— La parola tu solo due volte, vero? Eppure nulla si chiarisce, e tu non significa nulla.
Rydra sospirò. — Questo perché stavo usando la parola in modo empatico, rituale, senza fare esplicito riferimento al suo vero significato… Ascolta adesso: io ti ho fatto una domanda e tu non hai saputo rispondere.
Il Macellaio aggrottò la fronte.
— Lo vedi, devi sapere cosa significano per capire quello che ho detto. Il modo migliore per imparare una lingua è ascoltarla. Quindi ascoltami. Quando tu — gli puntò contro un dito — hai detto a me — indicò se stessa — Sapendo quali navi distruggere, e le navi sono distrutte. Ora scendere la Lingua del Drago, Tarik scende la Lingua del Drago, per ben due volte questo pugno — gli toccò la mano sinistra — ha colpito il tuo petto. — Gli sollevò la mano contro il torace. La pelle era liscia e fresca sotto il suo palmo. — Il pugno stava cercando di dire qualcosa, e se tu avessi usato la parola io, non avresti dovuto usare il pugno. Quello che cercavi di dire era: «Tu sapevi quali navi distruggere, e io ho distrutto le navi. Tu vuoi scendere la Lingua del Drago, io porterò Tarik giù per la Lingua del Drago».
Il Macellaio corrugò nuovamente la fronte. — Sì, il pugno per dire qualcosa.
— Tu non te ne accorgi, ma a volte vuoi dire certe cose, e ti manca un’idea per costruire queste cose, e ti manca anche la parola per rappresentare l’idea. All’inizio era la parola… È così che qualcuno, una volta, ha cercato di spiegare tutto quanto. Finché una cosa non riceve un nome, non esiste. E questa esistenza è necessaria al cervello dell’uomo, perché altrimenti tu non continueresti a picchiarti sul petto o a battere un pugno contro il palmo per cercare di comunicare. Il cervello vuole che esista; lascia che io gli insegni la parola.
La fronte del Macellaio si fece ancor più corrugata.
E proprio allora la nebbia si aprì dinanzi a loro. Nell’oscurità macchiata di stelle si stagliava una larga e ondulante finestra sensoria che trasmetteva su una frequenza vicina a quella della luce normale.
— Ecco — disse il Macellaio — quella è la nave aliena.
— Proviene da Ciribia IV — mormorò Rydra. — Sono favorevoli all’Alleanza.
Il Macellaio fu sorpreso dal suo rapido riconoscimento. — Una nave molto strana.
— Ai nostri occhi può sembrare quasi ridicola.
— Jebel non sapeva da dove veniva.
— Non ne avevo più vista una da quando ero bambina. Dovevamo ricevere dei delegati di Ciribia alla Corte dei Mondi Esterni. Mia madre era traduttrice a quel congresso. — Si appoggiò alla balaustra e rimase a fissare la nave. — A vederla così sottile e delicata non si direbbe che può volare o compiere balzi in iperstasi. Eppure lo fa.
— Loro hanno questa parola, io?
— A dire il vero, ne possiedono tre forme: Io-al-di-sotto-di-una-temperatura-di-sei-gradi-centigradi, Io-fra-i-sei-gradi-centigradi-e-i-novantatré-gradi-centigradi, e Io-al-di-sopra-dei-novantatré.
Il Macellaio sembrò confuso.
— Ha a che fare con il loro processo riproduttivo — gli spiegò Rydra. — Quando la temperatura è inferiore ai sei gradi sono sterili. Possono concepire solo quando la temperatura si aggira tra i sei e i novantatré gradi, ma per partorire deve essere superiore ai novantatré.
La nave Ciribiana si muoveva attraverso lo schermo, simile a un ciuffo di penne umide.
— Forse posso spiegarti qualcosa in questo modo: le nove razze che conosciamo hanno zone d’influenza estese quanto le nostre, possiedono società tecnicamente sviluppate e complicate economicamente al pari della nostra, senza contare che sette di loro sono impegnate nella nostra stessa guerra, eppure è difficilissimo che abbiano contatti diretti con noi. È talmente raro che una cosa del genere avvenga, che perfino un comandante dell’esperienza di Jebel può essere incapace di identificare una delle loro navi quando questa gli passa vicino. Non ti chiedi perché?
— Perché?
— Perché i fattori di compatibilità per le nostre comunicazioni sono incredibilmente bassi. Prendi ad esempio i Ciribiani, la cui scienza è in grado di fare volare quelle piume da stella a stella; non possiedono nessuna parola per “casa”, “abitazione”, o “abitare”. «Noi dobbiamo proteggere le nostre famiglie e le nostre case». Quando si stava preparando il trattato fra noi e i Ciribiani, alla Corte dei Mondi Esterni, ricordo che furono necessari quarantacinque minuti per dire in Ciribiano questa frase. La loro intera cultura è basata sul calore e sui mutamenti di temperatura. Siamo stati fortunati che conoscessero il significato di “famiglia”, perché sono gli unici ad averla oltre agli uomini. Ma per spiegare “casa” si è dovuto ricorrere a “…un ambiente rinchiuso in grado di creare una discrepanza termica con l’esterno, capace di mantenere in uno stato confortevole una creatura avente una temperatura corporea uniforme di novantotto gradi. Lo stesso ambiente può abbassare la propria — temperatura durante i mesi caldi ed elevarla durante la stagione fredda, provvedendo una sistemazione dove i sostentamenti organici possano essere refrigerati per la conservazione, oppure riscaldati ad una temperatura adeguata all’organismo dell’occupante…” e via di questo passo. Alla fine si è riusciti a dare loro un’idea di quello che poteva essere una “casa”, e perché fosse nostro dovere proteggere le nostre. Poi è successa una cosa divertente. C’era un impianto di conversione per l’energia solare che forniva elettricità a tutta la Corte; i componenti elettronici per l’amplificazione e la riduzione del calore occupavano un’area di poco superiore a quella di Tarik. Un Ciribiano scivolò nell’impianto e se ne andò poi a descriverlo a un secondo Ciribiano che, senza mai averlo visto prima, ne ricostruì un duplicato perfetto… perfino nel colore in cui erano dipinte le pareti. Ciò successe perché loro pensavano che avessimo ottenuto dei risultati ingegnosi con un circuito secondario, e perché volevano tentare di fare lo stesso. Ma quello che conta è che la descrizione, la disposizione di ogni componente, le rispettive dimensioni, tutto quanto insomma, consistette in nove parole. E nove parole davvero brevi, oltretutto.
Il Macellaio scosse il capo con decisione. — No. Un sistema di conversione del calore solare è troppo complicato. Queste mani ne hanno smontano uno, non molto tempo fa. Troppo grosso. Non…
— Eppure, Macellaio, loro lo hanno descritto in nove parole. In inglese ci sarebbero voluti un paio di libri pieni di schemi elettrici e di particolari tecnici. Loro avevano le nove parole adatte. Noi no.
— Impossibile.
— Come quella. — Lei indicò la nave Ciribiana. — Eppure c’è e vola. Poi rimase un attimo silenziosa. — Se tu conoscessi le parole adatte — gli disse alla fine — risparmieresti molto tempo e faresti tutto più facilmente.
Dopo alcuni secondi, lui le chiese: — Che cos’è io?
Rydra sorrise. — Per prima cosa è una parola molto importante. Più di ogni altra. La mente di un uomo potrà lasciare colare a picco molte cose, ma io rimarrà sempre vivo. Perché, dopotutto, il cervello stesso è parte dell’io. Un libro è, una nave è, Jebel è, l’universo intero è, ma, come devi avere già notato, io sono.
— Sì — convenne il Macellaio. — Ma io che cosa sono?
La nebbia cancellò la finestra sensoria, appannando le stelle e la nave Ciribiana.
— Questa è una risposta alla quale tu solo puoi rispondere.
— Anche tu deve essere importante — rifletté il Macellaio — perché il cervello ha sentito che tu sei.
— Benissimo!
Improvvisamente lui le pose una mano contro la guancia. Lo sperone che pendeva dal polso le sfiorava appena il labbro inferiore. — Tu e io — disse il Macellaio. Avvicinò il viso al suo. — Nessun altro è qui. Solo tu e io. Ma chi è tu e chi è io?