Così, sotto la responsabilità e la supervisione di Cordelia, il piccolo Imperatore ballò con la sposa, mangiò tre paste alla crema, salì sul palco degli orchestrali per battere su un tamburo con una bacchetta, e infine dichiarò di avere sonno e fu portato via sereno e soddisfatto. Tutto ciò che il povero bambino voleva era svagarsi per un quarto d’ora.
La festa andò avanti. — Mi concede un ballo, milady? — disse la voce di Aral accanto a Cordelia.
Poteva osare? L’orchestra stava suonando uno Specchio-a-Specchio, un ballo da giovani che richiedeva molta rapidità nell’imitare le improvvisazioni del partner. Annuì, incerta. Aral vuotò il bicchiere e la condusse in pista. Un passo di qua, uno di là, mosse delle braccia e delle gambe, concentrazione. Cordelia fece un’interessante scoperta: ciascuno dei due poteva condurre e, se erano entrambi svelti e attenti, chi li guardava non poteva scoprire la verità. Tentò di adattare a quel ritmo alcuni passi di un ballo più lento, che conosceva meglio, e lui la seguì senza fatica. Si alternarono a condurre e il gioco assorbì tutta la sua attenzione, finché d’un tratto si accorse che era accaldata e aveva il fiato corto, e che da qualche minuto lei e Aral stavano ridendo come due ragazzini.
L’ultima neve dell’inverno si stava trasformando in fanghiglia sulle strade di Vorbarr Sultana, quando Vaagen chiamò Cordelia dall’Ospedale Militare Imperiale.
— È il momento, milady. Io ho fatto tutto il possibile in vitro. Ma la placenta ha ormai dieci mesi e comincia a deteriorarsi. Potremmo rimediare con vari espedienti, però è sconsigliabile.
— Allora, quando?
— Domani andrebbe bene.
Quella notte lei riuscì appena a dormire. Il mattino dopo andarono tutti all’OMI: Aral, Cordelia, e il Conte Piotr scortato da Bothari. Lei non era affatto sicura di desiderare la presenza del suocero, ma c’erano delle convenienze da rispettare, finché il vecchio non le avesse fatto la cortesia di passare a miglior vita. Forse un altro appello alla ragione o una migliore presentazione dei fatti avrebbe ottenuto qualcosa. Il loro antagonismo addolorava Aral; ma il primo passo per tentare di risolverlo spettava a Piotr, non a lei. Fai pure del tuo peggio, vecchio. Non hai alcun futuro, fuorché quello che passa attraverso me e mio figlio. Sarà lui ad accendere la tua pira funebre. Fu lieta, comunque, di rivedere Bothari.
Il nuovo laboratorio di Vaagen occupava l’intero pianterreno del più moderno edificio del complesso. Cordelia aveva accelerato il suo trasferimento dal vecchio laboratorio a causa dei fantasmi, da quando un giorno, dopo il loro rientro a Vorbarr Sultana era entrata là trovandolo quasi paralizzato e incapace di lavorare. Ogni volta che entrava in quel posto, le aveva confidato lui, la cruenta scena dell’assassinio di Henry tornava a svolgersi nella sua memoria. Non riusciva neanche a mettere i piedi nel punto in cui il collega era caduto: era costretto a girarci intorno. E ogni rumore improvviso gli faceva venire la pelle d’oca. «Ma io sono un uomo di scienza» aveva detto con energia. «Questi controsensi superstiziosi non significano niente per me.» Così Cordelia aveva bruciato un’offerta allo spirito di Henry nel vecchio laboratorio; poi una donazione di Aral aveva convinto l’OMI a riassegnare quei locali al Reparto Patologia, e Vaagen era stato «sfrattato».
Il nuovo laboratorio era spazioso, pieno di luce, e poco invitante per qualsiasi spettro di sani istinti. Quando Vaagen la scortò nell’interno, Cordelia vi trovò un nutrito gruppo di persone: ingegneri e medici militari che Vaagen stava coinvolgendo nella tecnica dei simulatori uterini, e ostetrici privati interessati alla cosa. C’era anche il Dr. Ritter, futuro pediatra di Miles, che Vaagen consultava per la chirurgia dei trasferimenti di placenta. La scienza aveva la precedenza; i semplici genitori dovevano aprirsi la strada coi gomiti in quell’illustre consesso.
Vaagen si muoveva con autorità e competenza. Il suo occhio ferito non era guarito bene; doveva portare una lente a contatto polarizzata; ma avrebbe avuto bisogno di un intervento chirurgico e aveva detto a Cordelia che per il momento gliene mancava il tempo. Un tecnico mise il simulatore uterino su un apposito supporto e Vaagen prese tempo illustrando ai presenti alcuni particolari, quasi per creare un’atmosfera e dare un tocco drammatico a una cosa che Cordelia conosceva come molto semplice e piatta. Si servì di un proiettore olografico per mostrare gli effetti delle soluzioni ormonali che iniettava nel sistema nutritivo dell’apparecchio, spiegò i dati dei display, descrisse le fasi della separazione di placenta in atto all’interno del replicatore, e terminò con le piccole differenze tecniche fra il parto da un simulatore e quello da un corpo femminile. Cordelia rifletté che Alys VorpatriI avrebbe trovato quest’ultima parte molto lacunosa. Prova tu a partorire per terra in una stanza nuda, senza riscaldamento e in una notte d’inverno, con uno straccio fra i denti per non urlare, e vedrai le «piccole differenze tecniche».
Vaagen si girò a cercare il suo sguardo, fece una pausa d’effetto e sorrise. — Lady Vorkosigan, prego — disse, indicandole i sigilli del simulatore. — Questo privilegio spetta a lei.
Cordelia si fece avanti, esitò, si volse a cercare suo marito. Era lì, attento e solenne, fra gli spettatori. — Aral…
Lui le venne accanto. — Sei sicura di sapere come si fa?
— Se sai aprire una lattina di birra, non c’è problema. — Presero ciascuno un’estremità del sigillo e lo staccarono, all’unisono; poi aprirono le due flange dello sportello. Un rivolo di liquido colò nella bacinella sottostante. Il Dr. Ritter entrò in azione con un bisturi a vibrolama, e incise lo strato di tubicini pieni di fluido nutriente con un tocco così leggero che l’argenteo sacco amniotico sotto di essi non fu neppure graffiato. Infine lo aprì, estrasse Miles dalla sua confezione biologica, tagliò il cordone ombelicale e gli svuotò la bocca e il naso per facilitare il suo primo, stupito, respiro d’aria. Il braccio di Aral intorno alla vita di Cordelia stringeva così forte da farle male. Una breve risata, appena un ansito, gli uscì dalle labbra; ma subito deglutì saliva e controllò il miscuglio di eccitazione e di sofferenza per riportare i suoi lineamenti sotto controllo.
Benvenuto, bambino mio, pensò Cordelia. Ha un buon colorito. …
Sfortunatamente c’erano altre cose, e queste non troppo buone. La differenza col piccolo Ivan colpì Cordelia. Malgrado le due settimane in più di gestazione — dieci mesi, contro i nove e mezzo del figlio di Alys — Miles era appena la metà di lui e molto più grinzoso e rattrappito. La sua colonna vertebrale era chiaramente deforme, e le gambe contratte sotto il bacino in posizione anomala. Era un maschio, su questo nessun dubbio. Ma il suo primo vagito fu debole e sottile, nulla di simile allo strillo iroso, famelico, con cui Ivan aveva aggredito il mondo. Dietro di lei Cordelia sentì il mormorio irritato e deluso di Piotr.
— Ha avuto abbastanza fluido nutritivo negli ultimi tempi? — chiese Cordelia a Vaagen, sforzandosi di non avere un tono accusatore.
Lui scrollò le spalle. — Tutto quello che poteva assorbire.
Il pediatra lavò Miles, lo depose sotto una lampada riscaldante e affiancato dai colleghi cominciò a visitarlo. Cordelia e Aral si fecero avanti per guardare meglio.
— Il tratto dorsale della colonna si raddrizzerà da solo, milady — disse il pediatra. — Ma quello lombare dovrà essere corretto chirurgicamente appena possibile. Lei aveva ragione, Vaagen: il trattamento per ottimizzare lo sviluppo cranico ha fuso al bacino le articolazioni dei femori. È per questo che le gambe sono piegate in questa brutta posizione. Bisognerà operare anche qui, e ricostruire le articolazioni prima che abbia l’età dei primi movimenti autonomi. Non entro i prossimi dodici mesi, comunque; la precedenza andrà data all’intervento lombare. Poi, quando avrà acquistato un po’ di peso e di forza muscolare…