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«Si accomodi» disse Drescher indicandogli una sedia di fronte alla sua scrivania. Prese un piattino da una pila e lo sistemò fra sé e Theo. «Ha nulla in contrario se registro?» gli chiese. Le parole — in francese — apparvero subito come testo sul sottile computer, con un’etichetta identificativa che diceva: ‘H. Drescher’.

Theo scosse la testa, e Drescher gesticolò in direzione del piattino. Theo capì che voleva una risposta a voce. «Non» disse. Il piattino registrò doverosamente, ma appose un punto interrogativo luminoso nel riquadro in cui doveva esserci il nome di colui che stava parlando.

«Lei è…?»

«Theodosios Procopides» rispose Theo, aspettandosi che il nome facesse squillare un campanello nella mente di Drescher.

Il piattino, alla fine, lo riconobbe… Theo vide comparire sullo schermo una piccola finestra, che mostrò la corretta pronuncia del suo nome secondo l’alfabeto ellenico ed elencò alcuni fatti fondamentali sulla sua vita. Il punto interrogativo scomparve e l’etichetta identificativa del suo nome mutò immediatamente in ‘T. Procopides’.

«E cosa posso fare per lei?» chiese Drescher, sempre con l’aria di chi non ricordava nulla.

«Lei non sa chi sono, vero?» disse Theo.

Drescher scosse la testa.

«La… ehm, l’ultima volta che ci siamo visti, io non avevo la barba.»

Il detective fissò attentamente il volto di Theo. «Ecco, io… oh! Oh, Dio! Oh, è lei!»

Theo abbassò gli occhi. Il piattino aveva svolto l’encomiabile compito di apporre scrupolosamente la punteggiatura sull’esclamazione di Drescher. Quando rialzò lo sguardo, Theo si accorse che il volto dell’altro era sbiancato.

«Oui» disse Theo. «C’est moi.»

«Mon Dieu» esclamò Drescher. «Per anni sono stato tormentato da quell’esperienza.» Scosse la testa. «Lo sa, da allora ho assistito a un sacco di autopsie, e ho visto un bel po’ di cadaveri. Ma il suo… vedere qualcosa del genere quando sei ancora un bambino…» Fu scosso da un brivido.

«Mi dispiace» disse Theo. Fece una breve pausa, poi disse: «Si ricorda di quando venni a trovarla, poco dopo avere avuto quella visione? A casa dei suoi genitori… quella con la grande scala?»

Drescher annuì. «Me lo ricordo. Mi ha spaventato a morte.»

Theo alzò appena le spalle. «Mi dispiace anche di questo.»

«Ho cercato di rimuovere quella visione dalla mia mente» disse Drescher. «Per tutti questi anni ho cercato di non pensarci. Ma torna sempre a galla, lo sa. Anche dopo tutto quello che ho visto continua a perseguitarmi.»

Theo fece un sorriso di comprensione.

«Non è colpa sua» aggiunse Drescher, agitando la mano come per fargli capire che non aveva importanza. «Qual è stata la sua visione?»

Theo rimase sorpreso da quella domanda; Drescher aveva ancora qualche problema a collegare la sua visione di quel cadavere con la realtà dell’essere umano che era seduto davanti a lui. «Non ho visto niente» rispose Theo.

«Oh, già, è vero» disse Drescher, leggermente a disagio. «Mi dispiace.»

Seguì un silenzio imbarazzato che durò qualche secondo, poi fu Drescher a parlare di nuovo. «Lo sa, non è stato poi tutto così negativo… la visione, voglio dire. Mi ha avvicinato al lavoro di polizia. Non so se avrei chiesto di entrare in accademia, se non avessi avuto quella visione.»

«Da quanto tempo fa il poliziotto?» chiese Theo.

«Sette anni… gli ultimi due come detective.»

Theo non aveva idea se fosse una carriera rapida o no, ma si scoprì a fare calcoli sull’età di Drescher. Non poteva essersi laureato. Theo trascorreva fin troppo tempo fra accademici e scienziati: aveva sempre paura di dire per sbaglio qualcosa che potesse suonare come condiscendente per coloro che non erano andati oltre il liceo. «Complimenti» azzardò.

Drescher alzò le spalle, poi aggrottò la fronte e scosse la testa. «Lei non dovrebbe proprio trovarsi da queste parti. Non dovrebbe nemmeno essere in Europa, per l’amor di Dio. Lei deve essere stato ucciso a Ginevra o nelle sue immediate vicinanze, altrimenti non sarei stato io a svolgere le indagini. Se io avessi avuto una visione che proprio in questo giorno sarei stato ucciso, può scommettere che adesso mi troverei in Africa o alle Hawaii.»

Stavolta fu Theo ad alzare le spalle. «Io non volevo trovarmi qui, ma non ho scelta. Gliel’ho detto, lavoro al CERN. Facevo parte del gruppo che ventuno anni fa condusse l’esperimento del Grande collisore per Adroni. Hanno bisogno di me per duplicare quell’esperimento dopodomani. Mi creda, se avessi avuto la minima scelta, io sarei da qualche altra parte.»

«Lei non si è messo a praticare pugilato, vero?»

«No.»

«Perché nella mia visione…»

«Lo so. Lo so. Ha detto che mi hanno ucciso durante un incontro di pugilato.»

«Mio padre guardava sempre gli incontri di pugilato alla televisione» disse Helmut. «Strano sport per un venditore di scarpe, immagino, ma a lui piaceva. Io li guardavo insieme a lui, anche quando ero piccolo.»

«Mi ascolti,» disse Theo «lei sa meglio di chiunque altro che io sono davvero in pericolo. E per questo che sono venuto a trovarla.» Deglutì. «Ho bisogno del suo aiuto, Helmut. Ho bisogno della protezione della polizia. Fra adesso e quando l’esperimento sarà replicato, fra…» diede un’occhiata all’orologio a parete, un piattino tenuto su col nastro adesivo, le cui cifre di quindici centimetri rifulgevano sulla sua superficie «…fra quarantanove ore.»

Drescher indicò con un gesto della mano tutti gli altri piattini sparpagliati sulla sua scrivania. «Ho un mucchio di lavoro da fare.»

«La prego. Lei sa che cosa potrebbe succedere. Quasi tutti hanno il prossimo mercoledì libero dal lavoro… capisce, in modo che possano starsene al sicuro a casa quando ci sarà la replica della dislocazione temporale. Detesto perfino chiederlo, ma lei potrebbe approfittare di quell’occasione per recuperare il lavoro perduto oggi e domani.»

«Io non ho il mercoledì libero.» Drescher gesticolò in direzione degli altri poliziotti in sala operativa. «Nessuno di noi lo ha… nel caso qualcosa andasse male.» Una pausa. «Lei ha la minima idea di chi potrebbe spararle?»

Theo scosse il capo, poi, guardando il piattino che registrava, disse: «No, nessuna. Mi sono arrovellato il cervello per ventuno anni cercando di immaginarlo… cercando di capire a chi avrei potuto pestare i piedi fino al punto di fargli desiderare la mia morte, o chi avrebbe tratto qualche vantaggio dal fatto di togliermi di mezzo. Ma non c’è nessuno.»

«Nessuno?»

«Be’, lo sa, si diventa paranoici. Qualcosa del genere… Ti metti a sospettare di tutti. Certo, per qualche tempo ho pensato che fosse stato il mio vecchio socio, Lloyd Simcoe. Ma gli ho parlato ieri; è nel Vermont, e non progetta di venire in Europa nel prossimo futuro.»

«Si tratta solo di… quanto?… un volo di tre ore, se prende un supersonico» disse Drescher.

«Lo so, lo so… ma, davvero, sono sicuro che non è lui. Però c’è qualcuno, qualche… come dite voialtri? Una o più persone sconosciute che oggi possono attentare alla mia vita. E le sto chiedendo — la sto implorando — di impedire che quella persona o quelle persone giungano fino a me.»