tempo. Comincia quaggiù, in Lituania, si sposta verso la Germania e la Svizzera e alla fine si conclude qui, a Gòttingen.»
Le mappe erano sovrapposte l’una all’altra, formando un cubo, e la linea della vita di Minkowski, che s’intrecciava all’interno del cubo, era visibile attraverso di esso, simile alla risalita da una tana verso l’alto da parte di una talpa luminescente.
«Questo tipo di cubo, che mostra il tracciato della vita di una persona attraverso lo spaziotempo, si chiama cubo di Minkowski: lo stesso buon vecchio Hermann fu il primo a disegnare una cosa del genere. Naturalmente se ne può disegnare uno per ogni individuo. Ecco quello mio.»
La mappa cambiò, mostrando il mondo nella sua interezza.
«Io sono nato in Nuova Scozia, Canada, nel 1964, mi sono spostato a Toronto, poi all’università di Harvard, ho lavorato per anni al Fermilab nell’Illinois, e poi sono finito qui al CERN, sul confine franco-svizzero.»
Le mappe si sovrapposero, formando un cubo con all’interno un tracciato luminoso ondeggiante.
«E, naturalmente, nello stesso cubo si può indicare il tracciato della vita di altre persone.»
Cinque altri tracciati luminosi, ciascuno di un colore differente, si formarono dentro il cubo. Alcuni iniziavano prima di quello di Lloyd, altri terminavano prima di raggiungere la sommità «La sommità del cubo, qui» proseguì Lloyd «rappresenta l’oggi, il 25 aprile 2009. E, com’è evidente, siamo tutti d’accordo che oggi è oggi. Cioè, tutti noi ricordiamo ieri, ma riconosciamo che è passato; e tutti noi non sappiamo niente del domani. Stiamo tutti guardando collettivamente questo particolare strato del cubo.» La faccia superiore del cubo si illuminò.
«Potete immaginare l’occhio della mente collettiva dell’umanità che guarda quel particolare strato.» Il disegno di un occhio umano, completo di ciglia, galleggiò sopra il cubo, parallelo alla sommità. «Ma ecco quello che è successo durante il Cronolampo: l’occhio della mente si è spostato lungo il cubo verso il futuro, e invece di guardare lo strato che rappresenta il 2009, si è ritrovato a guardare quello che rappresenta il 2030.»
Il cubo si allungò verso l’alto, e gran parte dei tracciati luminosi di diversi colori proseguirono il loro movimento insieme al cubo. L’occhio fluttuante balzò all’insù, e il piano illuminato si trovò adesso molto vicino alla sommità del cubo allungato. «Per due minuti abbiamo osservato un altro punto lungo il tracciato della nostra vita.»
Bernard Shaw si agitò sulla sedia. «Quindi lei ci sta dicendo che lo spaziotempo è come un gruppo di inquadrature cinematografiche impilate una sull’altra, e che ‘adesso’ è l’inquadratura attualmente illuminata?»
«L’analogia è buona» disse Lloyd. «In effetti mi aiuta ad arrivare al punto successivo, che è questo: diciamo che state vedendo Casablanca, che si dà il caso sia il mio film preferito. E diciamo che questo particolare momento è quello proiettato sullo schermo proprio adesso.» Alle spalle di Lloyd Humphrey Bogart stava dicendo: «L’hai suonata per lei, puoi suonarla per me. Se va bene per lei, va bene anche per me.»
Dooley Wilson evitò lo sguardo di Bogart. «Non ricordo le parole.»
Bogart, a denti stretti: «Suonala!»
Wilson rivolse gli occhi al soffitto e cominciò a suonare As Time Goes By, mentre le sue dita volavano sulla tastiera.
«Ora» disse Lloyd, seduto davanti allo schermo, «solo perché questa inquadratura è quella che state attualmente vedendo» — e quando disse ‘questa’ l’immagine si bloccò su Dooley Wilson — «non significa che quest’altra inquadratura sia meno fissa o reale.».
Improvvisamente l’immagine cambiò. Un aereo che scompariva nella nebbia. Un azzimato Claude Rains guardava Bogart. «Potrebbe essere una buona idea, se sparissi da Casablanca per un po’» disse. «A Brazzaville c’è una guarnigione della Francia libera. Potrei trovarmi costretto a procurarti un passaggio.»