Rydra attese che uno di loro parlasse. Una sola parola sarebbe bastata per l’identificazione: Alleati o Invasori. La sua mente era pronta ad aggredire qualunque lingua loro avessero parlato, a estrarne ciò che lei conosceva dei suoi schemi di pensiero, le tendenze alle ambiguità logiche, l’assenza o la presenza del rigore verbale, in qualsiasi area nella quale lei avrebbe potuto approfittare di…
Il secondo uomo si mosse all’indietro, e lei vide il terzo che ancora stava alla retroguardia. Alto, più solidamente costruito degli altri due, vestiva soltanto un paio di calzoncini: innestati ai polsi e ai calcagni, portava degli speroni simili a quelli degli antichi galli terrestri. Come ornamento, erano ostentati a volte dei membri meno importanti della malavita dei Trasporti, con lo stesso significato simbolico dei tirapugni d’ottone o degli sfollagente di tanti secoli prima. I capelli dovevano essere stati tagliati a zero da poco, e ora ricrescevano con riflessi elettrici. Intorno a un bicipite muscoloso spiccava una banda di carne rossa, quasi una ferita o una cicatrice infiammata. Quel marchio era stato molto comune fra i personaggi dei romanzi gialli cinque anni prima, ma ora era passato di moda. Era il marchio dei bagni penali di Titin. E in quell’uomo c’era qualcosa di talmente brutale da fare distogliere subito lo sguardo. Ma anche qualcosa di così aggraziato che spingeva a guardarlo ancora.
I due all’estremità della rampa si volsero al terzo. Lei attese le loro parole, per capire, definire, identificare. Loro la fissarono un istante, poi rientrarono nella parete. La rampa prese a ritirarsi dietro di loro.
Rydra si levò a sedere. — Vi prego — chiamò. — Dove ci troviamo?
L’uomo dai capelli d’argento disse: — Jebel Tarik. — Il muro si solidificò.
Rydra guardò la ragnatela (che era qualcosa di diverso in un’altra lingua) e spezzò le corde. La pressione diminuì e lei poté balzare sul pavimento. Vide allora che l’altro ragazzo nella cuccetta era Kile, l’aiuto di Lizzy alle Riparazioni. Ottone aveva incominciato ad agitarsi. — Stai calmo per un attimo. — Prese a fare saltare le sue corde.
— Che cosa ha detto quel tizio? — volle sapere Ottone. — Era il suo nome, o voleva dire di stare giù e di farci i fatti nostri?
Lei alzò le spalle e ruppe un’altra corda. — Tarik, in antico Moresco, significa “montagna”. Forse, la Montagna di Jebel.
Ottone si levò a sedere soddisfatto. — Come avete fatto? — le chiese. — Stavo lottando da dieci minuti e non volevano sa’erne di s’ezzarsi.
— Te lo dirò un’altra volta. Jebel potrebbe essere il nome di qualcuno.
Ottone fissò la ragnatela spezzata, poi si grattò perplesso dietro un orecchio.
— Almeno non sono Invasori — disse Rydra.
— Chi lo dice?
— Dubito che tanti umani dall’altra parte dell’asse abbiano mai sentito parlare dell’antico Moresco. I terrestri che migrarono laggiù provenivano quasi tutti dall’America settentrionale e meridionale, prima che si formasse l’Americasia e che la Pan Africa ingoiasse l’Europa. E poi, i bagni penali di Titin sono nella nebulosa di Cesare.
— Oh, già — mormorò Ottone. — Ma questo non vuol dire che uno dei suoi ’ensionati si sia volto al bene.
Rydra fissò la parete che poco prima si era aperta. Cercare di comprendere la loro situazione era inutile almeno quanto mettersi a graffiare la parete azzurra.
— Cosa diavolo è successo, comunque?
— Siamo partiti senza un pilota al posto di guida — disse Rydra. — Immagino che chiunque sappia trasmettere in Babel-17 sappia anche trasmettere in inglese.
— Non ci credo. Con chi ha ’arlato Lumaca ’rima che la nave facesse il balzo? Se non avevamo un ’ilota, adesso non saremmo qui. Saremmo una macchietta di grasso sul sole ’iù grande nelle vicinanze.
— Probabilmente è stato lo stesso che ha spezzato quelle piastre dei circuiti. — Rydra tornò con la mente al passato mentre il torpore dell’incoscienza si frantumava. — Non credo che il sabotatore voglia uccidermi. Il TW-55 avrebbe potuto colpirmi con la stessa facilità con cui ha colpito il barone.
— È ’ossibile che la s’ia sulla nave ’arli anche lei Babel-17?
Rydra annuì. — Me lo chiedo anch’io.
Ottone si guardò intorno. — Siamo tutti qua? Dov’è il resto dell’equi’aggio?
— Madame?
Si girarono.
Un’altra apertura nella parete. Una ragazzetta magra, con una sciarpa verde che le cingeva i lunghi capelli castani, reggeva una larga zuppiera.
— Il padrone ha detto che vi eravate ripresi, così vi ho portato questo. — I suoi occhi erano neri e larghi, e le ciglia battevano come le ali di un uccello. Fece un gesto con la zuppiera.
Rydra corrispose alla sua franchezza, ma avvertì nei suoi occhi la paura degli stranieri. Eppure le sue dita sottili reggevano con sicurezza la pesante ciotola. — Sei gentile con noi.
La ragazza fece un leggero inchino e sorrise.
— Sei spaventata, lo so — le disse Rydra. — Ma non devi.
La paura la stava lasciando; i muscoli delle spalle si rilassarono.
— Qual è il nome del tuo padrone? — chiese Rydra.
— Jebel.
Rydra guardò Ottone e annuì.
— E noi siamo alla Montagna di Jebel? — Prese la zuppiera dalle mani della ragazza. — Come ci siamo arrivati?
— Ha agganciato la vostra nave vicino al centro della nova Cygni-42, appena prima che i vostri generatori di stasi vi mandassero a sbatterci contro.
Ottone sibilò. — Nessuna meraviglia che abbiamo ’erso conoscenza. È stato un viaggetto indubbiamente veloce.
Quel pensiero colpì lo stomaco di Rydra. — Allora filavamo diritti verso una nova… Forse non avevamo davvero un pilota.
Ottone tolse il tovagliolo bianco dalla zuppiera. — Abbiamo dei ’olli, ca’itano. — Erano arrosto, e ancora caldi.
— Un momento — disse lei. — Sto pensando a un’altra cosa. — Si girò ancora verso la ragazza. — La Montagna di Jebel è una astronave, allora. E noi siamo a bordo di essa?
La ragazza mise le mani dietro la schiena e annuì. — È anche una buona nave.
— Sono sicura che voi non portate passeggeri. Che carico trasportate?
Aveva posto la domanda sbagliata. Di nuovo la paura; non una personale sfiducia negli sconosciuti, ma qualcosa di più generale e penetrante. — Noi non abbiamo carico, signora. — Poi ammise: — Non dovrei parlare con voi. Chiedete ciò che volete a Jebel. — E arretrò verso la parete, scomparendo.
— Ottone — domandò Rydra, voltando lentamente il capo non appena la ragazza fu scomparsa — non esistono più pirati spaziali da queste parti, vero?
— Non si sono verificati attacchi alle navi da tras’orto da ’iù di settant’anni.
— Era quello che pensavo. E allora su che razza di astronave ci troviamo?
— Che io sia dannato se lo so. — Poi una strana espressione di stupore si dipinse nei suoi occhi. — Hanno agganciato la Rimbaud salvandola dall’attrazione di Cygni-42? Credo di ca’ire ’erché la chiamano la Montagna di Jebel. Quest’affare dev’essere grande almeno quanto una dannata nave da battaglia.
— Se questa è una nave da guerra, Jebel non assomiglia a nessuno spaziale che io abbia mai visto prima.
— E in ogni modo non accettano ex-carcerati di quel genere nell’esercito. Ca’itano, su che diavolo siamo ca’itati?