Ma il corpo è esigente e non può essere ingannato. Presto i nostri movimenti divennero frenetici, e poi una sensazione di bagnato fra di noi mi rivelò con assoluta certezza che non avremmo mai potuto tornare indietro.
Tornando a casa, vidi intorno a me tutti i segni del cambiamento.
Cominci a crescere, le gambe e le braccia si allungano nella tua tuta a pressione finché non devi per forza comperarne una nuova. La gente smette di pensare a te come ad un bambino grazioso e comincia a considerarti un giovanotto simpatico. Sempre con quel sorriso, come se fosse uno scherzo che tu non devi capire.
La gente ti tratta in modo diverso, quando cresci. Da principio non hai praticamente nessun contatto con gli adulti, tranne che con tua madre o le madri dei tuoi amici. Vivi in un mondo di bambini, e gli adulti non rappresentano neppure un ostacolo perché si levano subito dalla tua strada quando corri lungo i corridoi. Puoi entrare gratis in un sacco di posti; la gente ti vuole intorno per rimanere allegra, perché i bambini sono così pochi e tutti vorrebbero averne più di uno. E neppure ti accorgi che la gente continua a sorriderti.
Ma quando hai tredici anni non è più così. Ora c’era quell’esitazione, appena una frazione di secondo, prima che mi accordassero i privilegi di un bambino. Non che io biasimi nessuno. Ero alto quasi quanto la maggior parte degli adulti che mi capitava di incontrare.
Ma adesso avevo cominciato ad accorgermi degli adulti, a notarli. Soprattutto quando non sapevano di essere osservati. Vidi che molti di loro erano spesso corrucciati. Talvolta, vedevo qualche segno di dolore sui loro volti. Ma poi mi guardavano e sorridevano. Sapevo che non sarebbe continuato per sempre. Prima o poi avrei valicato una linea invisibile e allora il dolore sarebbe rimasto su quei visi, e io avrei dovuto cercare di capirlo. Sarei diventato adulto e non ero sicuro di volerlo essere.
Fu a causa di questa mia nuova preoccupazione per i volti che mi capitò di notare la donna seduta dirimpetto a me sul treno per Archimede. Volevo diventare scrittore, così tendevo a vedere tutto in termini di storie e personaggi. La osservai e cercai di inventare una storia su di lei.
Era attraente; apparentemente sui venticinque anni, capelli neri lisci e pelle abbronzata, un viso rotondo senza un’elaborata chirurgia o tratti salienti, tranne i profondi occhi castani.
Indossava un abito semplice sopra il ginocchio, di un sottile tessuto bianco sul quale sembravano scorrere mille rivoli d’acqua ogni volta che lei li muoveva. Aveva un gomito appoggiato sullo schienale del sedile e si mordeva una nocca con espressione assente mentre guardava fuori dal finestrino.
Sembrava che non ci fosse una storia sul suo viso. Era in un momento di abbandono, ma non vidi dolore, grosse preoccupazioni o paure. È possibile che non me ne sia accorto. Ero nuovo del gioco, e non ne sapevo molto di quello che era importante per gli adulti.
Poi si voltò a guardarmi, e non sorrise.
Voglio dire, lei sorrise, ma quel sorriso non diceva: com’è grazioso. Era il tipo di sorriso che mi fece desiderare di aver indossato dei vestiti. Da quando avevo imparato cos’era un’erezione, non desideravo più averle nei luoghi pubblici.
Accavallai le gambe. Lei si alzò e venne a sedersi accanto a me. Sollevò il palmo e io lo sfiorai. Mi guardava tenendo una gamba ripiegata sotto di sé e un braccio lungo lo schienale dietro di me.
— Sono Trilby — disse.
— Salve. Io sono Argus — mi accorsi che il tono della mia voce si era abbassato.
— Ero seduta là ad osservarti mentre mi guardavi.
— Davvero?
— Certo, attraverso il vetro — spiegò lei.
— Oh. — Mi voltai, ed effettivamente da dove era seduta prima poteva sembrare che guardasse il paesaggio mentre in realtà stava studiando il mio riflesso. — Non volevo essere scortese.
Lei rise e mi appoggiò una mano sulla spalla, muovendola delicatamente. — E io allora? — disse. — Io lo facevo di nascosto, tu no. In ogni caso, non ti agitare. Non importa. — Cambiai posizione e lei abbassò lo sguardo. — E non preoccuparti nemmeno per quello. Capita.
Mi sentivo ancora nervoso, ma lei riuscì a mettermi a mio agio. Parlammo per il resto del viaggio e non mi ricordo assolutamente di che cosa. Gli argomenti non dovettero spaziare molto, perché sono sicuro che non fece mai riferimento alla mia età, alla mia educazione o alla sua professione, o anche solo alla ragione che l’aveva spinta ad iniziare una conversazione in treno con un ragazzo di tredici anni.
Ma niente aveva importanza. Mi sarebbe piaciuto parlare di qualsiasi cosa. Se riflettevo sulle sue intenzioni, davo per scontato che fosse sui vent’anni e quindi ancora vicina alla sua infanzia.
— Hai fretta? — chiese ad un certo punto, scuotendo leggermente il capo.
— Io? No, sto andando a trovare… — (no, non tua madre), — un’amica. Può aspettare. Sa quando arrivo. — Così suonava meglio.
— Posso offrirti da bere? — Un sopracciglio leggermente sollevato, un semplice movimento della mano. I suoi gesti erano contenuti, ma sembravano esprimere molto di più delle parole. Mentalmente, aumentai di qualche anno la sua età. Anzi, di parecchi.
In quel momento il treno arrivò ad Archimede; ci alzammo e accettai senza esitazione.
— Bene. Conosco un posto carino.
Il barista mi rivolse il tipico sorriso e stava per servirmi il solito bicchiere gratis, il primo dei due che mi spettavano, ma Trilby cambiò il programma.
— Due whisky irlandesi, per favore. Con ghiaccio. — Lo disse con decisione, alzando un poco il tono della sua voce, e tra lei e il barista accadde qualcosa di indecifrabile. Lei gli rivolse uno sguardo, le sopracciglia dell’uomo si sollevarono improvvisamente, mi lanciò un’occhiata e sembrò capire qualche cosa. Il suo atteggiamento verso di me cambiò completamente.
Ebbi la sensazione che fosse successo qualcosa a mia insaputa, ma non avevo tempo di preoccuparmi. Non avevo mai tempo di preoccuparmi quando ero con Trilby. Arrivarono i whisky e noi li sorseggiammo.
— Mi domando perché continuino a chiamarlo irlandese — disse lei.
Ci lanciammo in una discussione sugli Invasori, o sull’Irlanda o sulla Terra Occupata. Non ne sono sicuro. Era poco importante: la conversazione vera si svolgeva tra i nostri occhi. Era soprattutto lei a comunicarmi sensazioni senza bisogno di parole e io mi limitavo ad annuire con la lingua penzoloni.
Finimmo ai bagni pubblici in fondo al corridoio. I suoi capezzoli avevano la forma di piccoli cuori rosa. A parte quello, il suo corpo non aveva niente di notevole, anche se era meravigliosamente sodo e morbido. Era così diversa da Trigger, Denver e Cathay. Così diversa da me. Osservai le differenze mentre ero seduto dietro di lei nella grande piscina e le massaggiavo la schiena insaponata.
Mentre ci dirigevamo al solarium, lei si fermò davanti ad una delle alcove private e mi guardò, rimanendo in attesa. Le mie gambe mi condussero nell’alcova e lei mi seguì. Le mie mani si strinsero attorno al suo corpo e la mia bocca si aprì quando lei mi baciò. Mi adagiò sul pavimento morbido e mi prese.
Che cosa lo rendeva diverso?
Ci pensai durante la lunga camminata dal capolinea della monorotaia a casa. Trilby e io avevamo fatto l’amore per circa un’ora. Nulla di particolarmente elaborato, niente che non avessi già provato con Trigger e Denver. Avevo pensato che lei avesse qualche nuovo fantastico giochetto da mostrarmi, ma non era stato così.
Eppure lei non era stata come Trigger o Denver. Il suo corpo rispondeva in maniera diversa, aveva movenze a cui non ero abituato. Io feci dei mio meglio. Quando la lasciai, sapevo che era felice, ma sentivo che si era aspettata qualcosa di più.