Quella in cui stavano guardando era la camera da letto del vecchio Imperatore. Si aspettavano che fosse vuota, ma non era così. E la bocca di Drou si aprì in un muto O di sbalordito orrore.
Il massiccio letto matrimoniale a baldacchino, quello stesso in cui Ezar Vorbarra aveva ceduto l’anima a Dio, era occupato. Una lampadina da notte, chiusa in un paralume di seta, spandeva morbida luce rosa sui corpi nudi di due persone addormentate. Anche se in quella posa lo vedeva male e di schiena Cordelia riconobbe subito il profilo baffuto di Vidal Vordarian. Occupava per sé i quattro quinti del letto, con un braccio possessivamente allargato sui seni della Principessa Kareen. Distesa sul bordo del materasso, a rischio di cadere, la giovane donna bruna teneva il volto girato all’esterno e le mani sul ventre, in uno strano riflesso di pudicizia onirica.
Be’, Kareen l’abbiamo trovata, ma c’è un intoppo. Cordelia scacciò l’impulso di sparare a Vordarian nel sonno. La scarica d’energia avrebbe fatto suonare l’allarme in tutto il palazzo. Finché non aveva il simulatore di Miles fra le mani, cominciare a farsi dare la caccia era da escludere. Accennò a Drou di chiudere di nuovo il pannello, poi sussurrò: — Giù! — a Bothari che aspettava sotto di loro. Lentamente e faticosamente scesero nell’intercapedine fino alla base della scala. Nel passaggio presso lo stanzone sotterraneo Cordelia si accorse che Droushnakovi piangeva in silenzio.
— Si è venduta a lui! — ansimò la ragazza, con voce incrinata dalla sofferenza e dal disgusto.
— Se sai dirmi con quali argomenti una donna nella sua situazione può tenersi lontana dal letto di quell’uomo, ti prego di istruirmi — disse Cordelia, seccata. — Cosa dovrebbe fare, secondo te? Buttarsi dalla finestra per sfuggire a un destino-peggiore-della-morte? Ha visto notti ben più dure di queste, con Serg. Dopo aver diviso il letto con un maniaco, poche cose possono emozionarla.
— Ma se solo avessimo agito prima, io avrei… noi avremmo potuto salvarla.
— Questo siamo ancora in tempo a farlo.
— No! Ormai si è venduta, anima e corpo!
— Si può mentire nel sonno? — domandò Cordelia. E allo sguardo perplesso di lei, continuò: — Non aveva l’aria di una donna col suo amante. Sembrava piuttosto una prigioniera. Io ti ho promesso che faremo il possibile per lei, e lo faremo. — Tempo. - Ma prima cercheremo Miles. Tentiamo per la seconda uscita.
— Dovremo passare per corridoi più sorvegliati — disse Drou.
— Non abbiamo scelta. Se aspettiamo ancora, la servitù comincerà ad alzarsi e bisognerà uccidere qualcuno.
— I cuochi e i fornai sono già al lavoro. — Drou sospirò. — Certe volte, a quest’ora, io scendevo a prendere il caffè con loro.
Ahimè, una squadra di incursori non poteva passare in cucina per un caffè caldo prima d’iniziare il raid. E di nuovo la domanda: andare avanti o rinunciare? Era il coraggio, pensò Cordelia, o la stupidità a spingerla? Il coraggio non poteva essere; aveva un vuoto allo stomaco. E in bocca lo stesso sapore amaro di prima di ogni scontro, durante la guerra di Escobar. Riconoscere una sensazione familiare non la aiutava affatto. Se io non agisco, mio figlio morirà. Avrebbe dovuto farcela anche senza il coraggio. — Muoviamoci ora — decise. — Non ci sarà un momento migliore più tardi.
Di nuovo su per la scala a pioli. Il secondo pannello girevole si aprì sull’ufficio privato del defunto Imperatore. Con sollievo di Cordelia era al buio e odorava di chiuso; sembrava che nessuno ci avesse messo piede dalla morte di Ezar, quella primavera. La console delle comunicazioni e i terminal erano staccati dalla rete, vuoti e morti come il corpo del loro padrone. Attraverso le imposte sbarrate delle finestre filtrava la prima luce grigia del mattino.
Mentre Cordelia attraversava in fretta la stanza, il bastone-spada di Kou le sbatté sulla caviglia sinistra; appeso alla cintura in quel modo avrebbe potuto dare nell’occhio. Sopra un tavolino c’era un lungo vassoio che fungeva da base a una coppa di ceramica ovale, uno dei tipici soprammobili della Residenza. Cordelia mise il bastone sul vassoio e lo sollevò a due mani, con aria solennemente servile.
Droushnakovi ebbe un cenno d’approvazione. — Lo tenga più basso, all’altezza del petto — sussurrò. — Spalle dritte, testa alta, e non ancheggi. È la prima cosa che il personale femminile deve imparare, qui dentro.
Cordelia annuì. Aprirono la porta, tesero gli orecchi ai rumori esterni ed uscirono uno dopo l’altro nel breve corridoio esterno dell’ala nord.
Due donne con qualche mansione nella Residenza e un uomo della Sicurezza che le scortava. Girarono nel corridoio centrale, e qui videro che quasi sul fondo, qualche metro prima della Scala Rosa, era di sentinella un caporale del turno di notte. L’uomo si voltò subito e li guardò avvicinarsi con attenzione, ma alla vista dell’uniforme s’era impercettibilmente rilassato. Osservò i gradi di Bothari e si portò una mano al berretto per rispondere al suo saluto quando i tre gli passarono davanti. Un momento prima di girare l’angolo della Scala Rosa, Cordelia si sentì il suo sguardo sulla schiena con tale intensità che ebbe un brivido. Stavano camminando sul filo del rasoio. Due donne sconosciute non costituivano una minaccia: c’era già una guardia a scortarle. Che la minaccia potesse venire dalla guardia era un fatto che forse non avrebbe sfiorato la mente del caporale ancora per qualche minuto.
Uscirono nel corridoio del piano superiore, quasi identico a quello sottostante. Laggiù. Dietro la quarta porta a destra, secondo il rapporto degli agenti di Illyan, c’era la stanza in cui Vordarian aveva fatto mettere il simulatore. Praticamente sotto i suoi occhi. C’erano altri ostaggi preziosi in quell’ala: scudi umani, il prezzo di ogni eventuale attentato alla sua vita coi gas o con un missile esplosivo.
Fuori da quella porta c’era di guardia un altro caporale della Sicurezza. L’uomo li guardò con aria insospettita, e avvicinò una mano alla fondina. Cordelia e Droushnakovi camminarono dritte verso di lui, tenendosi al centro del corridoio, mentre Bothari si spostava sulla loro destra.
— Buongiorno — disse il caporale, facendo un passo avanti con aria autoritaria. — Dove state andando?
— Buongiorno — rispose Bothari, alzando la mano destra al berretto. La riabbassò di colpo, trasversalmente, colpendolo al collo con violenza. L’uomo cadde contro il muro e scivolò al suolo. Lui lo afferrò per la giacca. Aprirono la porta e trascinarono la guardia dentro; poi Bothari uscì e prese il suo posto in corridoio. Drou richiuse subito la porta.
Lo sguardo di Cordelia saettò freneticamente qua e là in cerca di telecamere o sensori del sistema d’allarme. Il locale doveva esser stato la camera da letto di una delle guardie del corpo di Ezar, o forse un grosso guardaroba, perché non c’era neppure una finestra che desse sul cortile interno. Il simulatore uterino era sopra un tavolo coperto da un panno verde, esattamente al centro della stanza. Le sue luci spia brillavano ancora di un verde rassicurante; nessun maligno occhio rosso sul pannello dei controlli. Un ansito di sollievo quasi agonizzante sfuggì dalla gola di Cordelia a quella vista.
Droushnakovi si guardava attorno con aria scontenta, scuotendo la testa.
— Che c’è? — chiese sottovoce Cordelia.
— Troppo facile — borbottò la ragazza.
— Ancora non ne siamo fuori. Aspetta una mezzora per dire «facile». — Deglutì saliva, innervosita dalla stessa sensazione. Ma che importava? Arraffa e scappa. A quel punto la chiave era la velocità, non la segretezza.
Depose il vassoio sul tavolò, allungò una mano verso la maniglia del simulatore, e si fermò. C’era qualcosa di sbagliato, qualcosa di strano… si chinò a leggere i display digitali del pannello. Il monitoraggio dell’ossigeno non era neppure in funzione. E anche se la spia del fluido nutriente era verde, il livello del contenitore diceva 00.00. Vuoto.