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— Io non sarei troppo ottimista se fossi lei, milady. — Vaagen unì le mani dietro la schiena e guardò fuori dalla finestra, cercando di farsi sbollire l’irritazione se non il malumore. — Anche il dottor Henry ha creduto che fosse una visita di cortesia. Gli abbiamo fatto fare il giro del laboratorio, spiegandogli le nostre teorie e il programma dei trattamenti. Siamo stati del tutto onesti con lui, come con lei… forse troppo. Ha voluto sapere quali risultati potevamo ottenere. Diavolo, io non lo so. E questo è ciò che gli abbiamo detto.

«Lui ha divagato, ci ha fatto parlare, ha guardato tutto… comunque, per farla breve, a un certo punto ha chiesto, e poi ha ordinato, che aprissimo il simulatore uterino, arrivando perfino a mettere le mani addosso a Henry che cercava di sbarrargli la strada. Voleva uccidere il feto. Il mutante, lo chiamava. Abbiamo dovuto metterlo alla porta praticamente a viva forza. Ma ha giurato che tornerà.

Cordelia stava tremando ed era rigida da capo a piedi, ma il suo volto restò impassibile. — Capisco — disse.

— Io voglio che quel vecchio stia fuori dal mio laboratorio, milady. Non mi interessa come ci riuscirà, ma lo tenga lontano. Non ho bisogno che altre preoccupazioni mi cadano addosso. Non da quell’altezza.

— Capisco… aspetti qui. — Cordelia si strinse la cintura della vestaglia verde, fissò meglio il suo respiratore portatile, e uscì a passi cauti nel corridoio. Nella stanza di fronte, vestito coi pantaloni dell’uniforme e un maglione grigio, Aral era seduto a un tavolino davanti alla finestra. L’unica cosa da cui si capiva che stava lì in veste di ricoverato era il tubo dell’ossigeno per il trattamento contro i postumi della soltossina. Stava parlando con un uomo dai capelli bianchi, mentre Koudelka gli faceva apparire dei dati su uno schermo. L’uomo non era, grazie a Dio, Piotr, ma un anziano segretario del ministro Vortala.

— Aral, ho bisogno di parlarti.

— Non è una cosa che può aspettare?

— No.

Lui si alzò dalla sedia con un breve: — Scusatemi un momento, signori, — e la seguì nella sua camera. Cordelia chiuse la porta dietro di loro.

— Capitano Vaagen, per favore, ripeta a mio marito ciò che ha appena detto a me.

Vaagen riferì quel che era successo in laboratorio e, per quanto un po’ innervosito, non esitò a far uso degli stessi termini. Le spalle di Aral parvero curvarsi sotto un peso che s’era augurato di non dover portare.

— Grazie, capitano. Ha fatto bene a espormi la situazione. Me ne occuperò personalmente.

— Se ne occuperà? — Vaagen guardò Cordelia, incerto.

Lei alzò una mano. — Ha sentito ciò che ha detto.

Vaagen annuì, li salutò e uscì per tornare al suo lavoro.

— Dubiti delle sue parole? — domandò Cordelia.

— Cara, è una settimana che ascolto quello che il Conte mio padre viene a dirmi tutti i giorni.

— Ne avete discusso?

— Lui ha discusso. Io ho ascoltato.

Aral tornò nell’altra camera e chiese a Koudelka e al segretario di aspettare in corridoio. Poi, mentre Cordelia sedeva sul letto, accese il videotelefono e fece una chiamata.

— Qui Lord Vorkosigan. Voglio parlare al Capo della Sicurezza dell’Ospedale Militare Imperiale e al capitano Simon Illyan. Li metta entrambi in linea con me, per favore.

Ci fu una breve attesa intanto che i due venivano rintracciati. A giudicare dall’attività che aveva dietro le spalle, il Capo della Sicurezza dell’ospedale era in un ufficio dell’amministrazione. Illyan rispose da un laboratorio della polizia scientifica al Quartier Generale della Sicurezza Imperiale.

— Signori — disse Aral con faccia piuttosto inespressiva. — Voglio che sia revocato un permesso d’accesso. — I due uomini si prepararono a prendere nota sulle rispettive console. — Al generale Conte Piotr Vorkosigan dovrà essere proibito l’ingresso all’Edificio Sei, il reparto ricerche, dell’OMI, fino a nuovo ordine. Eventuali rapporti su di lui dovranno pervenire a me personalmente.

Illyan esitò. — Signore… il generale Vorkosigan ha un permesso imperiale illimitato a tutte le strutture militari e civili. Per revocarlo occorre un contrordine dell’Imperatore.

— È precisamente quello che le sto dando, Illyan. — Nella voce di Vorkosigan c’era una traccia d’impazienza. — Lo ordino nelle mie vesti di Reggente, in nome di sua Maestà Imperiale Gregor Vorbarra. È abbastanza ufficiale, così?

Illyan parve emettere un fischio fra i denti, ma alla vista del cipiglio di Vorkosigan tornò subito serio. — Sì, signore. Va bene. Altri luoghi a cui precludere l’accesso?

— Non per il momento. Basterà l’Edificio Sei.

— Signore… — disse il Capo della Sicurezza dell’OMI dalla sua metà dello schermo. — E se… il generale Vorkosigan rifiutasse di fermarsi all’ordine del piantone?

Cordelia non faticava a immaginare la faccia di un sottufficiale di guardia a cui sarebbe toccato il compito di fermare un generale Vor che entrava a passo di marcia.

— Se i suoi uomini non sono fisicamente all’altezza d’impedire l’accesso a un vecchio, possono usare i mezzi a loro disposizione, inclusi gli storditori — disse stancamente Aral. — Non c’è altro. Grazie, signori.

Il Capo della Sicurezza dell’OMI annuì e tolse la comunicazione. Illyan esitò ancora un poco, dubbioso. — Sarà una buona idea, data la sua età? Uno storditore potrebbe causargli un infarto. E comunque non la prenderà bene, quando si sentirà dire che c’è un posto in cui non può entrare. Fra l’altro, perché…? — Lasciò sospeso nell’aria quell’interrogativo finché non vide che lo sguardo di Vorkosigan si faceva gelido. — Sì, signore. — Salutò e chiuse il contatto.

Aral si appoggiò allo schienale, continuando a fissare pensosamente lo schermo spento. Quando si girò verso Cordelia un angolo della sua bocca si curvò in un sorriso, fra ironico e sofferente. — È un vecchio — disse alla fine.

— Un vecchio che ha appena cercato di uccidere tuo figlio, o ciò che ne resta.

— Capisco il suo punto di vista. Capisco le sue paure.

— Anche le mie?

— Sì. Di entrambi.

— Se si arrivasse a un punto di rottura… se lui cercasse di tornare là…

— Lui è il mio passato. — Aral la guardò negli occhi. — Tu sei il mio futuro. La vita che mi resta appartiene al futuro. Non dubitare mai di questo.

Cordelia fece un sospiro e si massaggiò il collo dolorante. Si sentiva stanca.

Koudelka bussò alla porta e mise dentro la testa. — Signore? Il segretario del ministro vorrebbe sapere…

— Fra un minuto, tenente. — Vorkosigan gli accennò di restare fuori.

— Fammi evadere da qui — disse sottovoce Cordelia.

— Ti senti prigioniera?

— Ospedale Militare Imperiale, Sicurezza Imperiale, Servizio Imperiale… mi sta venendo un grave attacco di Claustrofobia Imperiale. Andiamocene a Vorkosigan Surleau per qualche giorno, Aral. Laggiù ti riprenderai meglio, e qui i tuoi poveri schiavi tireranno un po’ il fiato. — Accennò col capo verso il corridoio. — Solo tu e io, come ai vecchi tempi. — Avrebbe funzionato? E se fossero tornati sulla scena della loro breve estate felice soltanto per scoprire che quella scena non esisteva più? Annegata nelle piogge di quell’autunno… Cordelia sentiva una disperata nostalgia di se stessa, del suo equilibrio perduto, di un punto solido intorno a cui vivere.

Lui inarcò le sopracciglia. — Splendida idea, mia cara capitana. Porteremo il vecchio con noi.

— Credi che sia il caso di… mmh, sì, capisco. D’accordo, e speriamo bene.

CAPITOLO DECIMO

Cordelia si svegliò lentamente, nel piacevole tepore della lussuosa coperta imbottita di piuma, e si stiracchiò. L’altra metà del letto era vuota. Toccò l’incavatura rimasta nel cuscino: vuota e fredda. Aral doveva essersi alzato in silenzio già da qualche ora. Non le importava; era bello dormire fino a tardi e risvegliarsi senza la tensione che le aveva attanagliato la mente e il corpo per tanto tempo. Quella era la terza notte di fila in cui il sonno la riposava davvero, accanto alla calda presenza del marito, entrambi finalmente liberi dall’ingombro dei tubi dell’ossigeno sulla faccia.