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L’ufficiale preferì non fare commenti, limitandosi a darle uno sguardo inespressivo. Drou ebbe un sorrisetto aspro. Vorkosigan tossicchiò. Koudelka sbatté le palpebre.

— Così, Vorkosigan è stanco di aspettare e si autoproclama Reggente fin d’ora — mormorò Vortala.

— E Primo Ministro — gli ricordò Vorkosigan.

— Così pare, visto che ha giurato.

— Perché non si fa incoronare Imperatore, già che c’è? — sbuffò un ufficiale.

— Prima vuole tastare il terreno — disse Kanzian.

— È nel suo copione. Il lieto fine — opinò Vortala.

— O magari la prossima scena, se gli forziamo un po’ la mano. Il passo troppo lungo, che potrebbe farlo cadere giù dal palcoscenico — suggerì Kanzian. — Tuttavia occorre cautela. Dobbiamo tenerlo sotto pressione, ma senza spingerlo a reazioni troppo inconsulte.

— È quello che faremo — disse con fermezza Vorkosigan.

Il volto di Kareen aleggiò davanti agli occhi di Cordelia come un fantasma per tutto il giorno, e svegliandosi il mattino successivo lo trovò ancora lì. Cosa stava pensando Kareen? Cosa sentiva, anzi, nel lasciarsi infilare quell’anello? Forse era davvero indifferente come suggeriva l’evidenza. Forse stava prendendo tempo. O forse era ormai dalla parte di Vordarian. Se sapessi cosa le hanno fatto credere, saprei cosa sta facendo. Se sapessi cosa sta facendo, saprei cosa le hanno fatto credere.

Era un’equazione con troppe incognite. Se io fossi Kareen… ma questa era un’analogia valida? Poteva davvero mettersi nei panni di qualcun altro e ragionare con la testa di un altro? Avevano dei punti in comune, lei e Kareen: entrambe donne, all’incirca della stessa età, entrambe madri di figli in pericolo… Cordelia aprì lo zaino in cui aveva messo i suoi souvenir della fuga fra le montagne e ne tirò fuori la scarpa di Gregor. La rigirò fra le dita. È stato così che ho perduto la scarpa. È rimasta in mano alla mamma… dovevo allacciarmela più forte, credo… Forse avrebbe dovuto fidarsi di più del suo giudizio. Forse aveva capito esattamente perché Kareen agiva così.

Quando il videotelefono squillò, più o meno alla stessa ora del giorno prima, Cordelia balzò subito in piedi per rispondere. Un’altra trasmissione dalla capitale? Nuovi elementi, qualcosa che avrebbe spezzato quel circolo chiuso di assurdità? Ma il volto che apparve a schermo non era quello di Koudelka; si trattava di un ufficiale sconosciuto, con le mostrine del Servizio Segreto sul colletto.

— Lady Vorkosigan? — domandò con deferenza.

— Sì?

— Sono il maggiore Sircoj. Le parlo dall’ingresso principale della Base. Il mio compito, milady, è di fare rapporto su ogni nuovo arrivo, fuggiaschi, uomini che hanno disertato dalle truppe del traditore e altri, ed esaminare le notizie che ci portano. Mezz’ora fa è giunto un uomo che afferma di venire dalla capitale, ma rifiuta di elargire volontariamente ogni informazione in suo possesso. Abbiamo la conferma che ha subito un trattamento anti-interrogatorio: se cercassimo di iniettargli il penta-rapido, lo uccideremmo. L’uomo continua a chiedere, anzi insiste energicamente, di parlare con lei. Potrebbe essere un sicario.

Il cuore di Cordelia batteva forte. Si appoggiò alla console come se potesse arrampicarcisi sopra. — Ha portato qualcosa con sé? — domandò, col fiato mozzo. — Qualcosa di simile a un contenitore, alto poco più di mezzo metro… con un pannello elettronico e delle luci spia? — Qualcosa di dannatamente misterioso, capace di destare all’istante i sospetti paranoici di qualunque ufficiale di guardia? - Il suo nome, maggiore!

— Con sé non ha niente, salvo i vestiti che indossa. È piuttosto malconcio. Dice che il suo nome è Vaagen. Capitano Vaagen.

— Vengo subito lì.

— No, milady! L’uomo ha dato in escandescenze. Potrebbe essere pericoloso. Non posso permettere che lei…

Cordelia lo lasciò parlare alla stanza vuota. Droushnakovi dovette correre per raggiungerla. Meno di sette minuti dopo era nel corridoio che portava all’ingresso principale, e si fermò a riprendere fiato. A riattaccarsi al corpo l’anima, che minacciava di uscirle dalla bocca. Calma. Calma. L’irruenza era controproducente con un individuo come Sircoj.

Raddrizzò le spalle ed entrò a passi misurati nell’ufficio. — Informi il maggiore Sircoj che Lady Vorkosigan desidera parlare con lui, per favore — disse all’Alfiere seduto alla scrivania più vicina. Lui inarcò le sopracciglia e fece una chiamata dalla sua console.

Sircoj apparve pochi interminabili minuti dopo da una delle porte laterali, della quale Cordelia prese nota. — Devo vedere il capitano Vaagen.

— Milady, non posso permettere che lei si esponga a un pericolo — disse il maggiore, riprendendo a parlare esattamente dove s’era interrotto. — L’uomo potrebbe esser stato programmato per reagire in modo inaspettato.

Cordelia si chiese quanto sarebbe stato inaspettato per Sircoj se lei lo avesse afferrato per il petto, scrollandolo fino a ficcargli in capo la ragione. Poco pratico. Trasse un lungo respiro. — Cosa sarebbe più sicuro per me? Posso almeno vederlo su uno schermo?

Sircoj ci rifletté. — Questo è possibile, in effetti. Se lei fosse in grado di confermare la sua identità, io potrei completare il mio rapporto. Molto bene.

Il maggiore la condusse in una stanza di controllo piena di schermi allineati e ne accese uno. Cordelia lasciò uscire il respiro quasi in un gemito.

Vaagen era solo, in quella che sembrava una cella spoglia, e andava avanti e indietro da una parete all’altra. Indossava i pantaloni verdi dell’uniforme e una camicia bianca piena di macchie. Era molto diverso dallo scienziato elegante ed energico che lei aveva visto l’ultima volta all’OMI. Aveva gli occhi pesti, gonfi, il sinistro quasi chiuso e iniettato di sangue. Stava zoppicando. Sporco, sfinito, con le labbra screpolate…

— Quest’uomo ha bisogno di un medico! — Cordelia si accorse di aver gridato solo quando vide Sircoj sobbalzare.

— È già stato esaminato superficialmente. Le sue condizioni non sono gravi — le comunicò Sircoj, imperterrito. — Sarà inviato in infermeria appena avremo finito con gli accertamenti.

— Allora mi metta in contatto con lui — disse Cordelia a denti stretti. — Drou, torna nell’ufficio e chiama mio marito. Informalo di cosa sta accadendo.

Sircoj apparve preoccupato all’idea, ma con imperturbabile fermezza si attenne alla procedura. Trascorsero altri lunghi minuti prima che qualcuno aprisse la cella e portasse Vaagen al videotelefono più vicino.

Cordelia passò nell’ufficio esterno, dove finalmente poté avere la comunicazione. Sul volto di Vaagen le parve di veder specchiate le stesse passioni che attanagliavano lei.

— Vaagen! Cos’è successo?

— Milady! — L’uomo fu scosso da un tremito mentre si piegava in avanti verso il telefono. — Quegli idioti! Quei bastardi ignoranti! Quei maledetti stupidi figli di… — La rabbia gli mozzò il fiato. Agitò un pugno con un mugolio, quindi fece uno sforzo per calmarsi e parlò in fretta, come se temesse che gli togliessero la linea da un momento all’altro.

— Ci eravamo illusi che tutto sarebbe andato bene, milady, dopo i primi due giorni di scontri, quando la situazione si è calmata. Avevamo nascosto il simulatore in una stanzetta del laboratorio, ma non è venuto nessuno. Avevamo portato lì una branda, per trascorrere anche la notte all’ospedale, a turno. Poi Henry è riuscito a mandare sua moglie fuori città, e ci siamo trasferiti in laboratorio tutti e due, a giornata piena. Volevamo continuare il trattamento medico in segreto. Pensavamo di aspettare che qualcuno venisse a salvarci, o che la situazione si aggiustasse in qualche modo…