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Si mise a sedere sulla pietra calda e guardò Bothari. Il sergente aveva preso posto all’altro capo della panchina, lontano da lei. Le rughe del suo volto erano più profonde del solito, e nonostante la luce morbida di quel pomeriggio autunnale gli davano un’espressione dura, aspra. La mano sinistra, poggiata sul bracciolo, si apriva e chiudeva senza requie. Respirare regolarmente sembrava costargli uno sforzo.

— Allora, cos’è che non va, sergente? — Cordelia raddolcì il tono. — Mi sembri… teso, oggi. È qualcosa che riguarda Elena?

Lui ebbe una mezza risata, rauca e amara. — Teso! Sì, penso che sia vero. Ma non per la bambina… cioè… non esattamente. — La guardò dritta negli occhi, per la prima volta da quel mattino. — Lei sa cos’è successo a Escobar. Lei c’era. È così?

— Sì. — Quest’uomo soffre, comprese Cordelia. Quale genere di sofferenza?

— Io non ricordo niente di Escobar.

— Lo so. Presumo che i terapisti, all’ospedale militare, si siano dati molto da fare per accertarsi che tu non ricordassi nulla di quel tempo.

— Già — borbottò lui.

— Io non approvo il concetto di terapia che hanno qui. Soprattutto se è impostata a partire da motivi politici.

— Questo sono arrivato a capirlo, milady. — Un barlume di speranza gli apparve nello sguardo.

— Con che metodo hanno agito? Bruciando neuroni selezionati? O con agenti chimici contro la memoria?

— No… mi davano delle droghe, ma non per distruggere. Così mi hanno detto. I dottori la chiamavano «terapia soppressiva». Noi la chiamavamo «viaggio nell’inferno». Ogni giorno andavamo all’inferno, anche se ciò che volevamo era solo di non vederlo più. — Bothari si agitò, profondamente accigliato. — Cercare di ricordare… parlare di Escobar con questo e con quello… mi fa venire terribili mal testa. Sembra stupido, no? Un uomo grande e grosso che si lamenta del mal di capo come una vecchietta. Certe cose di quello che dicono, certi loro ricordi… è questo che mi fa dolere la testa al punto che vedo dei cerchi rossi davanti agli occhi, e mi viene da vomitare. Quando smetto di pensarci, però, il dolore scompare. È semplice.

Cordelia deglutì saliva. — Capisco. Mi dispiace. Sapevo che doveva essere dura, ma non immaginavo… che lo fosse tanto.

— La parte peggiore sono gli incubi. Sogno di… quello… e se mi sveglio troppo lentamente ricordo ciò che ho sognato. Ricordo troppo e tutto insieme, e la testa mi… allora tutto ciò che posso fare è di coprirmi la faccia e piangere, finché non riesco a pensare a qualcos’altro. Gli altri armieri del Conte Piotr pensano che io sia pazzo. O pensano che io sia un idiota, e non capiscono cosa sto facendo qui con loro. Io non capisco perché sono qui con loro. — Si passò una mano sui capelli tagliati quasi a zero, come se ne odiasse il contatto. — Essere un armiere giurato del Conte… è un onore. Soltanto venti posti a disposizione. E scelgono i migliori, gli eroi, gli uomini con molte medaglie, giovani e con un curriculum militare perfetto. Se ciò che ho fatto a Escobar è stato… così brutto, perché l’ammiraglio ha chiesto al Conte Piotr di prendermi con sé? E se ero anch’io un dannato eroe di guerra, perché me lo hanno cancellato dalla memoria? — Il suo respiro si accelerò, sibilando fuori fra i grossi denti giallastri.

— Cosa provi adesso, nel parlarne? Ti senti più sollevato? Oppure è peggio?

— È peggio. Se tacessi non avrei mal di capo. — La guardò, scuro in faccia. — Ma dovevo parlarne. Con lei. È una cosa che mi…

Lei trasse un lungo respiro, cercando di ascoltarlo con la mente e col cuore. E con tutta la sua attenzione, concentrandosi. — Continua, — lo incoraggiò.

— Io ho… quattro fotografie… dentro la testa, dal tempo di Escobar. Quattro fotografie, ma non riesco a capirle, a spiegarmele. Pochi minuti rimasti da tre, forse quattro mesi di ricordi, non so. E mi preoccupano tutte. Ma una ancor più delle altre… quella dove vedo lei — aggiunse bruscamente, e abbassò gli occhi. La sua mano strinse il bracciolo della panchina allo spasimo.

— Capisco. Vai avanti.

— Una… la meno peggiore di quelle immagini… è una discussione. C’erano il Principe Serg, l’ammiraglio Vorrutyer, Lord Vorkosigan e l’ammiraglio Rulf Vorhalas. E io ero là. Però non avevo nessun vestito addosso.

— Sei sicuro che questo non è un sogno?

— No. Non ne sono sicuro. L’ammiraglio Vorrutyer disse… qualcosa di molto offensivo a Lord Vorkosigan. Aveva spinto Lord Vorkosigan contro il muro. Il Principe Serg rideva. Poi Vorrutyer baciò Lord Vorkosigan sulla bocca, proprio sulla bocca, e Vorhalas cercò di colpire Vorrutyer con un pugno alla testa. Ma Lord Vorkosigan lo fermò. E dopo questo non ricordo altro.

— Mmh… sì — disse Cordelia. — Io non ero presente a quella scena, ma so che stavano accadendo cose molto antipatiche quando Vorrutyer e Serg cominciarono a oltrepassare ogni limite. Così è probabile che questo ricordo corrisponda al vero. Posso chiederlo ad Aral, se vuoi.

— No! No, questo non è molto importante, del resto. Non come le altre cose.

— Dimmi di queste altre cose, allora.

La voce di lui si abbassò in un sussurro. — Ricordo Elena. Così bella. Riesco a vedere solo due immagini di Elena, nella mia testa. In una, ricordo Vorrutyer che mi faceva fare… no, non voglio parlare di questa. — Tacque, e per un minuto non fece altro che oscillare avanti e indietro, con gli occhi fissi nel vuoto. — L’altra… eravamo nella mia cabina. Lei e io. Lei era mia moglie… — La sua voce s’incrinò. — Lei non era mia moglie. È così? — Non glielo stava domandando.

— Non lo era. Ma tu lo sapevi.

— Però io ricordo di aver creduto che lo fosse. — Si passò una mano sulla faccia, con durezza, quasi per farsi male.

— Lei era una prigioniera di guerra — disse Cordelia. — La sua bellezza aveva attirato Serg e Vorrutyer, e vollero sottoporla a un’esperienza tormentosa… per nessuna vera ragione. Non per farle rivelare segreti militari, né per terrorismo politico. Soltanto per il loro divertimento. Così Elena fu violentata. Ma questo lo sai anche tu, da qualche parte della tua mente.

— Sì — sussurrò lui.

— Toglierle l’impianto contraccettivo e permettere a te… o costringere te a ingravidarla, era la loro idea. La prima parte della loro sadica idea. Comunque, grazie al cielo, non vissero abbastanza da mettere in atto la seconda parte.

Bothari aveva unito i pugni sulle ginocchia e li premeva in giù con forza. Stava respirando a rantoli penosi, come una bestia ferita. Il suo volto rigido, mortalmente pallido, era imperlato di sudore.

— Vedi degli anelli rossi davanti agli occhi, in questo momento? — domandò Cordelia.

— È tutto… rosa, più o meno.

— E l’ultima immagine?

— Oh, milady — Bothari deglutì. — Qualunque cosa sia… io so che è molto vicina alle cose che hanno voluto farmi dimenticare. — Deglutì ancora a vuoto. Cordelia cominciò a capire perché non aveva toccato cibo.

— Vuoi parlarne? Te la senti?

— Devo farlo, milady. Capitana Naismith. Perché io ricordo di lei. Ricordo di averla vista. Distesa sul letto di Vorrutyer… gli abiti strappati via di dosso, nuda. C’era del sangue su di lei. Io ero lì e la guardavo, e… è questo che voglio sapere. Che devo sapere. — Rivolto verso di lei si strinse i pugni al petto come se fosse sul punto di soffocare, con una domanda disperata nello sguardo.

Cordelia pensò che la sua pressione doveva essere salita in modo terribile per fargli pulsare le vene sulle tempie con quella violenza. Se fossero andati troppo oltre, esaminando anche l’ultima di quelle verità, rischiava un colpo apoplettico? Programmare il suo corpo perché punisse da solo i pensieri proibiti era stata un’operazione di psicoingegneria troppo azzardata…