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— Lei preferisce non vedere. Capisco. — Lo sguardo dell’uomo si spostò su Cordelia, non abbastanza a lungo perché la sua freddezza fosse insultante ma molto vicino ad esserlo. In uno sforzo di cortesia ridotto al minimo salutò con un brevissimo cenno del capo e se ne andò a passi svelti, seguito dall’altro uomo.

Aral e Vortala uscirono dalla biblioteca. Aral fece qualche passo verso la porta a vetri del salotto e guardò nel buio al di là di essa. O forse si stava soltanto specchiando nel riflesso. Vortala gli toccò una manica.

— Lo lasci andare, Vorkosigan — disse. — Possiamo sopravvivere senza il suo voto, domani.

— Non ho certo intenzione di corrergli dietro per strada — sbottò Aral. — Ciò malgrado… la prossima volta risparmi il suo acume per chi ha abbastanza cervello da apprezzarlo, eh?

— Chi era quel tipo così arrabbiato? — chiese Cordelia in tono discorsivo, cercando di alleggerire l’atmosfera.

— Il Conte Vidal Vordarian. — Aral distolse lo sguardo dal pannello di vetro e voltandosi riuscì a sorriderle. — Il Commodoro Conte Vordarian. Mi è capitato di lavorare spesso con lui, quando ero al Comando Strategico. Ora è l’uomo di punta di quello che potresti chiamare il prossimo-e-principale partito conservatore di Barrayar. Non qualcosa da ritorno all’Era dell’Isolamento ma, diciamo, il vessillo di chi resta convinto che ogni cambiamento è sempre un cambiamento in peggio. — Nel dir questo guardò suo padre.

— Il suo nome è stato fatto di frequente, quando si speculava su chi avrebbe avuto la Reggenza — spiegò Vortala. — Ciò che temo è che fosse lui a incoraggiare quell’ipotesi. Non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per ingraziarsi Kareen.

— Avrebbe dovuto ingraziarsi Ezar — commentò seccamente Aral. — Be’, forse l’aria della notte raffredderà i suoi umori. Provi ancora a saggiarlo domattina, Vortala… magari facendogli qualche concessione, eh?

— Per raffreddare l’ego di Vordarian dovrei portarlo sulla banchisa artica — disse Vortala. — Trascorre troppo dannato tempo a contemplare l’albero genealogico della sua famiglia.

Aral annuì, con un sogghigno. — Non è il solo.

— Ma è il solo che lo sente rispondere, quando ci parla — borbottò Vortala.

CAPITOLO TERZO

Il giorno seguente Cordelia si vide assegnare una scorta alla seduta del Consiglio Riunito nella persona del capitano Lord Padma Xav Vorpatril. L’uomo, scoprì, era non soltanto un membro del nuovo staff di suo marito, ma anche un cugino di primo grado, figlio della sorella più giovane della defunta madre di Aral. Lord Vorpatril era, con l’eccezione del Conte Piotr, l’unico parente stretto dei Vorkosigan che Cordelia avesse incontrato fin’allora. Non che i parenti di Aral la stessero evitando, come lei avrebbe temuto; semplicemente non ne aveva molti. Lui e Vorpatril erano i soli discendenti rimasti della precedente generazione, della quale il Conte Piotr stesso era l’ultimo rappresentante ancora in vita. Vorpatril era un uomo corpulento di carattere ciarliero, sulla trentina, a cui l’uniforme verde conferiva un aspetto baldanzoso. Cordelia venne subito a sapere varie cose di lui, e fra l’altro che era stato uno degli ufficiali più giovani dello staff di Vorkosigan, al primo comando di lui, negli anni che avevano preceduto i suoi successi militari nella campagna di Komarr e le successive rovinose conseguenze politiche.

Con Vorpatril a destra e Droushnakovi a sinistra, Cordelia sedette nella galleria riccamente decorata che sovrastava la camera del Consiglio. Il vasto locale che vide più in basso era a pavimento orizzontale, senza gradinate, uno stile ancor più appesantito dalla tappezzeria in massicci pannelli di legno scuro. In legno erano anche i molti tavoli e scranni disposti lungo il perimetro. Dalle grandi finestre policrome della parete volta a est entravano i raggi del sole mattutino. La cerimonia d’apertura aveva già avuto inizio, con puntiglioso rispetto per le formalità protocollari.

I ministri indossavano pesanti abiti di stile arcaico, neri e porpora, e le larghe collane d’oro della loro carica. Seduti più indietro c’erano i Conti dei circa sessanta Distretti, che esibivano vestiti cerimoniali argentei e scarlatti ricchi di nastrini e di medaglie. I più giovani, tutti militari ancora in servizio attivo, portavano l’uniforme da parata rossa e blu. Vorkosigan non aveva esagerato avvertendola che avrebbe trovato quella divisa di cattivo gusto. Eppure, rifletté Cordelia, in un ambiente così antiquato il vistoso militarismo del rosso e blu non stonava affatto. Aral, sul suo scranno, le appariva elegante e virile.

Il Principe Gregor e sua madre sedevano su un divano dorato, sul lato della sala opposto alla porta, dopo esser arrivati lì su una passatoia che era stata subito tolta perché nessun altro piede osasse calpestarla. La Principessa indossava un completo nero, a lutto, cosparso di gioielli d’argento, con le maniche lunghe e un colletto altissimo. Il bambino era come ingessato nella spessa divisa rossa e blu confezionata sulla sua taglia, e Cordelia pensò che sembrava ancora più piccolo e sperduto in quel consesso di adulti contegnosi.

Anche l’Imperatore stava facendo atto di presenza, in modo alquanto spettrale, attraverso un circuito olovisivo chiuso. Ezar sedeva nel campo della proiezione tridimensionale, vestito nella sua uniforme di gala, a costo di quale sforzo fisico Cordelia non riusciva a immaginarlo. I tubi e i monitor collegati al suo corpo svuotato non si vedevano, sicuramente solo perché la regia li stava tagliando fuori dall’immagine. Ma era pallidissimo, con una pelle quasi trasparente, come se fosse sul punto di dissolversi dalla scena che aveva dominato per tanto tempo.

La galleria era affollata di mogli, figli, segretari e guardie del corpo. Le donne sfoggiavano un’eleganza che stava al passo con quella del resto dei pianeti umani, gioielli e abiti importati a caro prezzo perfino dalla Terra. Cordelia le studiò con interesse, ma senza invidia per il loro sfarzoso abbigliamento, poi si girò verso Vorpatril per avere informazioni.

— La candidatura di Aral alla Reggenza è stata una sorpresa per lei? — gli chiese.

— Non del tutto. Alcuni pensavano che il suo ritiro dopo il guaio di Escobar fosse una cosa seria, ma io non ci ho mai creduto.

— Lui lo intendeva come definitivo, almeno credo.

— Oh, non ne dubito. La prima persona che Aral prende in giro con la sua coerenza da soldato di ferro è lui stesso. Recita la parte dell’uomo che ha voluto essere. Come suo padre.

— Mmh. Sì. Ho notato che nella sua conversazione non manca mai un qualche accenno alla politica. Anche nelle circostanze più insolite. Perfino durante la sua proposta di matrimonio.

Vorpatril rise. — Posso immaginarlo, sì. Da ragazzo era un conservatore fino nel midollo. Se lei vuol sapere cosa Aral pensasse allora di una cosa qualsiasi, faccia la domanda a suo padre e moltiplichi la risposta per due. Ma quando eravamo nel Servizio insieme stava diventando… mmh, strano. Se uno riusciva a farlo rilassare un po’, a parlare… — Nel suo sguardo ci fu una luce di reminiscenze, che Cordelia incoraggiò prontamente.

— Come riusciva a farlo parlare? Credevo che le discussioni politiche fossero proibite fra gli ufficiali.

Lui sbuffò. — Suppongo che se ci proibissero di respirare avrebbero maggiori probabilità di successo. Il principio etico viene, diciamo, sporadicamente sottolineato da misure disciplinari. Aral vi si adeguava. Salvo quando Rulf Vorhalas e io lo portavamo fuori, in qualche posto dove poteva rilassarsi un po’.

— Aral? Rilassarsi?

— Oh, sì. Vede, Aral è un bevitore di tipo particolare…

— Io pensavo che non fosse un bevitore. Non regge l’alcol.