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— Mi attendevo una maggiore cooperazione, dottore.

— Io sto cooperando, generale. Sono qui. Ma voi volete che io faccia qualcosa, e se non so esattamente di che cosa si tratta, non posso farlo.

— È un atteggiamento del tutto antimilitare — replicò il generale Forester girando intorno al proprio tavolo. — E ultimamente ho dovuto affrontarlo sempre più spesso. Non so neppure se mi piaccia. Ma non so nemmeno se mi dispiace. — Nella sua divisa verde da spaziale, si sedette sul bordo del tavolo e sfiorò pensosamente le stelle sul colletto. — Rydra Wong è stata la prima persona che ho incontrato in tutti questi anni alla quale non potevo dire: faccia questo, faccia quello, e che io sia dannatq se vi dirò le conseguenze che ho dovuto sopportare! La prima volta che le ho parlato di Babel-17, pensavo che le avrei dato le trascrizioni dei dialoghi e che lei me le avrebbe restituite con la traduzione in inglese. Invece lei mi disse chiaro e tondo di no: avrei dovuto dirle di più. Era la prima volta in quattordici anni che qualcuno mi diceva di fare qualcosa. Forse non mi è piaciuto; ma è sicuro come l’inferno che l’ho rispettata proprio per questo. — Intrecciò in uno strano gesto protettivo le mani sullo stomaco (Protettivo? Era stata Rydra a insegnargli come interpretare quei movimenti? meditò per un istante T’mwarba.) — È così facile rinchiudersi nel proprio frammento di mondo. Poi una voce attraversa le nostre barriere, e ci accorgiamo che è importante. Rydra Wong… — e il generale si arrestò, con un’espressione sul viso che fece accapponare la pelle al dottor T’mwarba.

— Sta bene, generale Forester? Oppure ha bisogno di cure?

— Non lo so — rispose il generale. — C’è una donna, nel mio ufficio interno… e un uomo. Non posso dirvi se la donna è Rydra Wong oppure no. Certo non è più la stessa donna con la quale ho parlato quella sera.

Ma T’mwarba era già arrivato alla porta, l’aveva spalancata.

Un uomo e una donna alzarono gli occhi. L’uomo era massiccio e aggraziato, con i capelli color ambra… un forzato, se ne accorse subito dal marchio sul braccio. La donna…

T’mwarba mise le mani sui fianchi. — Allora, cosa sono sul punto di dirti?

Lei disse: — Non comprensione.

Il modo di respirare, le mani arricciate in grembo, la curva delle spalle, tutti i particolari la cui importanza lei gli aveva dimostrato migliaia di volte; nella terrificante durata di un respiro capì quanto fossero importanti per una identificazione. Per un attimo desiderò che lei non gli avesse mai insegnato a distinguere quei segni, perché adesso erano tutti scomparsi, e la loro assenza in quel corpo familiare era peggiore di qualsiasi cicatrice o mutilazione. Cominciò allora a parlare con voce che Rydra conosceva bene, con il tono che lui aveva sempre usato per lodarla o rimproverarla: — Ero sul punto di dire… che se questo è uno scherzo, tesoro, io ti… sculaccerò a dovere. — Terminò con il tono riservato agli sconosciuti, ai piazzisti e ai numeri telefonici sbagliati, e si sentì insicuro. — Se non sei Rydra, chi sei?

Lei disse: — Non comprensione della domanda. Generale Forester, quest’uomo è il dottor Markus T’mwarba?

— Sì, è lui.

— Un momento. — T’mwarba si rivolse al generale. — Avrete già controllato le impronte digitali, i tassi metabolici, gli schemi della retina e tutto il resto, non è vero?

— Questo è il corpo di Rydra Wong, dottore.

— E va bene: ipnosi, condizionamento sperimentale, innesto di materia corticale preconnessa… conoscete qualche altro modo per inserire la mente di una persona in un’altra testa?

— Sì. Altri diciassette modi. Non c’è la minima traccia di nessuno di questi. — Il generale si avvicinò alla porta. — Lei ha detto chiaramente che vuole parlarvi da sola. Sarò qui fuori. — E chiuse la porta dietro di sé.

— Sono del tutto sicuro di chi non sei — disse il dottor T’mwarba dopo un istante.

La donna sbatté le palpebre e disse: — Messaggio da Rydra Wong, riferito testualmente, non comprensione del suo significato. — Di colpo il suo viso prese un’espressione eccitata e familiare; le sue mani si intrecciarono e lei si spinse leggermente in avanti. — Mocky, sono felice che tu sia venuto. Non posso reggere a lungo, quindi ascolta: Babel-17 è una lingua artificiale più o meno simile all’Onoff, all’Algol e al Fortran. Sono davvero telepatica, dopotutto, ma ho appena imparato il modo per controllare questa mia capacità. Ho già… abbiamo già sgombrato il campo dai tentativi di sabotaggio di Babel-17, ma adesso siamo prigionieri, e se vuoi tirarci fuori di qui, devi dimenticare chi sono io. Usa quello che c’è alla fine del nastro, e scopri chi è lui! — Indicò il Macellaio.

L’eccitazione scomparve, e il viso fu riconquistato dalla rigidità. L’intera trasformazione lasciò T’mwarba con il fiato sospeso. Poi scosse il capo e riprese a respirare normalmente. Dopo qualche istante, tornò nell’ufficio del generale. — Chi è l’avanzo di galera? — chiese senza mezzi termini.

— Stiamo facendo ricerche sul suo conto. Speravo di avere la risposta in mattinata. — Qualcosa lampeggiò sul tavolo. — Ecco qui. — Aprì uno scomparto sul ripiano del tavolo e ne tirò fuori una busta. Mentre spezzava il sigillo, fece una pausa. — Vi spiacerebbe dirmi cosa sono Onoff, Algol e Fortran?

— Per non correre rischi, ascoltare sempre dai buchi delle serrature. — T’mwarba sospirò e sedette sulla poltrona-bolla di fronte al tavolo. — Sono antichi linguaggi del ventesimo secolo… lingue artificiali usati per programmare i computer, progettati specificamente per delle macchine. Onoff era il più semplice. Riduceva tutto a una combinazione di due parole, on e off, cioè al sistema numerico binario. Gli altri erano più complessi.

Il generale annuì e terminò di aprire la busta. — Quell’uomo è arrivato con lei su un battello-ragno. L’equipaggio si è un po’ agitato quando volevano sistemarli in quartieri separati. — Sospirò. — Dev’essere qualcosa di psichico. Così li abbiamo lasciati insieme.

— Dove si trova l’equipaggio? Non potrebbe aiutarci?

— Quelli? È come cercare di parlare con creature uscite da un incubo. Gente dei Trasporti. Chi può parlare con persone come quelle?

— Rydra lo poteva — mormorò il dottor T’mwarba. — Mi piacerebbe vederli, se fosse possibile.

— Se lo volete. Li abbiamo trattenuti al Quartier Generale. — Cominciò a leggere i fogli, e si oscurò in volto.

— Strano. C’è un resoconto piuttosto dettagliato sulla sua vita che copre un periodo di cinque anni, e che inizia con qualche furtarello e lavoretti di muscolo per una banda. Poi abbiamo un paio di omicidi su commissione, una rapina a una banca… — Il generale arricciò le labbra e annuì con aria da intenditore. — Si è fatto due anni di lavori forzati nel bagno penale di Titin, poi è evaso… un ragazzo in gamba, dopotutto. Risulta scomparso nella Fessura di Specelli, presumibilmente morto o incorporato nell’equipaggio di una nave-ombra. Be’, morto non lo era di sicuro. Ma prima del dicembre ’61, sembra non essere mai esistito. Nella malavita, il suo nome era Macellaio.

Bruscamente, il generale si tuffò verso un cassetto e ne prese una cartella. — Kreto, Terra, Minosse, Callisto — lesse, poi picchiò sulla cartella con il dorso di una mano. — Aleppo, Rea, Olimpia, Paradiso, Dite!

— Che cos’è, l’itinerario del Macellaio prima di finire su Titin?

— Si dà il caso che sia proprio così. Ma è anche la successione di una serie di incidenti iniziata nel dicembre ’61, che siamo riusciti a collegare a Babel-17 solo di recente. Ci eravamo messi al lavoro solo sugli “incidenti” più recenti, ma poi è emerso questo schema che risaliva ad anni precedenti. Tutti i rapporti parlavano di strane trasmissioni radio. Credete che la signorina Wong abbia portato a casa il nostro sabotatore?