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— Io so quello che tu stai per dire; e tu non sai quello che io sono sul punto di dire. Non è giusto! — Fu quasi sul punto di alzarsi dalla poltrona.

Poi, insieme, dissero: — È per questo che sei un’ottima poetessa.

E solo lei proseguì: — Lo so, Mocky. Un poeta estrae dalla propria testa le cose che danno vita alle sue poesie e le presenta alla gente nella speranza che tutti le possano capire. Ma non è questo che io faccio negli ultimi dieci anni. Sai quello che faccio? Io ascolto le persone che mi circondano, mi immergo nei loro mezzi pensieri e nelle sensazioni mutilate che non riescono ad esprimere. Questo mi ferisce profondamente. Così vado a casa e lucido queste sensazioni, le levigo, le rendo raffinate con l’aggiunta di un metro ritmico e le faccio scintillare finché non mi feriscono più. Questa è la mia poesia. Io conosco ciò che la gente vuole dire, e lo dico al posto loro.

— La voce della tua epoca — mormorò T’mwarba.

Lei disse qualcosa di irripetibile e abbassò la testa. Quando la rialzò, c’erano delle lacrime sulle sue palpebre inferiori. — Quello che io voglio dire, quello che io vorrei esprimere, è… — Di nuovo scosse lentamente il capo. — Non riesco a dirlo.

— Se vuoi continuare a essere una poetessa, dovrai farlo.

Lei annuì. — Mocky, fino all’anno scorso io non sapevo neppure di scrivere le idee di qualcùn altro. Pensavo che fossero le mie.

— Ogni giovane scrittore che valga qualcosa deve passarci attraverso. È così che imparerai a servirti della tua arte.

— Ma adesso io ho qualcosa da dire che è soltanto mia. Non sono tutte le solite cose che pensano gli altri, abbellite ed esposte in maniera originale. E non sono soltanto violente contraddizioni di quello che loro pensano e dicono, ma sono cose nuove, e io sono spaventata a morte.

— Tutti i giovani scrittori che incominciano a maturare provano queste sensazioni.

— È facile ripeterlo, Mocky. Ma per me è difficile dirlo.

— Bene, questo significa che lo stai imparando proprio ora. Perché non mi racconti esattamente come funziona questo tuo… processo di conoscenza?

Lei rimase silenziosa per una decina di secondi. — Va bene. Tenterò ancora. Appena prima di lasciare il bar, stasera, stavo fissando lo specchio e il barista che mi era venuto vicino mi ha chiesto se c’era qualcosa che non andava.

— Aveva sentito che eri turbata?

— Non aveva “sentito” un accidente. Stava guardando le mie mani. Le avevo appoggiate all’orlo del banco e mi stavano diventando bianche per la tensione. Non c’era bisogno che fosse un genio per capire che qualcosa andava storto.

— I baristi sono molto sensibili a questo tipo di segnali inconsci. Fa parte del loro mestiere. — Finì lentamente il suo caffè. — Così le tue dita stavano diventando bianche? Che cosa ti aveva detto il generale, oppure cosa non ti aveva detto, dopo essere stato sul punto di farlo?

Sulla guancia di Rydra un muscolo sussultò due volte, il dottor T’mwarba si chiese se quel gesto fosse dovuto semplicemente al suo nervosismo.

— È un uomo vivace, un po’ duro, ma piuttosto efficiente — spiegò lei. — Probabilmente non è sposato, e ha alle spalle una carriera militare che giustifica la sua insicurezza in certi momenti. Dev’essere sui cinquanta. È entrato nel bar dove avevamo appuntamento e ha socchiuso per un attimo gli occhi nel vedermi; teneva le braccia rigide lungo i fianchi, ma ho visto che le sue dita si torcevano mentre rallentava il passo per avvicinarsi a me. Poi gli ultimi tre passi li ha fatti quasi di corsa, e mi ha stretto la mano come se temesse che la mia potesse spezzarsi.

Il sorriso di T’mwarba si tramutò in una risata. — Si è innamorato di te!

Lei annuì.

— Ma perché ciò dovrebbe sconvolgerti? Penso che dovresti invece sentirtene lusingata.

— Oh, lo ero! — Rydra si sporse in avanti. — Io ero lusingata. E potevo anche seguire il corso dei suoi pensieri. Una volta, mentre lui stava tentando di concentrarsi sul codice, Babel-17, gli ho anche detto quello che lui stava pensando, solo per lasciargli capire che ero così vicina a lui. Ed è stato allora che mi sono accorta che lui prendeva in considerazione la possibilità che io leggessi nella sua mente.

— Aspetta un momento. Questa è la parte che non capisco. Come facevi a sapere esattamente quello che lui pensava?

Rydra appoggiò il viso al palmo di una mano. — Me lo ha confermato lui. Io gli ho detto qualcosa a proposito delle informazioni che mi servivano per decifrare la lingua, e lui non voleva darmele. Ho insistito che senza di esse non avrei potuto proseguire il mio lavoro, e che il problema era semplice. Lui allora ha sollevato il capo per una frazione di secondo… per evitare di scuoterlo negativamente. Se avesse scosso il capo e contemporaneamente stretto le labbra, cosa pensi che avrebbe voluto dire?

Il dottor T’mwarba sospirò. — Che non era così semplice come tu pensavi?

— Esatto. Ma lui ha fatto un altro gesto, senza muovere le labbra. Cosa significava quello?

T’mwarba scrollò il capo.

— Ha evitato quel gesto perché ha collegato il fatto che non si trattava per nulla di una faccenda così semplice alla mia presenza in quel posto. Quindi, per reazione, ha sollevato il capo.

— Qualcosa come: Se fosse così semplice, non avremmo bisogno di voi — suggerì alla fine T’mwarba.

— Perfetto. Ora, mentre lui alzava la testa, c’è stata una brevissima esitazione a mezza strada. Capisci che cosa significava?

— No.

— Se fosse così semplice… ecco la pausa… se solo fosse così semplice, noi non avremmo mai cercato il vostro aiuto. E io gliel’ho detto; poi lui ha irrigidito la mascella…

— Per la sorpresa?

— … Sì. È stato allora che si è chiesto per un secondo se io non avessi letto nella sua mente.

Il dottor T’mwarba si agitò inquieto sull’amaca. — È troppo esatto, Rydra. Tu mi stai descrivendo un saggio di lettura muscolare, tecnica che può benissimo essere accurata e rivelatrice, specialmente se si conosce l’area logica sulla quale sono puntati i pensieri del soggetto. Ma è ancora troppo esatto. Cerca di ritornare indietro al motivo che ti ha sconvolta. Il tuo pudore è stato offeso in qualche modo dalle attenzioni di questo… rude spaziale?

Lei si distese sulla poltrona senza mostrare nessuna traccia di modestia oltraggiata. Il dottor T’mwarba si mordicchiò nervosamente un labbro e si chiese se in quel momento lei lo capisse.

— Non sono più una bambina — mormorò Rydra. — E comunque, lui non stava pensando a nulla di male. Te l’ho già detto, mi sentivo lusingata dai suoi pensieri. E quando gli ho fatto quello scherzetto, cercavo solo di fargli capire che gli ero vicina. Pensavo davvero che lui fosse affascinante. E se fosse stato in grado di vedere chiaro in me come facevo io in lui, si sarebbe accorto che le sue attenzioni non mi spiacevano affatto. Solo quando se ne è andato…

T’mwarba sentì la voce di Rydra farsi più dura.

— … quando se ne è andato, il suo ultimo pensiero è stato: “Lei non ne sa nulla. Non le ho detto nulla”.

I suoi occhi si incupirono… no, le palpebre si erano socchiuse e i suoi occhi sembravano più neri del solito. Tmwarba lo aveva già visto succedere migliaia di volte, da quel giorno in cui gli avevano condotto una magra bambina artistica di dodici anni che doveva essere sottoposta a neuroterapia. A quella aveva fatto seguito una psicoterapia, e in seguito era nata l’amicizia. La meticolosità di osservazione di Rydra si era puntata su di lui, prima che sugli altri, e quella era stata la prima volta che lui era riuscito a comprendere la meccanica del fenomeno. Solo quando la terapia era stata ritenuta chiusa ufficialmente la sua sorprendente capacità aveva avuto campo libero per mettersi alla prova, e solo allora lui aveva potuto studiarla più da vicino. Cosa significava quell’incupirsi dello sguardo se non un cambiamento? Lui sapeva perfettamente di presentare innumerevoli punti nella sua personalità che lei sapeva leggere come un microscopio. Ricco com’era, dedito a una certa vita mondana, aveva conosciuto parecchie persone non certo inferiori a lei come reputazione. E quella reputazione non gli aveva mai suscitato alcun timore. Ma spesso lei ci riusciva.