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Lloyd sorrise a Doreen. Erano sposati da cinque anni. Lloyd immaginava, essendo figlio di genitori divorziati, e adesso divorziato lui stesso, che non fosse il caso di concepire pensieri ingenui, quanto alla possibilità di restare per sempre con Doreen, ma continuava a provare quella sensazione. Lloyd e Michiko erano stati una bella coppia, ma Lloyd e Doreen erano una coppia perfetta. Doreen era già stata sposata una volta, ma il suo matrimonio era finito vent’anni prima. Era convinta che non si sarebbe mai più risposata e aveva continuato a vivere da sola.

Poi aveva incontrato Lloyd, lui un premio Nobel per la fisica, lei una pittrice, due mondi completamente diversi… più diversi, sotto molti aspetti, del Giappone di Michiko rispetto al Nord America di Lloyd, eppure i due avevano legato alla perfezione, e l’amore era sbocciato, e adesso lui divideva la sua vita in due fasi, prima e dopo Doreen.

La voce alla radio continuò a snocciolare il conto alla rovescia. «Dieci secondi. Nove. Otto.»

Lui la guardò e sorrise, e lei gli restituì il sorriso.

«Sei. Cinque. Quattro.»

Lloyd si domandò che cosa avrebbe visto nel futuro, ma su una cosa non aveva nessun dubbio, neppure il più piccolo dubbio.

«Due! Uno!»

Qualsiasi cosa riservasse il futuro, lui e Doreen sarebbero stati sempre insieme.

Zero!

Lloyd vide un breve, immobile fotogramma di lui e Doreen, molto vecchi, più vecchi di quanto lui avesse mai immaginato di diventare, e…

Di certo non erano morti. Di certo lui non avrebbe visto niente, se la sua consapevolezza fosse venuta meno.

Il suo corpo poteva essersi deteriorato, ma… una breve occhiata, il lampo di un’immagine…

Un nuovo corpo, tutto argento e oro, liscio e rilucente…

Un corpo androide? L’aspetto di un robot per la sua consapevolezza di uomo?

O un corpo virtuale, niente di più — o di meno — che una rappresentazione di ciò che lui era all’interno di un computer?

La prospettiva di Lloyd si spostò.

Adesso guardava verso la Terra, da un’altezza di centinaia di chilometri. Nuvole bianche turbinavano sotto di lui, e la luce del sole si rifletteva sugli oceani enormi…

A parte che…

A parte che, in quell’unico breve momento nel quale ebbe quella percezione, lui pensò che forse non si trattava di oceani, ma piuttosto del continente nordamericano, la cui superficie era ricoperta da una ragnatela di metallo e macchinari, mentre l’intero pianeta era letteralmente diventato il World Wide Web.

Poi la sua prospettiva cambiò di nuovo, ma ancora una volta lui vide la Terra, o ciò che lui pensò potesse essere stata la Terra. Sì, sì, lo era certamente, perché c’era la Luna che sorgeva oltre il suo margine. Ma l’oceano Pacifico era più piccolo, ricopriva solo un terzo della faccia che lui vedeva, e la costa occidentale del Nord America era cambiata radicalmente.

Il tempo scorreva via veloce; i continenti avevano avuto millenni per spostarsi e assumere nuove forme.

E lui continuava ad andare avanti.

Vide la Luna allontanarsi muovendosi a spirale, sempre più dalla Terra, e poi…

Gli sembrò istantaneo, ma forse aveva richiesto migliaia di anni…

La Luna che si sbriciolava, riducendosi in pulviscolo.

Un altro balzo…

Poi la Terra stessa che si riduceva, si contraeva, diventava più piccola, un ciottolo, poi…

Di nuovo il sole, ma…

Incredibile…

Il sole era adesso incassato per metà in una sfera metallica, che catturava ogni fotone di energia che vi cadeva addosso. La Luna e la Terra non erano andate in frantumi… erano state smantellate. Erano diventate materia prima.

Lloyd proseguì il suo viaggio in avanti. Vide…

Sì, era inevitabile; sì, aveva letto qualcosa innumerevoli anni prima, ma non pensava che sarebbe vissuto abbastanza per vederlo.

La Via Lattea, quella girandola di stelle che il genere umano chiamava casa, in collisione con Andromeda, il suo vicino più grande, le due girandole che si intersecavano, il gas interstellare che prendeva fuoco.

E il suo viaggio continuò, avanti nel tempo.

Non fu affatto come la prima volta… ma in fondo che cosa lo è mai, nella vita?

La prima volta in cui si erano verificate le visioni, il passaggio dal presente al futuro era sembrato istantaneo. Ma se fosse durato anche un centomillesimo di secondo, chi se ne sarebbe accorto? E se quel centomillesimo di secondo fosse diventato 0,000005 secondi ogni anno di salto in avanti, di nuovo, chi se ne sarebbe accorto? Ma 0,000005 secondi per 8 miliardi di anni sommavano qualcosa più di un’ora… un’ora trascorsa a schizzare via, a scivolare lungo i panorami del tempo, senza mai afferrare, senza mai concretizzare, senza mai padroneggiare del tutto la consapevolezza vera e propria del momento, eppure sentendo, percependo, vedendo ogni cosa che gli si rivelava, osservando l’universo che cresceva e mutava, sperimentando l’evoluzione dell’umanità passo dopo passo, dall’infanzia…

… a ciò che era destinata a diventare, qualsiasi cosa fosse.

Naturalmente Lloyd non viaggiava affatto. Si trovava ancora nel New England, e non aveva più controllo su ciò che vedeva, o su ciò che il suo corpo surrogato faceva, di quanto ne avesse avuto nel corso della sua prima visione. I mutamenti di prospettiva erano certamente dovuti al riposizionamento di ciò che diventava con il trascorrere dei millenni. Doveva esserci stata una sorta di persistenza del ricordo, analoga alla persistenza della visione che rendeva possibile guardare un film. Certamente toccava ognuno di quei momenti per una frazione infinitesimale di secondo, con la sua coscienza che cercava di capire se quello strato del cubo era occupato, e quando scopriva che lo era, qualcosa come il principio di esclusione — Theo lo aveva informato per posta elettronica di Rusch e dei suoi presunti vaneggiamenti — le impediva di insediarsi lì, e subito ripartiva per il futuro, in avanti, sempre più avanti.

Lloyd si sorprese di avere ancora un’individualità; avrebbe pensato che se il genere umano era destinato a sopravvivere per milioni di anni di certo lo avrebbe fatto come coscienza collegata, collettiva. Ma nella sua mente non sentiva altre voci; per quanto poteva dire, lui era ancora una singola unità separata, anche se il fragile corpo fisico che una volta lo aveva avviluppato aveva da tempo cessato di esistere.

Aveva visto la sfera di Dyson che avvolgeva per metà il sole, il che significava che un giorno l’umanità avrebbe padroneggiato una tecnologia fantastica ma, fino a quel momento, non aveva visto la minima traccia di qualsiasi intelligenza diversa da quella dell’uomo.

Poi la cosa lo colpì: un’intuizione fulminea. Ciò che stava succedendo voleva dire che non esisteva in nessun luogo altra vita intelligente, su nessuno dei pianeti dei duecento miliardi di stelle che formavano la Via Lattea, anzi — si fermò per correggersi — dei seicento miliardi di stelle che facevano parte della supergalassia attualmente congiunta, formata dall’intersezione della più piccola Via Lattea con la più grande Andromeda. E su nessun pianeta delle stelle delle innumerevoli altre galassie che formavano l’universo.

Di certo tutta la consapevolezza, ovunque, doveva convenire su ciò che costituiva l’ adesso’. Se la coscienza umana rimbalzava via, si spostava, non significava forse che non poteva esistere nessun’altra coscienza, nessun altro gruppo in competizione per il diritto di affermare quale particolare momento costituisse il presente?

Nel qual caso l’umanità era sola in modo sconcertante, inesorabile, schiacciante, nell’intera vastità oscura del cosmo, l’unica scintilla di intelligenza che fosse mai stata generata. La vita si era felicemente sviluppata sulla Terra per quattro miliardi di anni, prima dei vagiti iniziali di autocoscienza, ma ancora nel 2030 nessuno era riuscito a duplicare quell’intelligenza in una macchina. Essere consapevole, sapere che quello era l’allora, questo è l’adesso e che domani è un altro giorno, era stato un incredibile colpo di fortuna, un evento casuale, una capricciosa coincidenza mai replicata prima o dopo nella storia dell’universo.