— Tu! Tu, cosa? Come… come — ansimò Droushnakovi, inorridita e offesa. — Tu pensi che potresti… oh! — Era rigida, adesso, i pugni stretti, il respiro accelerato. — Tu, razza di sempliciotto! Tu, idiota! Deficiente! Tu… tu… tu… — La lingua le si bloccò. Tutto il suo corpo stava tremando. Cordelia la guardava come affascinata. Aral si passò una mano sulle labbra, pensosamente.
Droushnakovi fece tre lunghi passi verso Koudelka e con un calcio gli fece sfuggire dalle dita il bastone-spada. Lui quasi cadde, con un’esclamazione sbalordita, e mentre perdeva l’appoggio allungò vanamente una mano verso l’oggetto, che rotolò sul pavimento.
Drou lo spinse contro il muro con una spallata, torcendogli un braccio dietro la schiena e comprimendogli i nervi in un’esperta presa di lotta da professionista. Lui grugnì di dolore.
— Tu, scimunito! Atti indegni? Credi davvero che potresti mettermi le mani addosso senza il mio permesso? Oh! Se fosse così… se fosse così… se io… — Le sue parole si spezzarono in un grido oltraggiato che echeggiò dietro l’orecchio sinistro di Koudelka. Lui si contorse, con una smorfia.
— Per favore, non rompere il gomito al mio segretario, Drou. Le articolazioni nuove costano — disse Aral con calma.
— Oh! — La ragazza girò su se stessa, lasciando Koudelka. Lui vacillò e cadde in ginocchio. Con una mano sulla faccia, mordendosi le dita, la ragazza corse alla porta e uscì, sbattendola dietro di sé. Soltanto mentre si allontanava in corridoio lasciò che quel singhiozzo, aspro e doloroso, le uscisse di bocca. Cordelia sentì sbattere un’altra porta. Poi il silenzio.
— Scusa se te lo faccio notare, Kou — disse Aral dopo quella lunga pausa, — ma non credo che la tua auto-accusa reggerebbe, in tribunale.
— Non capisco. — Koudelka scosse il capo, chinandosi a raccogliere il bastone-spada; poi si tirò lentamente in piedi.
— Suppongo che il fatto di cui stiamo parlando sia quello accaduto fra voi la notte dell’attentato. È così? — domandò Cordelia.
— Sì, milady. Io ero andato in biblioteca. Non riuscivo a dormire. Ho acceso uno schermo per controllare alcune cifre. Lei è entrata. Ci siamo seduti, abbiamo parlato… e d’un tratto mi sono accorto che… be’… era la prima volta che mi succedeva, da quando ero stato colpito dal distruttore neuronico, e avevo pensato che non mi sarebbe successo per qualche anno… o mai più. E ho avuto paura. Voglio dire, paura che se non l’avessi fatto finché potevo… — Arrossì. — Così… l’ho presa, là sul divano. Senza chiederlo, senza dire una parola. E poi c’è stato quel rumore da fuori, e siamo corsi in giardino. Il giorno dopo… Drou non mi ha denunciato. Io mi aspettavo che facesse rapporto. Ma lei taceva.
— Ma se non l’hai violentata, perché si è arrabbiata a questo modo soltanto adesso? — domandò Aral.
— Era arrabbiata anche prima — disse Koudelka. — Il modo in cui mi guardava, in queste ultime tre settimane…
— Ciò che vedevi sul suo volto era paura, Kou — disse Cordelia.
— Sì. È quello che ho pensato anch’io.
— Paura d’essere incinta, non paura di te — specificò lei.
— Ah! — disse Koudelka, con voce debole.
— Non lo è, comunque. — Cordelia inarcò un sopracciglio nel sentire un altro «ah!», stavolta di sollievo. — Però è arrabbiata con te, ora. E non posso darle torto.
— Ma se non crede che io la abbia… allora perché?
— Non lo capisci? — Lei guardò Aral, accigliata. — Neppure tu riesci a capirlo?
— Be’…
— È perché l’hai appena offesa, Kou. Non allora, ma adesso, qui, in questa stanza. Ciò che hai detto ha rivelato a Drou, per la prima volta, che quella notte eri così preso da te stesso che non pensavi neppure minimamente a lei. Male, Kou. Molto male. Tu devi chiederle umilmente scusa. Lei era lì, ti ha dato se stessa nel suo ingenuo modo barrayarano, e tu hai apprezzato tanto poco ciò che stava facendo da non accorgertene neppure.
Lui rialzò la testa. — Dato se stessa? Come una carità?
— Mettersi in condizione di restare gravida io non la vedo come una possibile elemosina — borbottò Aral. — Mi sembra chiaro.
— Io non sono un… — Koudelka si girò verso la porta. — Sta dicendo che dovrei correrle dietro?
— Io le striscerei dietro, se fossi te — gli raccomandò lui. — Ma striscia in fretta. Scivola sotto la sua porta, rotolati per terra e lascia che lei ti calpesti finché non si sarà sfogata ben bene. Poi chiedile di nuovo scusa. Così, forse, potresti ancora salvare la situazione. — Aral sogghignò, senza preoccuparsi di mascherare il suo divertimento.
— E questa come la chiamerebbe? Resa senza condizioni? — esclamò Kou, indignato.
— No. La chiamerei una vittoria. — La voce di Aral si raffreddò di qualche grado. — Io ho visto battaglie fra uomini e donne finire con valorosi e solitari armistizi. Eroici cuori sepolti sotto lapidi di cecità e di egoismo. Non credo che tu voglia percorrere quella strada, se ti conosco bene.
— Lei è… milady! Lei sta ridendo di me? La smetta!
— Allora tu smettila di renderti ridicolo — disse bruscamente Cordelia. — Tira la testa fuori dalla sabbia. Cerca di pensare per sessanta secondi consecutivi a qualcuno che non sia te stesso.
— Milady. Mio Lord — disse Koudelka a denti stretti, con fredda dignità. S’inchinò e fece dietro front. Ma quando fu in corridoio, invece di andare a sinistra girò a destra, nella direzione opposta a quella presa da Droushnakovi, e i suoi passi s’allontanarono verso le scale.
Aral scosse il capo, con un sospiro. Poi ebbe un gesto sprezzante. — Be’, all’inferno tutti e due.
Cordelia gli poggiò una mano su un braccio. — Non dire così! Non è divertente per loro. — Il marito la fissò in silenzio, e lei, infine, si accigliò. — Santo cielo, comincio a pensare che volesse essere un violentatore. Strana ambizione. Da molto tempo andava in giro con Bothari?
Quella battuta non molto allegra li rese seri entrambi. Aral si fece pensieroso. — Credo che Kou abbia cercato di cullare il proprio ego in modo poco ortodosso. Però il suo rimorso era sincero.
— Sincero, ma un tantino distorto. Secondo me, il suo ego lo abbiamo cullato fin troppo. Forse è l’ora di mollargli un buon calcio nella coda.
Le spalle di Aral s’incurvarono. — Lui la desidera, mi sembra evidente. E tuttavia, cosa gli potrei dire? È inutile chiedere a qualcuno di comprare qualcosa se non è disposto a pagare il prezzo che costa.
Lei borbottò un assenso.
Soltanto all’ora di pranzo Cordelia notò che dal loro piccolo mondo mancava qualcosa.
— Dov’è il Conte? — domandò ad Aral mentre sedevano nella saletta dalla parte del lago, dove il maggiordomo aveva apparecchiato. Il tempo stava peggiorando. La nebbia mattutina s’era alzata solo per unirsi a una coltre di nuvole grigie, e dalle montagne soffiava un vento freddo. Cordelia aveva indossato una giacca sportiva del marito sopra il maglione di lana a fiori.
— Credevo che fosse alla scuderia, per l’addestramento del cavallo che intende presentare a quel concorso ippico — rispose lui con gli occhi fissi sul tavolo, a disagio. — Almeno, questo è ciò che mi ha detto.
Il maggiordomo, che stava servendo il consommé, disse: — No, mio Lord. È uscito questa mattina presto con una vettura da superficie e due armieri di scorta.
— Ah. Scusami — mormorò lui a Cordelia. Si alzò da tavola e uscì in corridoio. In uno dei magazzini sul retro dell’edificio era stato sistemato un impianto per le comunicazioni codificate via satellite, con un uomo di guardia all’esterno sui tre turni. I passi di Aral si allontanarono in quella direzione.