Theo prese una scatola degli attrezzi da uno degli armadietti di rifornimento nella piazzola di sosta e si infilò il casco giallo… anche se si recava di rado nel tunnel, da anziano del mestiere aveva avuto anche lui il suo casco personale. Sistemò la scatola degli attrezzi in una delle vetture da carico, si arrampicò nella cabina puntata verso la direzione in cui voleva andare — in senso orario — e mise in moto il treno, allontanandosi ronzando nell’oscurità.
Il detective Helmut Drescher tentò di rimettersi a lavorare; aveva sette casi aperti su cui investigare, e il capitano Lavoisier aveva insistito perché ci fosse qualche progresso. Ma la mente di Moot continuava a soffermarsi sulla situazione di Theo Procopides. Il tipo gli era sembrato abbastanza a posto; avrebbe voluto aiutarlo. Gli era anche sembrato in buona forma, per un uomo che doveva essere vicino ai cinquanta. Moot ritrovò il piattino che aveva registrato la loro conversazione: mostrava ancora il riquadro con i dati biografici di Theo. Nato il 2 marzo 1982, dunque aveva quarantotto anni. Un po’ troppo vecchio per fare il pugile… e poi non aveva il fisico giusto. Magari in una qualunque realtà alternativa mostrata dalle visioni lui era un allenatore, o un arbitro, invece che un pugile vero e proprio. Ma no… non poteva essere così. Moot non aveva con sé il biglietto da visita che Theo gli aveva dato due decenni prima, ma l’aveva conservato per tutto quel tempo, e ogni tanto gli aveva anche dato un’occhiata: c’era scritto chiaramente CERN. Perciò, se era già un fisico prima che avessero luogo le visioni, nel 2009, sembrava improbabile che avesse cambiato-carriera per dedicarsi allo sport. Ma Moot ricordava la sua visione in modo molto vivido: l’uomo con il camice — il medico legale, adesso lo sapeva — aveva affermato chiaramente che Theo era stato ucciso sul ring, e…
Sul ring.
Che cosa aveva detto Procopides proprio quello stesso giorno? Deve averne sentito parlare: al CERN c’è una galleria circolare lunga ventisette chilometri, costruita cento metri sotto il livello del terreno. Un anello gigantesco, insomma.
Era solo un bambino… un bambino piccolo che guardava gli incontri di pugilato insieme al padre, un bambino piccolo che amava il film Rocky. Allora aveva semplicemente creduto che ‘sul ring’ significasse ‘durante un incontro di boxe’, e poi non ci aveva pensato più. Ma ring significa anche ‘anello’.
Un anello gigantesco, insomma.
Merda. Forse Procopides era davvero in pericolo. Moot si alzò dalla scrivania e tornò a parlare con il capitano Lavoisier.
L’unità criostatica difettosa si trovava a dieci chilometri di distanza, e la monorotaia avrebbe impiegato quasi dieci minuti per portarvi Theo. I fari della cabina solcavano l’oscurità. Lungo l’intera galleria c’erano dei pannelli fluorescenti, ma era inutile illuminare tutti i ventisette chilometri del tracciato.
Alla fine la monorotaia giunse nel settore in cui si trovava l’unità criostatica che faceva i capricci. Theo fermò il treno, scese dalla cabina, trovò il pannello che regolava l’illuminazione locale e la regolò per l’accensione cinquanta metri prima e cinquanta metri dopo di lui. Poi andò a prendere la cassetta degli attrezzi e si diresse verso l’unità difettosa.
Questa volta il capitano Lavoisier acconsentì, dando a Moot il permesso di fare da guardia del corpo a Theo fino alla fine della giornata. Moot prese la solita auto non contrassegnata e si diresse verso il CERN. Lui sospettava che il CERN fosse come quasi tutti gli altri luoghi: il segnale del radiofaro lanciato dalla macchina di un poliziotto di solito lo faceva passare automaticamente attraverso il cancello, ma stavolta Moot dovette fermarsi e mostrare alla guardia il tesserino di identificazione prima che quella alzasse la barriera. Chiese anche al computer la direzione: il campus del CERN comprendeva dozzine di edifici, quasi tutti vuoti. Gli ci vollero circa cinque minuti per trovare la sala di controllo dell’LHC. Lasciò che la macchina parcheggiasse sull’asfalto e si precipitò all’esterno.
Lungo un corridoio decorato da una serie di mosaici si imbatté in una bella donna di mezza età, con le lentiggini. Moot le mostrò il tesserino. «Sto cercando Theo Procopides» le disse.
La donna annuì. «Stamattina è arrivato presto; vediamo se riusciamo a trovarlo.»
La donna gli fece strada all’interno dell’edificio; provò in un paio di stanze, ma in nessuna delle due c’era Theo. «Vediamo nell’ufficio di mio marito» disse. «Lui e Theo lavorano insieme.» Percorsero un altro corridoio ed entrarono in un ufficio. «Jake, c’è qui un funzionario di polizia. Sta cercando Theo.»
«E nel tunnel» disse Jake. «Per quella dannata unità criostatica dell’ottante numero tre.»
«Potrebbe essere in pericolo» disse Moot. «Può portarmi là?»
«In pericolo?»
«Nella sua visione viene ucciso proprio oggi… e ho ragione di credere che avvenga nella galleria.»
«Mio Dio» disse Jake. «Eh, certo, certo… posso portarla da lui e… maledizione! Stramaledizione, deve avere preso la monorotaia.»
«La monorotaia?»
«C’è una ferrovia monorotaia che corre lungo l’anello, ma deve averla portata a dieci chilometri da qui.»
«C’è un solo treno?»
«Prima ne avevamo altri tre, ma li abbiamo venduti anni fa. Ce n’è rimasto uno solo.»
«Si potrebbe arrivare in volo alla stazione d’accesso remota» disse la donna. «Non c’è strada, ma sarebbe facile sorvolare i campi coltivati.»
«Giusto… giusto!» disse Jake. Sorrise a sua moglie. «Magnifica idea!» Poi si girò verso Moot. «Andiamo!»
Jake e Moot si precipitarono lungo i corridoi, attraversarono l’atrio ed emersero nel parcheggio. «Prendiamo la mia macchina» disse Moot. Salirono a bordo, Moot premette il pulsante di avvio e la vettura si sollevò dal suolo. Seguì le istruzioni di Jake per uscire dal campus, poi Jake indicò una vasta distesa coltivata.
La macchina continuò a volare.
Theo osservò l’alloggiamento dell’unità criostatica. Non c’era da stupirsi che Jiggs avesse avuto dei problemi ad aggiustarla. Il pannello dietro al quale aveva lavorato era ancora aperto, ma i potenziometri con i quali Jiggs armeggiava erano nascosti dietro un altro pannello.
Theo cercò di aprire lo sportello d’accesso che avrebbe dovuto permettergli di arrivare ai comandi giusti, ma quello non ne voleva sapere di muoversi. Dopo anni di abbandono in quella galleria buia e umida, sembrava che lo sportello si fosse corroso e bloccato. Theo frugò nella cassetta degli attrezzi in cerca di qualcosa di cui servirsi per forzare lo sportello, ma aveva solo dei cacciaviti che si dimostrarono del tutto inadeguati. Ciò che gli serviva era un piede di porco o qualcosa del genere. Imprecò in greco. Poteva riprendere la monorotaia e tornare al campus, ma gli sembrava uno spreco di tempo. Doveva esserci certamente qualcosa, lì nella galleria, da utilizzare con profitto. Controllò nella direzione da cui era venuto: nel corso delle poche centinaia di metri dal punto in cui aveva lasciato la monorotaia non aveva notato nulla di simile a ciò che gli serviva ma, è chiaro, non lo stava cercando. Comunque gli sembrò più sensato percorrere in senso orario la galleria, almeno per una breve distanza, e vedere se riusciva a trovare qualcosa per aprire quel dannato sportello.
La stazione remota era un vecchio bunker di calcestruzzo nel bel mezzo di un campo di rape. La vettura di Moot atterrò sul piccolo vialetto — c’era una stradina di accesso che si allontanava nella direzione opposta — e lui spense il motore, poi scese insieme a Jake.