Un urlo.
E del tutto inaspettato.
Lui aveva pensato che la bambina si sarebbe messa a ridere. Ma il viso di Rydra era sconvolto, e la bambina agitava le braccia contro qualcosa che non c’era, vacillando all’indietro finché non era caduta. Lui era subito corso a sollevare la piccola e isterica figura dal pavimento, mentre la voce gracchiante dell’uccello sovrastava ancora i suoi lamenti che si spegnevano: — fuori è una bella giornata e io sono felice.
T’mwarba aveva già assistito prima ad acuti attacchi di quel genere, ma questo lo aveva scosso come nessun altro. Quando lei era stata in grado di parlare, più tardi, aveva detto solamente, fra le labbra ancora bianche: — Mi ha fatto paura!
E la cosa sarebbe finita lì, se tre giorni dopo quel dannato uccello non si fosse liberato per andare a impigliarsi nell’antenna a rete che lui e Rydra avevano installato insieme nel giardino per consentire alla bambina di ascoltare le comunicazioni iperstatiche delle astronavi da trasporto in quel settore della galassia. L’uccello si era impigliato con un’ala e una zampa nelle maglie, e dibattendosi aveva cominciato a urtare contro un cavo elettrico scoperto, facendo schizzare scintille visibili anche alla luce del giorno. — Dobbiamo tirarlo fuori! — aveva gridato Rydra. Teneva le dita premute contro la bocca e i suoi occhi non lasciavano per un solo istante la gracula, e lui l’aveva vista impallidire sotto l’abbronzatura. — Ora me ne occupo io, tesoro — le aveva detto lui. — Tu cerca di non pensarci.
— Ma se colpisce ancora un paio di volte quel filo, morirà!
Lui l’aveva sentita appena, perché era corso dentro a cercare una scala. Al suo ritorno, si era immobilizzato. Rydra si era arrampicata su per l’alberello di catalpa fino all’altezza del filo. Quindici secondi più tardi lui la osservava sporgersi di lato, ritirare la mano, tentare di nuovo di raggiungere le nere penne scarruffate. Lui sapeva maledettamente bene che Rydra non aveva nessuna paura dei cavi scoperti; in pratica li aveva installati da sola. Un’altra pioggia di scintille. Allora Rydra si sporse con maggiore decisione. Un minuto dopo stava correndo attraverso il cortile, stringendo l’uccello arruffato all’estremità di un braccino teso. Il suo viso sembrava essere stato immerso in un bagno di calce.
— Prendilo tu, Mocky — aveva sussurrato con un filo di voce da dietro le labbra tremanti — prima che dica qualcosa e io mi senta male.
Così anche adesso, a tredici anni di distanza, qualcos’altro le stava parlando, e lei diceva di essere spaventata. Lui sapeva fino a quale punto potesse giungere la sua paura, ma sapeva anche con quanto coraggio lei fosse in grado di affrontarla.
Le disse: — Arrivederci. Sono contento che tu mi abbia svegliato. Mi sarei infuriato come un galletto colto di sorpresa da un acquazzone se tu non fossi venuta.
— Tocca a me ringraziarti, Mocky — disse lei. — Ho ancora molta paura.
3
Danil D. Appleby, che raramente pensando a se stesso usava il proprio nome (era un funzionario della Dogana che si prendeva molto sul serio), osservò l’ordine attraverso le sue lenti dalla montatura metallica e si passò una mano sui capelli rossi tagliati a spazzola. — Be’, dice che potete farlo, se lo volete.
— E…?
— Ed è firmato dal generale Forester.
— Quindi mi aspetto che voi collaboriate.
— Ma io devo approvare…
— Allora seguitemi e approvate sul posto. Non ho tempo per inviare un rapporto e aspettare che venga esaminato da una mezza dozzina di persone.
— Ma non ci sono altri modi…
— Sì, ci sono. Venite con me.
— Ma, signorina Wong, io di solito non cammino per la città dei Trasporti di notte.
— A me piace. Avete paura?
— Non esattamente. Ma…
— Devo ottenere un’astronave e un equipaggio per domani mattina. E questa è la firma del generale Forester. Va bene?
— Immagino di sì.
— Allora venite. Devo farvi approvare la mia ciurma. — Così, mentre Rydra insisteva e il funzionario protestava, lasciarono insieme il palazzo di bronzo e vetro.
Attesero sei minuti alla stazione della monorotaia; quando ne discesero, le strade erano diventate più strette e il cielo era affollato da un incessante flusso e riflusso di navi da trasporto. Magazzini e cantieri di riparazione, negozi e oscure pensioni dalle minuscole camerette. Sboccarono in una via più larga, rumoreggiante di traffico, di scaricatori e di spaziali. Sorpassarono le sgargianti insegne al neon dei locali più costosi e dei ristoranti che offrivano le specialità di molti mondi, e quelle più squallide di alcuni bar e di miseri bordelli. Nella folla, il funzionario della Dogana doveva allungare il passo e farsi largo a spintoni per non lasciarsi distanziare da Rydra che procedeva spedita.
— Ma dove avete intenzione di trovare…?
— Il mio pilota? È la prima cosa che intendo cercare. — Si arrestò a un angolo e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni di pelle, guardandosi intorno.
— Avete già in mente qualcuno in particolare?
— Sto pensando a diverse persone. Da questa parte. — Girarono in una strada lunga e stretta, ancora più affollata e scintillante di luci della precedente.
— Ma dove stiamo andando? Conoscete questa sezione della città?
Rydra scoppiò a ridere e, prendendolo sottobraccio, come un’esperta ballerina che conducesse quella danza fece voltare l’ometto verso una scala di ferro.
— Qui dentro?
— Non siete mai stato prima in questo locale? — gli chiese lei, con una specie di ansia innocente che per un attimo diede al funzionario l’impressione di essere la sua scorta.
Scosse il capo.
Dallo scantinato del caffè sbucò… un uomo, dal viso color ebano, e con gemme rosse e verdi sistemate sulla pelle di quasi tutto il corpo, sul petto, sul viso e sulle braccia. Due membrane rugiadose, pure ingioiellate, pendevano dalle sue braccia e si agitarono come due ali sottili quando lui li raggiunse di corsa sui gradini metallici.
Rydra gli strinse una spalla. — Salve, Lome!
— Capitano Wong! — La voce era alta, squillante, e i denti bianchissimi appuntiti come aghi. Le sue orecchie aguzze si spinsero in avanti. — Che cosa fate qui?
— Lome, Ottone combatte stanotte?
— Volete vederlo? Se la deve sbrigare col Drago d’Argento, ma sarà un incontro equilibrato. Ehi, capitano, vi ho cercata per tutto Deneb. Ho anche comprato il vostro libro: non ho potuto leggere molto, ma l’ho comprato. E non vi ho trovata. Dove siete stata in questi sei mesi?
— A terra, insegnavo all’Università. Ma ora torno a viaggiare.
— E volete Ottone come pilota? Passereste per la via di Specelli?
— Esatto.
Lome le pose un braccio nero sulle spalle e la sua ala scintillante avvolse Rydra.
— Perché non passate per Cesare e non prendete Lome come pilota? Conoscete già Cesare… — Fece una smorfia per scusarsi e scosse il capo. — Nessuno lo conosce meglio di voi.
— Quando lo farò non mancherai. Ma per ora è Specelli.
— Allora con Ottone siete in buone mani. Avete già lavorato prima con lui?
— Ci siamo ubriacati insieme, quando abbiamo passato una settimana in quarantena su uno dei planetoidi di Cygni. Mi è sembrato un tipo che sapeva quello che diceva.
— Parlare, parlare, parlare — la derise bonario Lome. — Già, ora vi ricordo bene, il capitano che parla sempre. Andate pure a vedere lottare quel figlio d’un cane; vi accorgerete di quello che è capace di fare.
— È quello che intendo fare, annuì Rydra. Poi si girò verso il doganiere, che si schiacciò contro la ringhiera di ferro. “Dio” pensò lui “vuole presentarmi!”