— Sono vivi. Si nascondono. Ma… quest’uomo, l’affittacamere, non può esser stato il solo ad accorgersi di loro. Lui posso tenerlo a bada, però chiunque altro potrebbe mettersi di mezzo. Sono momenti duri, e la gente ha bisogno di soldi.
— Sai qualcosa del bambino di Lady Vorpatril?
Lui scrollò le spalle. — So solo che non ha ancora partorito.
— È in ritardo! Ha finito il tempo due settimane fa. Dannazione. — Fece una pausa. — Pensi che potremmo farcela a fuggire insieme dalla città?
— Più siamo, più daremo nell’occhio — disse lentamente Bothari. — Ho visto di sfuggita Lady Vorpatril. È molto grossa. Una donna incinta attrae l’attenzione più di altre.
— Non vedo come unirsi a noi migliorerebbe la loro posizione. La loro copertura ha funzionato per quasi tre settimane. Se alla Residenza Imperiale andasse tutto bene e riuscissimo a lasciare la città, una volta a Base Tanery potremmo pensare a loro. Illyan manderebbe sicuramente i suoi agenti ad aiutarli… — Maledizione. Se la loro fosse stata un’incursione vera e propria, autorizzata, avrebbero avuto a disposizione subito i contatti che servivano ai Vorpatril. Ma un’incursione vera e propria non li avrebbe portati lì in quel quartiere, all’incontro casuale con quella scoperta. Cordelia rifletté qualche minuto. — No. Nessun contatto, per ora. Ma bisogna mettere la museruola al nostro amico, qui sotto.
— Già fatto — disse Bothari. — Gli ho detto che conosco un modo di farci pagare una grossa cifra senza rischiare la testa, e sembra d’accordo. Forse potremo comprarlo noi stessi. Può aiutarci.
— Ti fidi di lui? — domandò Droushnakovi, dubbiosa.
Bothari sogghignò. — Come chiunque si fida di uno che non conosce, da queste parti. Lo terrò d’occhio, non preoccuparti. C’è un’altra cosa… mentre rientravo, giù, trasmettevano un notiziario. Ieri sera Vordarian si è autoproclamato Imperatore.
Kou imprecò. — Così, ha deciso di rivelare la sua vera faccia.
— Ma questo che significa? — domandò Cordelia. — Si sente davvero tanto forte, o è una mossa dettata dalla disperazione?
— È l’ultimo tentativo di portare dalla sua parte le forze spaziali, suppongo — disse Kou.
— Credi che possa attrarre più uomini di quanti potrebbero esserne indignati e offesi?
Kou scosse il capo. — Quello che ci fa paura, qui su Barrayar, è il caos. L’abbiamo assaggiato. Costa molto dolore. Il potere Imperiale rappresenta l’ordine, la quiete, da quando Dorca Vorbarra mise fine alle continue guerre dei Conti e unificò il pianeta. «Imperatore» è una parola magica.
— Non per me — sospirò Cordelia. — Adesso riposiamoci un po’. Forse per domani a quest’ora sarà tutto finito. — Pensiero rassicurante oppure spaventoso, a seconda del piatto della bilancia su cui il destino li avrebbe deposti. Per l’ennesima volta Cordelia contò le ore che mancavano a ogni passo dell’azione. Una giornata andava dedicata alla ricerca del modo migliore di penetrare nella Residenza Imperiale; altre due sarebbero occorse per tornare alla Base Tanery su un percorso sicuro… restava un minimo margine di tempo per gli imprevisti. Aveva l’impressione d’essere su un aereo in picchiata, sempre più veloce. E sempre più a corto di alternative.
L’ultima possibilità di rinunciare, di tornare indietro. Era il tramonto, e sui grigi quartieri della periferia stava scendendo la nebbia. Aveva piovuto fino a poco prima. Attraverso i vetri sporchi della finestra Cordelia guardò la strada, dove i lampioni spandevano una debole luce sulle pozzanghere. Pochi passanti si affrettavano sui marciapiedi, i volti nascosti sotto gli ombrelli o i larghi berretti degli impermeabili. Era come se la guerra e l’inverno avessero risucchiato la vita della città, riducendo il traffico a un rivolo e lasciandola immersa in un silenzio profondo. Non farti influenzare dall’atmosfera, si disse Cordelia. Raddrizzò la schiena e si girò a guardare gli altri tre, poi uscì e li precedette giù per le scale.
Nel breve corridoio del pianterreno non c’era nessuno. Cordelia stava pensando di andarsene senza formalità — avevano pagato in anticipo — quando il gestore entrò dalla porta di strada, grondando acqua dall’impermeabile e imprecando fra sé. Nel vedere Bothari si scurì in faccia.
— Ah, eccoti qua! Bel lavoro mi hai combinato, signor ci-penso-io. Per colpa tua ho perso un’occasione buona, e adesso qualcun altro ci si sta riempiendo le tasche. Quella taglia avrebbe potuto essere mia, capisci? Dovevo essere io a…
Le recriminazioni dell’individuo si spensero in un grugnito di dolore quando Bothari lo schiacciò contro il muro, con un tonfo violento. Sbarrò gli occhi e cercò di contorcersi, ma una mano lo attanagliò alla gola come una morsa. La faccia di Bothari era una maschera di ferocia belluina. — Cos’è successo? Parla!
— Una squadra di Vordarian li sta arrestando. Se li è tirati dietro lui stesso fino a casa. — La voce del gestore vibrava fra la rabbia e lo spavento. — Li porteranno via tutti e due, e io non ho intascato un soldo!
— Li porteranno via? — chiese Cordelia. — Che vuoi dire?
— Li stanno portando via adesso, maledizione! Lasciami!
Forse c’era ancora una possibilità, si disse Cordelia. Decisioni tattiche o improvvisazioni emotive, poco importava ormai. Aprì una borsa e tirò fuori uno storditore. Bothari si scostò, e lei sparò al gestore lì dove si trovava. L’uomo si afflosciò al suolo privo di sensi. — Dobbiamo cercare di fermare quegli uomini. Drou, prendi le armi. Sergente, ci porti là. Muoviamoci!
Fu così che si trovò a correre nella foschia in una strada male illuminata verso una scena da cui ogni barrayarano sano di mente si sarebbe tenuto alla larga: l’arresto di ricercati eseguito dalla Sicurezza Imperiale. Drou la precedeva, al passo con Bothari. Appesantito dalle borse, Koudelka stava restando indietro. Cordelia desiderò che la nebbia fosse più fitta.
Il rifugio dei Vorpatril era in una traversa a due isolati da lì; un edificio stinto a sei piani, non diverso da quello in cui loro avevano trascorso la giornata. Bothari allargò un braccio per fermarli e i quattro sbirciarono cautamente oltre l’angolo; poi si ritrassero. Due vetture da superficie della Sicurezza erano parcheggiate davanti a un andito poco illuminato, largo cinque o sei metri. A parte loro — e chi stava sbirciando di nascosto da qualche finestra — la strada era del tutto deserta. Cordelia non ne fu stupita; si girò e alzò una mano per azzittire Koudelka, che arrivava ansando.
— Droushnakovi — disse Bothari, — tu gira intorno a quell’edificio e appostati sull’altro lato delle auto. Bada che hanno sicuramente messo qualcuno a guardia dell’uscita posteriore.
Sì, la guerriglia urbana era pane per i denti di Bothari. Drou annuì, s’infilò in tasca un’altra carica per il distruttore neuronico e attraversò la strada con andatura lenta, casuale, senza guardare verso le due vetture. Appena uscita dal campo visivo degli autisti corse avanti in silenzio e sparì dietro l’edificio.
— Siamo troppo lontani — mugolò Bothari, rischiando un’altra occhiata oltre l’angolo. — Non si vede niente. Bisogna avvicinarci. — Si girò verso Cordelia. — E questo significa entrare là. Non c’è altra scelta.
— Un uomo che accompagna la sua amichetta — disse lei. — Possiamo passare accanto alle auto, fingerci innervositi nel vedere la scena e passare sull’altro lato della strada… può funzionare?
— Non per molto — disse Bothari. — Le nostre armi sono già nel raggio dei loro scanner. Per ora non le distinguono da quelle dei loro colleghi entrati là dentro, ma a dieci metri di distanza sapranno che un segnale arriva anche da noi. Però… io e lei abbiamo più possibilità di due uomini. Al momento buono dovremo agire molto in fretta. Tenente, ci copra da qui con la pistola a plasma. Dovrebbe bastare; quelle non mi sembrano auto corazzate.