CAPITOLO SEDICESIMO
Ortaggi di contrabbando. Seduta nel retro del grosso furgone a cuscino d’aria, Cordelia poteva distrarsi osservando le cassette di pomodori e le confezioni di verdura mista negli scatoloni che oscillavano a ogni svolta. Vegetali del sud, che affluivano a Vorbarr Sultana sfuggendo ai posti di blocco su strade secondarie, come loro. Dall’odore avrebbe giurato che dietro le casse c’erano alcuni dei sacchi di cavoli con cui aveva viaggiato giorni addietro, anch’essi fatti migrare secondo le contorte pressioni economiche della guerra.
I distretti controllati da Vordarian erano sottoposti a un ferreo blocco economico da quelli fedeli all’Imperatore. Benché lo spettro della fame fosse ancora lontano, i prezzi dei generi alimentari alla capitale erano balzati alle stelle, in vista dell’inverno e grazie alle immancabili manovre di accaparramento. Così i contadini giocavano le loro carte come potevano, e la gente disposta a correre rischi non era contraria a imbarcare sconosciuti disposti a pagare lautamente il passaggio.
A proporre quel metodo era stato Koudelka, che dopo aver fatto sbollire la sua disapprovazione era stato attratto nella loro avventurosa strategia a dispetto di se stesso. Era stato Koudelka a individuare uno dei grossisti che alimentavano il mercato nero, nel distretto di Vorinnis, ed a contattare uno degli autisti nel bar di fronte al piazzale di carico. Il pagamento lo aveva però stabilito Bothari; una cifra ridicola agli occhi di Cordelia ma corrispondente alle tariffe che quei corrieri giudicavano accettabili per un rischio in più.
— Mio padre possedeva una bottega — li aveva rigidamente informati Koudelka, proponendo quel piano. — So quel che sto facendo.
Cordelia s’era chiesta, perplessa, cosa significasse lo sguardo che lui aveva dato a Droushnakovi. Poi s’era ricordata che il padre di Drou era un soldato. Kou le aveva spesso parlato della madre e delle sorelle, ma solo in quel momento lei s’era resa conto che aveva sempre lasciato il padre fuori dalle sue reminiscenze, come per una sorta di imbarazzo sociale. Forse non c’era stato molto affetto fra loro. Koudelka aveva messo il veto all’idea di usare veicoli carichi di carne: — È più probabile che le pattuglie di Vordarian vogliano fermarli. Non intendono affatto impedire il mercato nero; è così che quegli uomini si portano a casa qualche chilo di bistecche, e gli autisti lo sanno. — Cordelia non sapeva se parlasse per esperienza militare, civile, o entrambe; in ogni caso era lieta di non viaggiare fra quarti di manzo congelato.
S’erano vestiti con gli abiti presi dalle borse da viaggio, in conformità alla parte che avevano deciso di recitare. Bothari e Koudelka si presentavano come due ex combattenti messi in congedo per invalidità, e facevano il possibile per apparire amareggiati e scorbutici come quella triste schiera. Cordelia e Drou erano due donne di campagna unitesi a loro in cerca di migliori occasioni. Il loro abbigliamento era una realistica combinazione di vestiti poveri e capi più fini apparentemente acquistati di seconda mano. Le borse erano state calpestate e sporcate al punto che sembravano scelte in una discarica di rifiuti.
Cordelia chiuse gli occhi, esausta, anche se sapeva che non sarebbe riuscita a dormire. L’orologio ticchettava nella sua testa. Erano trascorsi due giorni dalla partenza da Base Tanery. Così vicini al loro obiettivo, e ancora così lontani dal successo… ad un tratto sussultò. Il veicolo aveva rallentato all’improvviso, abbassandosi al suolo con uno scossone. L’eco del motore la informò che non erano più in aperta campagna.
Bothari guardò dal finestrino che comunicava con la cabina di guida e annuì verso l’autista. — L’amico dice che siamo al capolinea — borbottò, andando ad aprire lo sportello. I quattro scesero e si spostarono sul marciapiede. Non era ancora l’alba, faceva freddo, e dalle loro bocche uscivano nuvolette di vapore bianco. Nella zona erano accesi appena pochi lampioni, più di quel che Cordelia si sarebbe aspettato in tempo di guerra. Bothari andò a parlare con l’autista e il veicolo si sollevò dal suolo, investendoli con una raffica di vento.
— Non poteva portarci fino al Mercato Centrale — grugnì Bothari. — Dice che le derrate arrivano a quest’ora, e che ci sono più guardie municipali adesso che nel resto della giornata.
— Si aspettano dei disordini per la mancanza di cibo? — domandò Cordelia.
— Senza dubbio. E sono ansiosi di arraffare tutto quello che possono — disse Koudelka. — Vordarian dovrà mandare altre truppe nei punti chiave della città, prima che i generi alimentari razionati finiscano anch’essi al mercato nero. — Quando dimenticava d’essere un ufficiale, il giovanotto rivelava una discreta conoscenza dei trucchi usati dai commercianti. Com’era riuscito un bottegaio di periferia a mandare suo figlio prima alle scuole superiori e poi all’Accademia Militare Imperiale? Cordelia sogghignò fra sé, poi guardò su e giù per la strada. Era un vecchio quartiere, con edifici a cinque o sei piani risalenti a prima dell’epoca dei pozzi antigravità, scoloriti dalla pioggia, con i tubi dell’acqua, del gas, e i cavi elettrici tutti all’esterno, come se li avessero aggiunti solo in un secondo tempo.
Bothari, che sembrava sapere dove stava andando, li guidò verso il centro. L’aspetto dei caseggiati non migliorò per questo, anzi le strade si fecero più strette e sporche; nei vicoli fra gli edifici stagnava un misto di odori fra cui quello della semplice spazzatura era forse il più accettabile. Il funzionamento dell’illuminazione stradale era lasciato al buon cuore dei teppisti. Drou s’era aperta la blusa per poter arrivare in fretta alla fondina. Koudelka tirava avanti zoppicando stancamente, appoggiato al suo bastone.
Davanti a una porta su cui un’insegna dipinta a mano illuminata da una lampadina a bulbo diceva soltanto CAMERE LIBERE, Bothari si fermò. — Qui dovrebbe andar bene. — La porta, un vecchio battente non automatico fissato a cardini girevoli, era chiusa. Visto che il campanello sembrava introvabile, Bothari bussò col pugno. Dopo un tempo interminabile uno sportello largo meno di un palmo si aprì, e un occhio sospettoso sbirciò all’esterno.
— Chi è? Che vuoi? — brontolò una voce maschile.
— Una stanza per dormire.
— A quest’ora dannata? Torna più tardi, eh?
Bothari portò Drou più in vista. La luce che usciva dallo spioncino illuminò il volto della ragazza bionda.
— Uh… be’. Momento — grugnì la voce. Ci fu rumore di ferraglia, il fruscio di un ultimo catenaccio, e la porta si aprì.
I quattro entrarono in una stretta anticamera da cui partiva una scala. Sulla destra c’era una scrivania con un telefono senza video e uno scalcinato televisore a schermo bidimensionale, e più oltre l’ingresso di un corridoio semibuio. In pigiama e con la barba lunga il gestore, un uomo grassoccio di mezz’età, si mostrò ancora meno entusiasta quando seppe che pur essendo in quattro volevano una stanza sola. Non fece domande. Evidentemente la stanchezza e la disperazione aggiungevano un tocco magico al loro aspetto esteriore di miseri sfollati. Con la sua faccia, e inoltre due malmesse e un individuo zoppicante al seguito, Bothari aveva un biglietto d’ingresso pagato per qualunque ambiente al di sotto di quelli rispettabili.
Il gestore assegnò loro una stanza al terzo piano dell’edificio, non molto ampia, e Koudelka e Droushnakovi fecero il primo turno di sonno sui due letti che la occupavano. Poco più tardi, mentre la prima luce del giorno si spandeva sulla periferia della metropoli, Cordelia e Bothari scesero a cercare qualcosa da mangiare.
— Avrei dovuto portare delle razioni militari, sapendo che la città era in questa situazione — mormorò Cordelia.
— Non c’è problema, milady — disse Bothari. — Ah… meglio che non parli molto. Il suo accento.
— Giusto. In tal caso cerca di fare due chiacchiere con quest’uomo, se è possibile. Vorrei sapere come la pensa la gente di qui.