Un’espressione allarmata attraversò il volto del Conte. — Quando starai meglio cambierai di nuovo idea, vedrai. Quello che importa, adesso… ho parlato col capitano Vaagen. Sembra che anche lui non abbia dubbi sui rischi di una cosa tanto incerta.
— Sì, certo. L’incognita sta nell’efficacia degli interventi che si potranno fare sul bambino.
— Mia cara ragazza! — Il sorriso di lui si fece più teso. — Si tratta di un maschio. Voglio dire, se almeno il feto fosse una femmina… o anche un figlio secondogenito… faremmo di tutto per assecondare le tue comprensibili, perfino lodevoli, emozioni materne. Ma questa… creatura, se vivesse, diventerebbe il Conte Vorkosigan, un giorno o l’altro. Noi non possiamo rischiare che questo titolo sia portato da… un essere deforme. — Si appoggiò alla spalliera, annuendo come se avesse messo in chiaro il punto fondamentale della questione.
Cordelia aggrottò le sopracciglia. — Noi chi?
— Noi Vorkosigan. Siamo una delle casate più antiche e prestigiose di Barrayar. Non certo la più ricca, difficilmente la più forte, ma queste sono cose insignificanti rispetto all’onore. Nove generazioni di soldati e di Vor. Sarebbe una fine ben misera questa, dopo nove generazioni. Non sembra anche a te?
— La casata dei Vorkosigan, in questo periodo, è formata da due individui, lei e Aral — disse Cordelia, fra divertita e seccata. — E i Conti Vorkosigan hanno fatto una fine ben triste nel corso della storia: fatti a pezzi sotto le bombe, colpiti da armi da fuoco e da spade, affogati, bruciati vivi, decapitati, e perfino uccisi dalla fame e dagli stenti. L’unica cosa che non vi è mai successa è di morire nel vostro letto. Qualunque primogenito penserebbe che gli lasciate un’eredità piuttosto orribile. Lui le restituì un sorrisetto penoso. — Sì, ma fra i Vorkosigan non ci sono mai stati dei mutanti.
— Credo che Vaagen dovrebbe spiegarle meglio la cosa. Il danno al feto è di origine teratogena, e non comporta conseguenze genetiche, se ho capito bene.
— Ma la gente che lo vedrà penserà che è un mutante.
— Cosa diavolo le importa dell’opinione della gente ignorante?
— Io mi riferisco ai Vor, mia cara.
— Vor, popolani, entrambi sono ignoranti nello stesso modo, glielo posso assicurare io.
Le mani di lui fremettero. Aprì la bocca, la richiuse, si accigliò, poi disse bruscamente: — Nessun Conte Vorkosigan è mai stato un animale da laboratorio, una cavia per esperimenti!
— Vuol dire che mio figlio servirà Barrayar ancor prima d’essere nato. Non è un cattivo inizio per una vita d’onore. — Forse ne sarebbe uscito qualcosa di buono, alla fine; un guadagno per la scienza, se non per loro, e un aiuto per il tormento di altri genitori. Più Cordelia ci pensava, più la sua decisione le sembrava giusta, anche sotto altri aspetti.
Piotr scosse il capo. — Per quanto voi betani siate di carattere molle, bisogna dire che avete un sangue freddo sorprendente.
— Siamo razionali, signore. La razionalità ha il suo valore. Voi barrayarani dovreste provarla, qualche volta. — Si morse la lingua. — Ma stiamo parlando di una cosa ancora in forse, credo, signore. Ci sono gravi… — Pericoli, - difficoltà da risolvere. Un trasferimento di placenta a questo stadio avanzato della gravidanza sarebbe problematico anche su Colonia Beta. Ammetto che vorrei che ci fosse il tempo di far arrivare qui un chirurgo esperto. Ma non c’è.
— Sì… sì, il feto potrebbe… morire, hai ragione. Non c’è bisogno di… ma io sono preoccupato per te, ragazza mia. Vale la pena di correre questo rischio?
Valeva la pena di rischiare la vita? C’era qualcosa che valesse la pena di fare o di non fare? I polmoni le dolevano, adesso. Gli sorrise stancamente e scosse il capo, gesto che bastò a farle esplodere una fitta di dolore nelle tempie.
— Padre — disse una voce rauca dalla porta. Aral era appoggiato allo stipite, nel suo pigiama verde, con una maschera a ossigeno portatile applicata al naso. Da quanto si trovava lì? — Credo che Cordelia abbia bisogno di riposare.
I loro sguardi s’incontrarono, sopra la testa di Piotr. Dio ti benedica, amore mio…
— Sì, naturalmente. — Il Conte Piotr poggiò le mani sui braccioli e si spinse in piedi. — Mi spiace. Hai ragione, sì. — Strinse una mano di Cordelia per un momento, con le sue vecchie dita rugose. — Dormi. Più tardi riuscirai a vedere le cose più chiaramente.
— Padre…
— Non dovresti essere a letto, tu? — disse Piotr, passandogli accanto, e uscì nel corridoio. — Vai, vai a sdraiarti, ragazzo… — lo sentì brontolare Cordelia mentre si allontanava.
Aral lo accompagnò fino all’uscita del reparto, e poco dopo tornò in camera da lei.
— Mio padre ti ha detto qualcosa che ti ha irritato? — le domandò, con aria fosca. Cordelia gli prese una mano, tirandolo a sedere sul letto. Poi cambiò posizione, poggiandogli la testa in grembo, e lui le accarezzò i capelli.
— Non più del solito — sospirò lei.
— Ho avuto l’impressione che tu fossi agitata.
— Non sono agitata. Sono troppo stanca per saltare giù dal letto e cominciare a prendere a pugni tutti quelli che incontro.
— Ah. Allora ti ha fatto arrabbiare sul serio.
— Sì. — Lei esitò. — In un certo senso, ha ragione. Per così tanto tempo mi sono tormentata nel timore, nell’attesa che il colpo arrivasse, senza sapere da dove sarebbe arrivato… e ieri notte è successo, ed è accaduto il peggio, e ne siamo usciti… solo che non ne siamo ancora usciti. Se il veleno avesse ucciso il bambino potrei piangerlo, e darmi pace, ma ora questa cosa andrà avanti, e ancora, e ancora. — Sfregò una guancia sulla stoffa del suo pigiama. — Illyan ha portato notizie? Mi sembra di aver sentito la sua voce, qualche ora fa.
Lui continuò ad accarezzarle i capelli, come per placarla. — Ha finito l’interrogatorio preliminare di Vorhalas, col penta-rapido. Ora sta indagando nella vecchia armeria dove lui dice di aver rubato la soltossina. Sembra che Vorhalas non abbia agito senza nessun aiuto come dichiarava. Un militare di servizio in quel magazzino è introvabile, assente senza giustificazione. Illyan non sa ancora se sia fuggito dopo aver aiutato Vorhalas a entrare, o se questi l’abbia eliminato per sgombrarsi la strada.
— Forse ha soltanto paura che la Sicurezza gli metta le mani addosso.
— Fa bene ad aver paura. Se è stato complice, lasciando che un’arma a gas tossico… — La sua mano s’irrigidì, tirandole una ciocca di capelli. — Scusa — mormorò, riprendendo ad accarezzarla. La dolce cautela di quel contatto fece sentire Cordelia come un animale ferito che si abbandonava in grembo al padrone.
— In quanto a mio padre… se venisse a tormentarti ancora, mandalo da me. Non dovevi metterti a discutere con lui. Io gli gli ho detto che la tua decisione era già stata presa.
— La mia decisione? — La mano di lui si fermò. — Non la nostra decisione?
Vorkosigan esitò. — Tutto quello che vuoi. Io ti sosterrò.
— Ma tu cosa vuoi? Qualcosa che non mi stai dicendo?
— Io non posso fare a meno di capire le sue paure. Ma… c’è una cosa di cui non ho ancora parlato con lui. Né credo che lo farò. Il nostro prossimo figlio potrebbe non essere facile come questo.
Facile? Tu questo lo chiami facile?
— Uno degli effetti meno noti della soltossina — continuò lui, — è il danno ai testicoli, a livello cellulare. Può ridurre la fertilità al di sotto del minimo indispensabile. Così almeno dice il medico che mi ha visitato.
— Sciocchezze — replicò Cordelia. — Tutto ciò che serve sono due cellule somatiche e un simulatore uterino. Il tuo dito mignolo e il mio pollice, se questo sarà tutto ciò che staccheranno dal muro dopo la prossima bomba, e basterà per riprodurre i Vorkosigan fino al prossimo secolo. Se quelli che sopravviveranno a noi lo vorranno.