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— No, non è un mostro, Ottone. — Aprì il portello della sua cabina sulla Rimbaud ed entrò. — Quello era solo un espediente. Come se… — e disse molte altre cose, finché le labbra distorte delle zanne schioccarono e Ottone scosse il capo.

— Cercate di ’arlare inglese, ca’itano. Non vi ca’isco.

Lei prese il dizionario dal ripiano del computer e lo posò sopra i diagrammi. — Mi dispiace — disse. — Questa materia è piuttosto complicata, e maledetta. Una volta imparata, rende tutto così facile… Togli quei nastri dalla piastra di incisione. Voglio ascoltarli ancora.

— Cosa sono? — chiese Ottone portandole i nastri.

— Le registrazioni degli ultimi dialoghi in Babel-17 ai Cantieri di Guerra, appena prima che partissimo. — Li raccolse con cura e fece scattare il tasto d’ascolto del registratore.

Un torrente melodioso invase la stanza e catturò la sua mente in una serie improvvisa di fiammate che lei riusciva a malapena a comprendere. Il complotto per sabotare il TW-55 era delineato con una vivacità allucinante. Quando il nastro arrivò a un punto incomprensibile, Rydra si accorse che il suo corpo tremava e che la sua mente si muoveva su percezioni chiaramente psichedeliche. Solo a fatica riuscì a liberarsene, e il respiro tornò a farsi più normale. Dovette però sbattere le palpebre più volte e scuotere il capo; si morse pure la lingua, una volta, prima di sentirsi del tutto libera.

— Capitano Wong?

Era Ron. Si voltò verso di lui, e la testa ancora le doleva.

— Capitano, non vorrei disturbarvi.

— Va bene — tagliò corto lei. — Cosa c’è.

— Ho trovato questo nella Tana del Pilota. — Le tese un minuscolo rocchetto di nastro magnetico.

Ottone era ancora a fianco del portello. — E cosa ci faceva, nella mia ’arte della nave?

Il viso di Ron lottò a lungo per trovare un’espressione adeguata. — L’ho appena ascoltato con Lumaca. È la richiesta del capitano Wong, o di qualcun altro, diretta alla torre di controllo dei Cantieri di Guerra per chiedere via libera, e contiene anche l’ordine di procedere per Lumaca.

— Capisco — disse Rydra. Prese il rocchetto. Poi aggrottò la fronte. — Questo nastro viene dalla mia cabina. Solo io uso queste bobine a tre perni che ho portato con me dall’università. Tutte le altre macchine a bordo usano bobine a quattro perni. Questo nastro proviene direttamente dal mio registratore.

— Allora — disse Ottone — qualcuno deve essersi infilato qui dentro mentre voi eravate fuori, e ha inciso quel nastro.

— Quando io sono fuori, questa cabina è sigillata in modo tale che neppure un pidocchio discorporato potrebbe strisciare dentro da sotto la porta. — Rydra scosse il capo. — Questa storia non mi piace. A questo punto non so più quali altri tiri mancini posso aspettarmi. Be’… — si alzò in piedi — almeno ora so cosa fare a proposito di Babel-17.

— Che cosa? — domando Ottone. Ora anche Lumaca si era affacciato alla porta e guardava dentro sopra la spalla fiorita di Ron.

Rydra fissò il suo equipaggio. Disagio o sfiducia, quale era il lato peggiore? — Non posso davvero dirvelo, mi capite? È così semplice. — Li guardò a lungo, poi uscì dalla cabina. — Vorrei poterlo fare. Ma sarebbe sciocco da parte mia dopo questa faccenda.

— Ma io devo parlare a Jebel!

Klik il buffone arruffò le penne e alzò le spalle. — Signora, io onorerei i vostri desideri al di sopra di quelli di chiunque altro sulla Montagna, eccettuati quelli di Jebel. Ed è proprio un ordine suo che volete infrangere. Jebel ha lasciato detto che non vuole essere disturbato; sta progettando la traiettoria di Tank per i prossimi mesi. Deve calcolare le correnti con molta attenzione, e tenere conto perfino del peso delle stelle intorno a noi. È un lavoro difficile, e…

— Allora dov’è il Macellaio? Lo chiederò a lui, ma avrei preferito parlare direttamente con…

Il buffone puntò un artiglio verde. È nel teatro di biologia. Dovete scendere attraverso la mensa e prendere il primo ascensore fino al dodicesimo livello. La prima sala sulla sinistra.

— Grazie. — Rydra si incamminò verso la galleria.

All’uscita dall’ascensore trovò subito la massiccia porta a iride e premette il pulsante d’entrata. Il diaframma si schiuse, e Rydra sbatté gli occhi nella luce verde che la investì.

La testa rotonda e le spalle squadrate del Macellaio si stagliavano nette contro una piccola vasca a bolla nel cui interno fluttuava una minuscola figura.

Il Macellaio si girò, la vide e disse: — È morto. — Annuì vigorosamente quasi a convincersene meglio. — Era vivo fino a cinque minuti fa. Sette mesi e mezzo. Doveva sopravvivere. Era abbastanza robusto! — Il suo pugno sinistro schioccò secco contro il palmo destro, nello stesso gesto che aveva colpito Rydra alla mensa. I muscoli tremanti delle braccia si acquietarono lentamente. Fece un gesto verso un tavolo operatorio dove giaceva il corpo dell’Invasore… sezionato. — Troppo malconcio quando l’abbiamo tirato fuori. Gli organi interni non erano al loro posto. Troppa necrosi addominale che non doveva esserci. — Spostò la mano a indicare il fluttuante omuncolo e quel gesto sembrò possedere una certa grazia, forse dovuta all’economia del movimento. — Eppure… sarebbe dovuto sopravvivere.

Spense la luce nella vasca e le bolle che fino a quel momento avevano agitato il liquido intorno al feto cessarono. Fece un passo per allontanarsi dal tavolo di laboratorio. — Cosa desidera la Signora?

— Jebel sta progettando la rotta di Tarik per i prossimi mesi. Potreste chiedergli… — Si arrestò. Poi chiese: — Perché?

I muscoli di Ron, pensò, erano corde viventi che schioccavano e cantavano al vento i loro messaggi. In quell’uomo, invece, i muscoli erano barriere per trattenere fuori il mondo intero e per custodire l’uomo che vi si nascondeva dietro. E c’era qualcosa che sussultava senza posa dietro quelle barriere, qualcosa che non trovava riposo. Il ventre sfregiato si abbassò e il petto si contrasse in un respiro quasi penoso.

— Perché? — ripeté lei. — Perché avete tentato di salvare il bambino?

Quasi per risposta, l’uomo girò il volto e con la mano sinistra si strinse il marchio scarlatto sull’altro bicipite come se di colpo avesse preso a prudergli. Poi fece una smorfia disgustata. — È morto. Ora non serve più a nulla. Cosa vuole la Signora?

Ciò che sussultava si ritirò di colpo e Rydra fece lo stesso. — Voglio sapere se Jebel è disposto a portarmi al Quartier Generale dell’Alleanza. Devo riferire alcune importanti informazioni che riguardano l’Invasione. Se Jebel vorrà scortarmi fino al Quartier Generale, io posso garantirgli protezione e un ritorno sicuro alla regione più densa della Fessura.

Lui la fissò. — Fin giù alla Lingua del Drago?

— Sì. Anche Ottone mi ha detto che quell’estremità della Fessura ha questo nome.

— Protezione garantita?

— Certo. Posso mostrarvi le mie credenziali firmate dal generale Forester dell’Alleanza, se voi…

Ma lui le fece cenno di restare in silenzio. — Jebel? — chiamò nell’intercom alla parete.

Il microfono era direzionale, quindi lei non udì la risposta.

— Per il prossimo ciclo puntare Tarik verso la Lingua del Drago.

Non ci furono né obiezioni, né discussioni.

— Scendere tutta la Lingua e tutto andrà bene.

Lui annuì al silenzioso sussurro di risposta, poi disse: — È morto — e tolse il contatto. — Va bene. Jebel porterà Tarik al Quartier Generale.

La sorpresa sopraffece l’iniziale incredulità di Rydra. Era uno stupore che già avrebbe dovuto provare quando lui aveva così prontamente accettato il suo piano per distruggere le difese degli Invasori, ma in quel momento Babel-17 le aveva precluso certe sensazioni. — Be’, grazie — cominciò — ma non mi avete nemmeno chiesto… — A quel punto decise di formulare l’intera frase in un altro modo.