Anche Cordelia, guidata dal marito, s’inginocchiò di fronte al bambino. Il Principe — Imperatore di fatto benché non ancora di nome — aveva i capelli neri di sua madre ma gli occhi azzurri dei Vorbarra, come Ezar e Serg, e lei si scoprì a chiedersi quanto di suo padre o di suo nonno fosse latente dietro la sua espressione, in attesa del potere che gli sarebbe venuto con l’età adulta. Porti anche tu una maledizione nei tuoi cromosomi, piccolo? pensò mentre metteva le mani fra quelle tenere di Gregor. Maledizione o benedizione che fosse, comunque, lei gli avrebbe giurato fedeltà. E le parole che disse recisero il suo ultimo legame con Colonia Beta; si spezzò con un ping! che poté udire soltanto lei.
Ora sono una barrayarana. Era stato uno strano lungo viaggio il suo, cominciato con la vista di un paio di stivali nel fango di un pianeta selvaggio e finito lì davanti a quel bambino silenzioso. Ti hanno detto che ho aiutato a distruggere tuo padre, Gregor? Lo verrai a sapere un giorno? Spero di no. E si chiese anche se fosse stato per delicatezza, o in previsione che quel momento sarebbe giunto, che nessuno le aveva chiesto di giurare a Ezar Vorbarra.
Di tutti i presenti soltanto il capitano Negri pianse. Cordelia fu probabilmente l’unica ad accorgersene perché gli stava accanto, nell’angolo più scuro della camera, e lo vide alzare due volte una mano agli occhi; il suo volto s’era fatto più rilassato e umano per un momento. Ma quando toccò a lui farsi avanti per giurare era tornato all’abituale fredda inespressività.
I cinque giorni di cerimonie funebri che seguirono furono faticosi per Cordelia, ma non così sgradevoli com’era stato per le esequie del Principe della Corona Serg, durate ben due settimane benché non ci fosse nessun corpo nella bara. La gente comune sapeva solo che il Principe Serg era morto combattendo eroicamente, come un soldato. A quanto ne sapeva Cordelia, soltanto cinque esseri umani conoscevano l’intera verità su quel sottile assassinio. Quattro, anzi, dopo la morte di Ezar. Forse la sua non era l’unica tomba a contenere segreti negati alla storia. Be’, il tormento del vecchio era finito, il suo tempo scaduto, la sua epoca relegata nel passato.
Non ci fu nessun genere di cerimonia tipo incoronazione per il piccolo futuro Imperatore, tuttavia lo aspettava una serie di impegni burocratici che egli sopportò con garbo, trascorrendo parecchie mattinate nella camera del Consiglio per accogliere il giuramento di altri ministri, dei Conti e di una quantità di loro familiari, e di chiunque altro volesse farlo o ne avesse l’obbligo per legge. Anche Vorkosigan ricevette i giuramenti di dozzine di personaggi politici, finché parve sentirne il peso come se questo gli accollasse sulle spalle una responsabilità in più.
Il bambino, sempre sostenuto e incoraggiato dalla madre, resse bene all’impegno. Kareen fece in modo che gli orari dei pasti e del sonno del figlio non fossero sconvolti dagli uomini indaffarati e poco pazienti che venivano alla capitale per ottemperare a quell’obbligo. La stranezza del sistema di governo barrayarano, con tutte le sue regole non scritte, stava cominciando a mettere Cordelia seriamente a disagio. Eppure funzionava, per quella gente. In qualche modo lo facevano funzionare. Se non c’era ancora un governo, fingevano di averlo. E forse tutti i governanti sapevano, in cuor loro, d’essere sostenuti da quella stessa finzione.
Quando l’impegno sociale di quelle cerimonie ebbe termine, Cordelia poté finalmente cominciare a metter mano alle routine domestiche di Casa Vorkosigan. Non che ci fosse molto da fare per lei. Di solito Vorkosigan usciva di casa all’alba, insieme a Koudelka, e rientrava dopo il tramonto, per buttare giù una cena fredda e chiudersi in biblioteca, e spesso riceveva visitatori fino al momento di andare a letto. Quell’orario gravoso gli costava caro, si disse Cordelia. Avrebbe potuto rilassarsi e diventare più efficiente solo dopo quel periodo iniziale, quando ogni cosa non fosse più successa per la prima volta. Lei ricordava bene il suo primo comando su una nave della Sorveglianza Astronomica Betana — non era poi trascorso tanto tempo — e i suoi primi mesi di faticose veglie e preparativi. In seguito aveva appreso ad affrontare gli stessi imprevisti in modo automatico, quasi inconsciamente, e la sua vita privata era riemersa. Anche ad Aral sarebbe accaduto questo. Lei aspettava con pazienza, e aveva sempre un sorriso per suo marito.
Del resto anche lei stava portando avanti un lavoro. Gestazione. Non era un incarico dappoco, almeno a giudicare dalle premure di cui tutti la facevano oggetto, dal Conte Piotr giù fino alla cameriera di cucina che le portava piccole colazioni nutrienti a tutte le ore. Non s’era mai trovata al centro di tante attenzioni dal tempo in cui era tornata da una missione esplorativa di un anno con un record di Incidenti Zero. La riproduzione sembrava assai più incoraggiata lì che su Colonia Beta.
Un pomeriggio, dopo pranzo, andò a sdraiarsi su un sofà nel patio ombreggiato fra la casa e il giardino posteriore, coi piedi sollevati sul bracciolo — posizione consigliata per la gestante nel suo lavoro di gestazione — e rifletté sulle differenze culturali fra Barrayar e Colonia Beta circa la riproduzione umana. La gestazione in simulatori uterini, l’utero artificiale, sembrava sconosciuta lì. Su Colonia Beta i simulatori erano la scelta preferita (tre a uno) ma una nutrita minoranza sosteneva ancora i vantaggi sociali e psicologici della vecchia maniera naturale. Lei non aveva mai notato o sentito menzionare differenze fra i bambini «in vitro» e quelli partoriti dalla madre, e certo non ce n’era quando i soggetti giungevano all’età adulta. Suo fratello era stato partorito «dal vivo», e lei da un simulatore uterino. I loro co-genitori avevano inizialmente deciso «dal vivo» per tutti e due, e prima di cambiare idea c’erano state lunghe discussioni.
Cordelia aveva sempre pensato che quando fosse stato il momento avrebbe trasferito suo figlio in un reparto di simulazione uterina, all’inizio di una missione esplorativa, per trovarlo al ritorno già pronto e in attesa delle sue braccia. «Se» fosse tornata, perché avventurarsi in distorsioni spaziali sconosciute alla ricerca di nuovi corridoi di transito significava sfidare quel grosso «se». Questo presumendo che lei avesse trovato un co-genitore interessato a unire i loro cromosomi e disposto a sottoporsi ai test fisiologici e psichici, nonché a frequentare il corso per prendere la licenza di genitore qualificato.
Aral sarebbe diventato un co-genitore ideale, ne era certa. Se fosse riuscito a scendere di nuovo dalla quota a cui era stato fatto salire. Sicuramente il suo assillante periodo d’iniziazione sarebbe presto finito. Era una caduta lunga da quella quota, con un posto ancora ignoto in cui atterrare. E c’erano modi molto sgradevoli di cadere da lassù. Aral era tutto per lei. Se gli fosse successo qualcosa… Cordelia costrinse le sue meditazioni a deviare su una strada più positiva.
C’erano le dimensioni della famiglia; questo era il vero, segreto fascino di Barrayar agli occhi di una betana. Lì non esistevano limiti legali, nessun certificato obbligatorio, nessuna tassa gravosa sul terzo figlio, niente. Un gioco senza regole. Lei aveva visto una donna per strada con quattro — non tre — figli al seguito, e gli altri la guardavano senza batter ciglio. Cordelia aveva allora lasciato salire la sua fantasia ai vertici del terzo figlio, e s’era sentita deliziosamente peccaminosa finché non le era capitato di conoscere una donna che ne aveva dieci. In tal caso… perché non quattro. O sei, magari? Vorkosigan poteva permetterseli. Cordelia agitò le dita dei piedi e si rilassò sui cuscini, galleggiando su un’atavistica nuvoletta di fertilità femminile.