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Anche i neutrini, poi, costituivano un elemento importante della faccenda. Si sapeva fin dagli anni sessanta che il sole terrestre liberava, per qualche motivo, solo la metà dei molti neutrini che avrebbe dovuto liberare: il famoso ‘problema dei neutrini solari’.

Il sole è riscaldato dalla fusione dell’idrogeno: quattro nuclei di idrogeno — ciascuno dei quali costruisce un singolo protone — si uniscono a formare un nucleo di elio, composto da due protoni e due neutroni. Nel processo di conversione in neutroni di due dei protoni originali forniti dall’idrogeno, dovrebbero essere espulsi due neutrini dell’elettrone… ma, non si sa come, un neutrino ogni due che dovrebbero raggiungere la Terra scompare prima di farlo, quasi come se in qualche modo venissero censurati, quasi come se l’universo sapesse che i processi meccanicoquantistici al di sotto della soglia di consapevolezza diventerebbero instabili, se fossero presenti troppi neutrini.

La scoperta del 1998 che i neutrini avevano una massa trascurabile aveva reso credibile una possibile soluzione di vecchia data al problema dei neutrini solari: se i neutrini hanno una massa, la teoria suggeriva che potessero forse cambiare tipo nel corso del loro viaggio, portando i rilevatori più primitivi a supporne la scomparsa. Ma l’Osservatorio sui neutrini di Sudbury, che era in grado di individuare tutti i tipi di neutrini, mostrava ancora una marcata differenza fra ciò che poteva essere prodotto e ciò che raggiungeva la Terra.

Il principio antropico forte affermava che l’universo ha bisogno di dare origine alla vita, e l’interpretazione di Copenaghen della fisica quantistica sosteneva che necessitava di osservatori qualificati; dato ciò che si sapeva dell’interazione fra neutrini e consapevolezza, il problema dei neutrini solari sembrava essere la prova che l’universo si preoccupava di incoraggiare l’esistenza di tali osservatori.

Naturalmente, di tanto in tanto si verificavano delle raffiche di neutrini extrasolari, ma in circostanze normali si potevano tollerare. Quando però le condizioni non erano normali — quando un attacco di neutrini si combinava con condizioni che erano esistite solo poco dopo il Big bang — si verificava la dislocazione temporale.

Nel 2018 l’Agenzia spaziale europea lanciò la sonda Cassandra verso Sanduleak -69°202. Naturalmente sarebbero occorsi milioni di anni prima che la sonda raggiungesse Sanduleak, ma non importava. Quello che importava era che adesso, nel 2030, Cassandra si trovava a due miliardi e mezzo di miliardi di chilometri dalla Terra, e due miliardi e mezzo di miliardi di chilometri più vicina ai resti della supernova 1987A: una distanza che la luce, e i neutrini, avrebbero impiegato tre mesi a percorrere.

A bordo di Cassandra c’erano due strumenti. Uno era un rilevatore di luce puntato direttamente su Sanduleak, l’altro un’invenzione recente — un emettitore di tachioni — puntato sulla Terra. Cassandra non era in grado di individuare in via diretta i neutrini, ma se Sanduleak usciva dallo stato di buco marrone avrebbe emesso sia luce che neutrini, e la luce era facile da rilevare.

Nel luglio del 2030 Cassandra rilevò luce che fuoriusciva da Sanduleak. La sonda lanciò immediatamente una raffica di tachioni a energia ultra bassa (e quindi con velocità ultra alta) verso la Terra. Quarantatre ore più tardi i tachioni giunsero sulla Terra, mettendo in funzione gli allarmi.

All’improvviso, ventuno anni dopo il primo evento di dislocazione temporale, i popoli della Terra furono informati con un preavviso di tre mesi che se volevano dare un’altra occhiata al futuro potevano farlo con una ragionevole probabilità di successo. Naturalmente il successivo tentativo andava fatto nell’esatto momento in cui i neutrini di Sanduleak avrebbero cominciato ad attraversare la Terra — e non poteva essere una coincidenza che quel momento sarebbe stato alle 19:21, ora di Greenwich, di mercoledì 23 ottobre 2030: l’inizio preciso dell’arco di circa due minuti che la prima serie di visioni aveva mostrato.

Le Nazioni Unite discussero l’argomento con sorprendente velocità. Alcuni avevano pensato che, essendosi il presente rivelato diverso da quanto rappresentato nella prima serie di visioni, la gente avrebbe deciso che poteva fare a meno di una seconda serie. In realtà, però, la risposta generale fu del tutto diversa: quasi tutti desideravano un’altra occhiata al domani. L’effetto Ebenezer era ancora potente. E, naturalmente, adesso c’era un’intera generazione di giovani che erano nati dopo il 2009. Si sentivano tagliati fuori, e reclamavano la possibilità di avere ciò che i loro genitori avevano già sperimentato: una finestra sulle loro prospettive future.

Come prima, il CERN fu la chiave per aprire la serratura del domani. Ma Lloyd Simcoe, ormai sessantaseienne, non avrebbe preso parte al tentativo di replica. Era andato in pensione da due anni, e aveva rifiutato di tornare al CERN. Lui e Theo, d’altra parte, avevano effettivamente condiviso un Nobel. Gli era stato assegnato nel 2024: non, come risultò, in relazione all’effetto della dislocazione temporale o alla scoperta del bosone di Higgs, ma grazie alla loro invenzione congiunta del Collisore tachioni-tardioni, lo strumento portatile che aveva messo fuori uso i grandi acceleratori di particelle nei luoghi più disparati, dal TRIUMF, al Fermilab, al CERN. Adesso il CERN era in gran parte abbandonato, anche se il Collisore tachionitardioni originale era alloggiato nel campus.

Forse era perché il matrimonio di Lloyd con Michiko era fallito dopo dieci anni, che lui non aveva voluto essere coinvolto in quel tentativo di replicare l’esperimento originale. Sì, Lloyd e Michiko avevano avuto una figlia, ma nel suo intimo Michiko aveva sempre ritenuto, senza nemmeno rendersene conto all’inizio, che in qualche modo Lloyd fosse responsabile della morte della sua prima figlia. Lei per prima si era sorpresa, certo, quando la faccenda era venuta fuori nel corso di una discussione con Lloyd, ma così stavano le cose.

Non c’era dubbio che Lloyd e Michiko si amassero, ma alla fine tutti e due avevano deciso semplicemente che non potevano continuare a vivere insieme, non con quella sensazione che pesava, anche se in modo rarefatto, su ogni cosa. Almeno non era stato un divorzio doloroso, come quello dei genitori di Lloyd. Michiko era tornata in Giappone, portando con lei sua figlia Joan; Lloyd andava a farle visita una volta l’anno, a Natale.

La presenza di Lloyd non era fondamentale per la replica dell’esperimento originale, anche se la sua collaborazione avrebbe costituito un contributo significativo. Ma adesso era felicemente risposato… e, sì, lo era con Doreen, la donna che aveva visto nella sua visione e, sì, adesso avevano un cottage nel Vermont.

Jake Horowitz, che aveva da tempo lasciato il CERN per andare a lavorare al TRIUMF insieme a sua moglie Carly Tompkins, acconsentì a tornare in Europa per tre mesi. Venne anche Carly, e insieme a Jake dovette sopportare le battute di quelli che le chiedevano quale laboratorio del CERN avrebbero battezzato. Erano sposati ormai da diciotto anni, e avevano tre splendidi figli.

Theodosios Procopides e circa trecento altre persone lavoravano ancora al CERN, dove si occupavano del CTT. Theo, Jake, Carly e un personale ridotto ai minimi termini fecero a gara contro il tempo per rimettere l’LHC in grado di funzionare, dopo cinque anni di abbandono, prima che arrivassero i neutrini di Sanduleak.

29

Theo, che adesso aveva quarantotto anni, era intimamente soddisfatto che la realtà del 2030 si fosse rivelata diversa da quella prospettata dalle visioni del 2009. Da parte sua si era fatto crescere una bella barba folta che gli copriva la mandibola prominente (e che lo salvava dalla necessità di radersi di nuovo a metà pomeriggio). Il giovane Helmut Drescher aveva affermato di avere notato, nella sua visione, il mento di Theo; la barba era uno dei piccoli espedienti escogitati da Theo per affermare il suo libero arbitrio.