Lui le aveva detto, «Se ti troverai mai in pericolo… allora entra pure nella mia mente e guarda cosa contiene. Usa qualsiasi cosa contiene. Usa qualsiasi cosa ti serva».
Una immagine nella sua mente senza nessuna parola: una volta si era trovata, con Muels e Fobo, invischiata in una rissa. Qualcuno l’aveva colpita con un pugno alla mascella e lei aveva barcollato all’indietro, senza ancora perdere i sensi, ed era stato come se qualcuno avesse tolto lo specchio da dietro il banco del bar e glielo avesse posto di fronte. Il suo stesso viso terrificato si era avvicinato a lei, si era infranto contro la sua mano spalancata. E mentre lei fissava il volto del Macellaio attraverso il dolore e la paura e Babel-17, tutto successe come quella volta…
PARTE QUARTA
Il Macellaio
1
— Siamo a’’ena usciti dalla Fessura, ca’itano. Voi due siete già sbronzi?
La voce di Rydra: — No.
— Come volete. Comunque state bene, vero?
La voce di Rydra: — Il cervello bene. Il corpo bene.
— Uh? Ehi, Macellaio, ha avuto un altro di quei suoi malori?
La voce del Macellaio: — No.
— Non mi sembrate molto allegri. Devo mandare giù Lumaca a darvi un’occhiata?
La voce del Macellaio: — No.
— Va bene. Ora la navigazione è ’iù facile, e ’osso abbreviare il viaggio di un ’aio d’ore. Cosa ne dite?
La voce del Macellaio: — Cosa c’è da dire?
— ’rovate con “grazie”. Non fa mai male.
La voce di Rydra: — Grazie.
— Meglio di niente, immagino. Vi lascerò in ’ace.
Ehi, scusate se ho interrotto qualcosa.
2
“Macellaio, non lo sapevo! Non potevo saperlo”
E nell’eco le loro menti si fusero in un solo grido: Non potevo saperlo… non potevo. Questa luce…
“L’ho detto a Ottone, gli ho detto che tu parlavi una lingua priva della parola io e che io non ne conoscevo nessuna. Ma ne esisteva una, la più ovvia, Babel-17…!”
Sinapsi concordanti vibrarono leggere finché le immagini non si incastrarono, e creando da se stessa quelle immagini Rydra lo vide…
… nel minuscolo cubicolo di isolamento su Titin, lui stava tracciando con lo sperone una mappa sulla vernice verde della parete, ingombra delle oscenità graffite da sue secoli di prigionieri; era una mappa che le guardie avrebbero seguito dopo la sua fuga, e che le avrebbe portate nella direzione sbagliata. Lei lo vide misurare per tre mesi quella gabbia di un metro e venti di lato, finché il suo corpo robusto non fu ridotto a pesare una cinquantina di chili e crollò sotto i morsi del digiuno.
Su una tripla fune di parole lei risalì dal pozzo: digiuno, fuga, puntata; crollare, correre, incassare; morsi, mutamento, azzardo.
Lui incassò le sue vincite alla cassa e si avviò sopra la folta moquette rossastra verso l’uscita della casa da gioco, quando il croupier negro gli si parò davanti, sorridendo con gli occhi puntati sulla valigetta piena di banconote. — Non vorreste sfidare ancora la sorte, signore? Con qualcosa di più adatto a un giocatore della vostra abilità? — Fu accompagnato dinanzi a una splendida scacchiera tridimensionale con le pedine in ceramica smaltata. — Giocherete contro il computer della casa. Ogni pezzo perduto vi costerà mille crediti. Ogni pezzo vinto vi farà guadagnare la stessa cifra. Per ogni scacco inferto o subito, la vincita o la perdita sarà di cinquecento crediti. Lo scacco matto porterà al vincitore cento volte la posta ancora in gioco sulla scacchiera. — Era una partita preparata apposta per ingoiare le sue vincite esorbitanti, perché lui aveva appunto vinto cifre esorbitanti. Ora vado a portare a casa questi soldi — lui disse al croupier. Il croupier sorrise e disse: — La casa insiste perché voi giochiate. — Rydra osservò, affascinata, mentre il Macellaio scrollava le spalle, si voltava verso la scacchiera… e dava scacco matto al computer con sette mosse. Gli pagarono il suo milione di crediti… e tentarono di assassinarlo tre volte ancora prima che lasciasse la casa da gioco. Non ebbero successo, ma quello sport lo divertì più del gioco.
Guardandolo muoversi e reagire in quelle situazioni, la mente di Rydra sussultò dentro la sua, piegandosi al suo piacere e al suo dolore, emozioni bizzarre in quanto prive di ego e inarticolate, magiche, seducenti, mitiche. “Macellaio…”
Riuscì a interrompere quel frenetico girare.
“…se allora tu comprendevi già Babel-17, perché te ne sei sempre servito in modo così gratuito, per una serata di gioco o una rapina in banca, quando il giorno dopo avresti perso tutto senza fare il minimo sforzo per tenere qualcosa per te?”
“Per me? allora non esisteva nessun io.”
Lei era entrata in lui con una strabiliante sessualità rovesciata, e accogliendola dentro di sé, ora lui agonizzava. “La tua luce… Tu crei quella luce!” era il suo grido di terrore.
“Macellaio” chiese lei, più abituata a plasmare parole intorno a turbolenze emotive “com’è la mia mente agli occhi della tua?”
“Lucente, si muove luminosa” ululò lui, con la precisione analitica di Babel-17, dura come roccia, che articolava la loro fusione mentale e creava di continuo nuovi schemi.
“Essere poeta significa questo” spiegò lei, e l’obliqua connessione spezzò momentaneamente il diluvio di immagini. “In greco, poeta significa ’costruttore’ o ’artefice’.”
“Eccone uno! C’è uno schema, ora. Ahhhhl… cosi luminoso, troppa luce!”
“Solo per quel semplice collegamento semantico!” si stupì lei.
“Ma i greci erano poeti tremila anni fa e tu sei poeta ora. Tu unisci fra loro parole così distanti, e le loro scie mi accecano. I tuoi pensieri sono di fuoco, sopra forme che non posso afferrare. Suonano come musica troppo profonda, che mi scuote.”
“Questo perché non sei mai stato scosso prima. Ma mi sento lusingata.”
“Sei cosi grande dentro di me, e ho paura di spezzarmi. Vedo lo schema chiamato ’il criminale e la coscienza artistica si incontrano nella stessa testa con un lingua quale intermediaria…’”
“Sì, avevo iniziato a pensare qualcosa di…”
“E ai suoi fianchi, forme chiamate ’Baudelaire’…ahhh!…e ’Villon’.”
“Erano antichi poeti fran…”
“Troppo luminose! Troppa luce! L’io che è in me non è abbastanza forte per trattenerle. Rydxa, quando guardo la notte e le stelle, è solo un atto passivo, ma tu sei attiva anche quando guardi, e rendi l’aureola delle stelle ancora più luminosa.”
“Ognuno cambia ciò che percepisce, Macellaio. Ma prima si deve percepirlo.”