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Lui disse semplicemente: — Sapevate che io…

— Lo sapevo allora e lo so ora. E ne sono felice.

Il fiato perduto fece ritorno, e al viso del generale successe una cosa strana: sorrise. — Quando ero soldato semplice, signorina Wong, ed eravamo tutti confinati nelle nostre baracche, si parlava sempre di ragazze e ragazze e ragazze. E a volte, qualcuno diceva, di una di loro: era così bella da non dovermi dare nulla, solo promettermi qualcosa. — Lasciò che la sua abituale rigidezza gli scivolasse dalle spalle come un abito smesso, e per un attimo sembrò completamente rilassato. — È quello che io sto provando ora.

— Grazie per avermelo detto — mormorò Rydra. Voi mi piacete, generale. E vi prometto che sarà ancora così la prossima volta che ci rivedremo.

— Io… vi ringrazio. Penso che questo sia tutto. Solo ringraziarvi… per averlo capito, e per questa promessa. Poi disse: “Devo andarmene, ora, non è vero?”

— Il decollo è fra dieci minuti.

— La vostra lettera — si offrì lui. — La spedirò io per voi.

— Grazie. — Lei gliela tese, lui le prese la mano, e per un istante brevissimo, con una pressione leggerissima, gliela strinse. Poi si girò, e uscì. Qualche minuto più tardi, lei lo vide allontanarsi sul suo disco-slitta che scivolava leggero sul cemento, mentre a Oriente il sole prendeva a divorare il cielo.

PARTE SECONDA

Ver Dorco

1

Il materiale ritrascritto passò sullo schermo di classificazione. Accanto alla consolle del computer giacevano le quattro pagine fitte di definizioni accumulate fino a quel momento e un quaderno pieno di congetture grammaticali. Mordendosi il labbro inferiore, Rydra esaminò la classificazione di frequenze dei dittonghi bassi. Sulla parete aveva appuntato tre tabelle etichettate:

Possibile Struttura Fonetica…

Probabile Struttura Fonetica…

Ambiguità Siotiche, Semantiche e Sintattiche…

L’ultima conteneva i problemi ancora da risolvere. Le domande, formulate e risolte, venivano trascritte sulle prime due.

— Capitano?

Lei si girò sul sedile a bolla.

Appeso al portello per i ginocchi, c’era Diavalo.

— Sì?

— Cosa desiderate per pranzo? — Il piccolo cuoco era un ragazzo di diciassette anni. Due corna dovute a un intervento di chirurgocosmesi spuntavano dai suoi capelli bianchi di albino eternamente arruffati. Ora si stava grattando un orecchio con la punta della coda.

Rydra alzò le spalle. — Non ho preferenze. Chiedi al resto dell’equipaggio.

— Quei ragazzi mangerebbero i loro stessi rifiuti liquefatti, se io glieli servissi. Non hanno immaginazione, capitano. Cosa ne direste di fagiano sotto vetro, o di un pollo di Cornovaglia glassato?

— Sei proprio in vena di selvaggina?

— Be’… — Staccò un ginocchio dal portello e diede un colpetto alla parete, oscillando per alcuni secondi avanti e indietro. — Il pollame non mi dispiace.

— Allora, se nessuno ha obiezioni, tenta con Coq au vin, Idaho al forno e bistecche alla griglia con pomodori.

— Ora sì che ci siamo!

— Torta di fragole per dessert?

Diavalo schioccò energicamente le dita e con un balzo scomparve dal portello. Rydra scoppiò a ridere e si voltò verso il suo tavolo.

— Riesling sul Coq, vino di Maggio con il resto! — fu l’urlo festoso del ragazzo dagli occhi rosa che si allontanava.

Rydra aveva appena scoperto il terzo esempio di quello che sembrava una sincope sillabica, quando la poltroncina a bolla si curvò all’indietro. Il quaderno andò a sbattere contro il soffitto, e anche lei avrebbe seguito la sua sorte se non si fosse saldamente aggrappata all’orlo del tavolo. Le sue spalle tremarono. Dietro di lei, il rivestimento della poltroncina si spaccò lasciando scorgere il silicone in sospensione.

Poi tutto nella cabina sembrò tornare alla normalità, e Rydra si girò appena in tempo per assistere al tuffo di Diavalo attraverso il portello. Il ragazzo urtò violentemente con un fianco e riuscì ad aggrapparsi alla parete trasparente. Che stupido.

Rydra scivolò sull’umido, afflosciato involucro della poltrona a bolla. Il viso della Lumaca lampeggiò sull’intercom. — Capitano!

— Cosa diavolo…? — domandò lei.

La spia luminosa del Controllo Guida stava ammiccando. Di nuovo, qualcosa fece vibrare l’intera astronave.

— Respiriamo ancora?

— Solo un… — Il viso della Lumaca, pesante e orlato di una barba nera, assunse un’espressione sgradevole. — Sì Aria: tutto bene. È il Controllo Guida che si trova nei guai.

— Se quei maledetti ragazzi hanno… — Rydra si mise in contatto con loro. Flip, il Caposquadra balbettò: — Gesù, capitano è saltato qualcosa.

— Ma che cosa?

— Non lo so. — Il volto di Flop si affacciò sopra la sua spalla.

— Le luci dei commutatori A e B sono a posto. Quella del commutatore C sta bruciando come un fuoco artificiale del Quattro di luglio. Dove diavolo ci troviamo, comunque?

— Siamo alla prima ora di bordo fra la Terra e la Luna. Non siamo ancora usciti dal raggio del Centro Stellare 9.

Navigazione? — Ci fu un clic.

Il viso scuro di Mollya spuntò sullo schermo.

— Wie gehts? — le domandò Rydra.

Il Primo Navigatore svolse dinanzi ai suoi occhi la curva delle probabilità e localizzò approssimativamente l’astronave a mezza strada fra due spirali vagamente logaritmiche. — Stiamo orbitando intorno alla Terra a questa distanza — intervenne rapida la voce di Ron. — Qualcosa ci ha colpiti e buttati fuori rotta. Non abbiamo più potenza e stiamo andando alla deriva.

— A quale altezza e con quale velocità?

— Calli sta cercando di calcolarlo.

— Allora intanto darò un’occhiata fuori. — Chiamò il Gruppo Sensoriale.

— Naso, che odori ci sono là fuori?

— Solo puzza, capitano. Non c’è nulla alla mia portata.

— Senti qualcosa, Orecchio?

— Nemmeno uno squittio, capitano. Tutte le correnti di stasi in questa regione sono inattive. Siamo troppo vicini a una grande massa gravitazionale. C’è una debole eccitazione eterica di quasi cinquanta unità spettrali nel mio settore K ma non credo che ci porterà da nessuna parte, se non a girare in tondo. Stiamo procedendo con la velocità acquisita dopo l’ultimo vento rigido dalla mangosfera terrestre.

— Com’è lì fuori, Occhio?

— Come l’interno di una carbonaia, capitano. Qualunque cosa ci abbia colpiti, e io non ho visto nulla, abbiamo proprio scelto un angolo morto per tirarcela addosso. Nel mio campo quell’eccitazione è leggermente più potente, e potrebbe tirarci fuori di qui.

Ottone fece sentire la sua voce. — Mi ’iacerebbe allora sa’ere dove si trova con esattezza, ’rima di ’ensare a farci un salto dentro. Il che significa, che ’rima vorrei sa’ere dove ci troviamo noi.

— Navigazione?

Dall’altra parte vi fu silenzio per un istante. Poi i tre visi comparvero insieme sullo schermo. Calli mormorò: — Non lo sappiamo, capitano.

Il campo gravitazionale a bordo si era ora stabilizzato a poche unità al disotto della norma. Il silicone uscito dalla poltrona si era radunato in un angolo della cabina. Il piccolo Diavalo scosse tremando il capo e sbatté più volte gli occhi. Attraverso la maschera di dolore che gli copriva il viso, sussurrò: — Che cos’è successo, capitano?

— Che io sia dannata se lo so — fece di rimando Rydra. — Ma intendo scoprirlo.

Il pranzo fu consumato in silenzio. La squadra, tutti ragazzi al di sotto dei ventun anni, cercava di fare il minor rumore possibile. Al tavolo degli ufficiali i tre Navigatori sedevano sul lato opposto a quello occupato dalle forme incorporee degli Osservatori Sensoriali. La tarchiata Lumaca, a capotavola, versava il vino all’equipaggio. Rydra pranzava con Ottone.