Infine scosse il capo. — Non basta — disse. — A noi serve… uno che conosca la città. Un uomo robusto, che ci spalleggi. Abile con le armi e che sappia tenere gli occhi aperti. Ho bisogno di un amico. — Si mordicchiò un labbro, pensosamente. Poi si alzò e andò al telefono.
— Ha chiesto di vedermi, milady? — domandò il sergente Bothari.
— Sì. Entra, per favore.
Gli alloggi degli ufficiali non intimidivano Bothari, ma quando Cordelia gli indicò una poltrona si accigliò, perplesso. Lei prese posto su quella di Aral, dall’altra parte del tavolino da caffè. Seduta all’estremità del divano Drou si teneva in disparte, silenziosa e riservata.
Cordelia osservò Bothari, e lui le restituì lo sguardo. Sembrava in buona forma, anche se gli occhi rivelavano una certa tensione. Lei la sentiva, empaticamente: energia frustrata che infuriava nei suoi nervi, impulsi di rabbia, nodi di autocontrollo, e una pericolosa aura dai fremiti elettrici, quasi sessuali, ad avvolgere il tutto. Erano forze cieche accumulate senza sosta, bloccate solo dal desiderio di sfogarsi con ordine in una direzione lecita prima di raggiungere un punto di rottura ed esplodere selvaggiamente da sole. Cordelia sbatté le palpebre e rimise a fuoco lo sguardo sulla superficie di quel groviglio interiore: un uomo massiccio e nerboruto in uniforme marrone e argento.
Con sua sorpresa fu Bothari a parlare. — Milady, ha avuto qualche notizia di Elena?
Crede che l’abbia convocato qui per questo. Con sua vergogna, s’era completamente dimenticata di Elena. — Nessuna novità, temo. Come sai già, risulta che sia stata portata con la signora Hysopi in quell’albergo di periferia dove la Sicurezza di Vordarian ha fatto affluire gli ostaggi di secondaria importanza, quando sono rimasti a corto di celle. Non è stata portata alla Residenza Imperiale, né in qualche altro posto. — Elena non era, come Kareen, sul percorso della sua missione segreta. Se lui l’avesse chiesto, come avrebbe potuto promettergli qualcosa?
— Ho saputo di suo figlio, milady. Mi dispiace.
— Il mio mutante, come direbbe Piotr. — Lo scrutò. Poteva vedere le sue reazioni nel corpo, più che su quel volto inespressivo.
— A proposito del Conte Piotr… — disse lui. Tacque, unì le mani sui ginocchi e incrociò con forza le dita. — Ne ho parlato con l’ammiraglio, ma non ho pensato di dirlo a lei. Forse avrei dovuto farlo.
— Puoi sempre dirmi tutto. — E adesso che altro c’era?
— Ieri sono stato avvicinato da un uomo. In palestra. Non portava l’uniforme; niente gradi, neppure una targhetta d’identità. Mi ha offerto Elena. La vita di Elena, se avessi assassinato il Conte Piotr.
— Che tentazione! — ridacchiò Cordelia, prima di poterselo impedire. — E quali, uh, garanzie poteva offrirti?
— È quello che mi sono chiesto anch’io. Dieci minuti dopo una cosa del genere finirei davanti al plotone d’esecuzione, e allora chi si prenderebbe cura di una figlia bastarda e orfana? Ho pensato che fosse una finta, una di quelle con cui la Sicurezza mette alla prova gli uomini. Però questo individuo non l’ho più visto alla Base, anche se l’ho cercato. È come svanito. — Sospirò. — Ora mi chiedo se non ho avuto un’allucinazione.
A giudicare dallo sguardo con cui lo fissava, Drou era chiaramente propensa per quest’ultima ipotesi. Per fortuna Bothari era voltato e non notò la sua espressione. Cordelia le lanciò un’occhiata di tralice, seccata.
— Hai mai avuto allucinazioni? — gli domandò.
— Non credo. Solo brutti sogni. Cerco di non dormire.
— Io… ho un dilemma personale, ora — disse lei. — Tu immagini quale. Mi hai sentito parlare con il Conte Piotr.
— Sì, milady.
— Hai saputo del limite di tempo?
— Limite di tempo?
— Se non viene rifornito, il simulatore uterino cesserà di tenere in vita Miles entro sei giorni. Mio marito dice che non è più in pericolo dei familiari dei suoi ufficiali. Io non sono d’accordo.
— C’è gente che dice altre cose, dietro le sue spalle.
— Ah?
— Dicono che è una sciocchezza. Il figlio dell’ammiraglio è una specie di mutante, non un vero figlio, mentre loro hanno ben di più da perdere.
— Non credo che sappia… che dicono questo.
— Chi oserebbe dirglielo in faccia?
— Pochi. Forse neppure Illyan. — Anche se Piotr non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione, se quelle chiacchiere fossero giunte a lui. Cordelia rifletté qualche istante, poi chiese: — Sergente, tu per chi lavori?
— Sono un Armiere Giurato del Conte Piotr — recitò Bothari, sapendo che era una risposta ovvia. La scrutò più attentamente, con l’ombra di un sorriso aspro su un angolo della bocca.
— Permettimi di dirlo in un altro modo. Io so che la punizione per un Armiere che sia assente ingiustificato è molto grave. Tuttavia, supponiamo che…
— Milady. — Bothari alzò una mano, fermandola a metà della frase. — Ricorda, sul prato di fronte a Vorkosigan Surleau, mentre mettevamo il corpo di Negri nell’aereo, quando il mio Lord Reggente mi ha ordinato di ubbidire a lei come alla sua stessa voce?
Cordelia alzò le sopracciglia. — Sì…?
— Non ha ancora ritirato questo ordine.
— Sergente — disse lei, stupita, — non avrei mai creduto che tu fossi un avvocato da caserma.
Il millimetrico sorriso di Bothari s’indurì. — La sua voce, milady, è legalmente la voce dell’Imperatore.
— Sì, è così — sussurrò lei, con un lampo negli occhi.
Bothari si piegò in avanti. Le sue mani, sui ginocchi, erano adesso ferme come blocchi di roccia. — Allora, milady, cosa mi stava dicendo?
Nella vasta rimessa sotterranea del Reparto Veicoli i rumori echeggiavano come in una caverna. Le ombre, fra i pilastri che sorreggevano il soffitto, erano tagliate solo dai riflessi delle luci bianche accese oltre le pareti di vetro dell’ufficio. Ferma nella penombra accanto al portello del pozzo antigravità, con Drou alle spalle, Cordelia guardava Bothari che parlava con l’ufficiale addetto ai trasporti. Un Armiere del Generale Conte Piotr Vorkosigan si stava facendo assegnare un veicolo per il suo Lord. I documenti e i codici d’accesso di cui Bothari era fornito stavano apparentemente funzionando bene. L’addetto ai trasporti infilò la tessera di Bothari nel suo computer, gli chiese di firmare con l’impronta del palmo sulla piastra di un sensore, e poi si volse a dar ordini a un sottufficiale.
Cordelia si chiese ansiosamente se un piano così semplice sarebbe andato liscio. E in caso contrario, che alternative avevano? Nella sua mente tornò l’immagine del percorso che avevano stabilito, linee rosse tracciate su una carta geografica. Non a nord verso il loro obiettivo, ma prima a sud, per via di terra, attraverso il più vicino distretto leale all’Imperatore. Abbandonare la troppo riconoscibile vettura governativa, prendere la monorotaia verso ovest fino in un altro distretto, quindi a nord-ovest per un altro ancora. Poi a est nel Distretto Vorinnis, un territorio neutrale su cui si puntavano le attenzioni diplomatiche di entrambe le parti avverse. Cordelia ripensò a un commento del Conte Piotr: «Stanne certo, Aral. Se Vorinnis non la smette di tenere i piedi in due staffe, e di fare un gioco sporco ai danni di tutte e due, dovremo impiccarlo più in alto di Vordarian quando tutto questo sarà finito.» Dalla città capoluogo di quel distretto avrebbero dovuto raggiungere infine, in qualche modo, la capitale. Un numero di chilometri scoraggiante da percorrere. Tre volte superiore alla distanza in linea d’aria. E tutto il tempo che avrebbe richiesto. Il suo cuore puntava a nord come l’ago di una bussola.
Il primo e l’ultimo distretto sarebbero stati i più difficili. Le truppe di Aral potevano essere ostili a quell’escursione quanto quelle di Vordarian. La sua testa era così piena di probabilità sfavorevoli che l’insieme le appariva impossibile.