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— Conoscete il modo in cui certi orientali confondono i suoni di R e L quando parlano una lingua occidentale, non è vero? Questo accade perché in molte lingue orientali R e L sono omofoniche, cioè considerate come uno stesso suono, e perfino scritte e sentite nello stesso modo… proprio come succede in inglese con il gruppo th all’inizio di they e di theater.

— E quale differenza di suono vi sarebbe fra queste due parole?

— Fate la prova. Pronunciatele e ascoltate. Una è sonora e l’altra sorda. Sono distinte come V e F, ma in inglese sono omofoniche e si è abituati a sentirle come se fossero lo stesso fonema.

— Oh!

— Ora capite il problema che si pone a uno “straniero” che debba trascrivere una lingua che lui non sa parlare; potrebbe fare troppe distinzioni fonetiche, o troppo poche.

— Voi come contate di procedere?

— Con le mie conoscenze dei sistemi fonetici di molte altre lingue e con l’intuito.

— Di nuovo la vostra “abilita”?

Lei sorrise. — Immagino di sì.

Poi sembrò restare in attesa di una sua approvazione. Ma cosa avrebbe potuto negarle lui? Per un attimo si era lasciato distrarre dalle sottigliezze della sua voce.

— Certo, signorina Wong — disse. — Siete la nostra esperta. Venite domani al Dipartimento e avrete libero accesso a tutto ciò che vi serve.

— Grazie, generale Forester. Vi porterò anche il mio rapporto ufficiale.

Lui rimase immobile nel fascio statico del suo sorriso. “Ora devo andare” pensò disperato. “Oh, devo riuscire a dirle ancora qualcosa.” — D’accordo, signorina Wong. A domani, allora. — “Ancora qualcosa, qualsiasi cosa…”

Strappò a fatica il suo corpo dal banco (“Devo voltarle le spalle”) senza riuscire a dire altro, neppure grazie, arrivederci, ti amo. Andò verso la porta, mentre i suoi pensieri si acquietavano. “Chi è questa donna?” Oh, le cose che avrebbe dovuto dirle… “sono stato brusco, militaresco, efficiente. Ma quanti altri pensieri e parole avrei voluto donarle.” La porta si aprì, e la sera sfiorò i suoi occhi con lunghe dita blu.

“Dio mio” pensò, mentre l’aria fredda gli colpiva il viso “tutto questo mi ribolliva dentro e lei non ne sa nulla! Non le ho detto nulla!” Da qualche parte, nel profondo, anche le parole nulla, sei ancora salvo. Ma più forte, in superficie, la vergogna per il proprio silenzio. Non le aveva detto assolutamente nulla…

Rydra si alzò, le mani sull’orlo del banco, fissando lo specchio. Il barista si avvicinò per prendere i bicchieri vuoti. Mentre allungava le mani per prenderli, si accigliò bruscamente.

— Signorina Wong?

Gli occhi di lei erano fissi.

— Signorina Wong, non vi…

Le nocche delle sue mani erano bianche, e sotto gli occhi del barista il pallore risalì lungo le mani facendole sembrare di cera tremolante.

— C’è qualcosa che non va signorina Wong?

Lei voltò di scatto il viso nella sua direzione. — Te ne sei accorto? — La sua voce era un sussurro rauco, duro, sarcastico, spossato. Si allontanò dal banco e andò verso la porta, si fermò qualche istante a tossire, poi corse fuori.

2

— Mocky, aiutami!

— Rydra? — Il dottor Markus T’mwarba sollevò di scatto la testa dal cuscino. Nell’oscurità, il volto di lei spiccava al centro del rettangolo luminoso sopra il letto. — Dove sei?

— Qui sotto, Mocky. Ti prego, devo parlarti.

Il suo viso agitato scivolava da una parte all’altra dello schermo, cercando di evitare il suo sguardo. Lui strizzò gli occhi a quel bagliore, poi li riaprì lentamente. — Vieni di sopra.

Il viso di Rydra scomparve.

Lui annaspò con una mano verso il pannello di controllo e una soffice luce invase la sontuosa camera da letto. Respinse la coperta dorata, appoggiò i piedi sul morbido tappeto di pelliccia e raccolse una tunica di seta nera dalla colonna di bronzo cesellato. Se la gettò sulla schiena, e il tessuto biologico si distese lentamente sulle spalle modellandosi intorno al torace. Sfiorò di nuovo il pannello al centro della grande cornice rococò e sulla parete si aprì uno sportello di alluminio. Una caffettiera fumante e una caraffa di liquore scivolarono verso di lui.

Un altro gesto fece gonfiare le poltrone sul pavimento. E mentre il dottor T’mwarba si girava verso il cubicolo dell’ingresso, questo mandò un leggero scricchiolio e due ali di mica scivolarono nelle pareti, lasciando entrare Rydra con il fiato mozzo.

— Caffè? — Le chiese lui, e spinse la caffettiera che, sostenuta dal campo di forza, veleggiò verso di lei.

— Mocky, lui… io…?

— Bevi il tuo caffè.

Lei ne riempì una tazza, ma la fermò a mezza strada dalle labbra. — Niente sedativi?

— Crème de cacao o Crème de café? — Lui le mostrò due piccoli bicchieri. — A meno che tu non ritenga anche l’alcol un sedativo. Oh, deve essere rimasto ancora un po’ di salsiccia e fagioli della cena. Ho avuto gente.

Lei scosse il capo. — Solo cacao.

Il bicchiere seguì la caffettiera lungo il fascio. — Ho avuto una giornata veramente spaventosa. — Unì le mani. — Non ho potuto lavorare per tutto il pomeriggio, a cena avevo ospiti che volevano discutere a tutti i costi e che dopo essersene andati mi hanno sommerso di chiamate. Mi ero infilato a letto dieci minuti fa. — Le sorrise. — Com’è andata la tua serata?

— Mocky, è… è stato terribile.

Il dottor T’mwarba sorseggiò il suo liquore. — Bene. Altrimenti non ti avrei perdonato di avermi svegliato.

Lei si sforzò di sorridere. — P…posso sempre e…contare sulla tua c…comprensione, Mocky.

— Tu puoi contare su di me per il buon senso e per qualche persuasivo consiglio psichiatrico. Comprensione? Mi dispiace, ma non dopo le undici e mezzo di sera. Ora siediti. Cosa è successo? — Un movimento della mano fece spuntare dietro a Rydra una comoda poltrona. L’orlo le sfiorò le gambe e lei sedette. — Ora smettila di balbettare. Hai superato per sempre questo stato quando avevi quindici anni. — La sua voce era gentile e sicura.

Rydra mandò giù un altro sorso di caffè. — Il codice, ricordi il codice sul quale stavo lavorando?

Il dottor T’mwarba si abbassò verso una larga amaca di pelle e si spinse indietro i capelli bianchi che gli cadevano sulla fronte, ancora arruffati dal sonno. “Ricordo che ti era stato chiesto di lavorare su qualcosa per conto del governo. E che tu non ne sembravi molto soddisfatta.”

— Appunto. E… bene, non è stato il codice… che fra l’altro è una lingua… ma quello che è successo questa sera. Io… io ho parlato con il generale Forester, è successo… voglio dire, è successo ancora, e io lo sapevo!

— Sapevi che cosa?

— Come l’ultima volta, io sapevo quello che lui stava pensando!

— Leggevi nella sua mente?

— No. No, era come l’ultima volta! Io sapevo, da quello che lui stava facendo, quello che lui era sul punto di dire…

— Hai già tentato di spiegarmelo un’altra volta, ma ancora non capisco cosa sia successo, a meno che tu non stia parlando di una specie di telepatia.

Lei scrollò con furia il capo.

Il dottor T’mwarba fissò attentamente la punta delle sue dita e si spinse indietro con le spalle. Improvvisamente Rydra cominciò a parlare con voce piatta:

“Ora incomincio ad avere una chiara idea di quello che stai dicendo, mia cara, ma devi cercare di spiegarlo ancora con le tue stesse parole. Era questo che stavi per dire, non è vero, Mocky?”

T’mwarba inarcò le bianche estremità delle sue sopracciglia.

— Sì. Era proprio questo. E dici di non aver letto nella mia mente? Me lo hai dimostrato almeno una dozzina di volte.