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Camminai lungo Canal per alcuni isolati, guardando le vetrine. C’era un vecchio cinema per film a schermo piatto, con un cartellone che annunciava Da qui all’eternità, vincitore di qualcosa chiamato Oscar. Vidi che era un luogo reale e pensai di entrarci, ma ho sempre paura che questi vecchi film in 2-D mi lascino depresso, anche se Trigger dice che sono molto belli.

Così continuai a camminare per le strade, osservando, pensando di scrivere una storia ambientata nella vecchia New Orleans.

Per questa ragione non ho voluto restare con gli altri ad ascoltare la musica. La musica non è qualcosa che si possa davvero inserire in una storia, a parte una nuda descrizione di come suona, chi la suona e dove viene ascoltata. E anche andare al film 2-D non sarebbe stato di grande utilità, per la stessa ragione.

Ma le strade, le strade! Lì c’era qualcosa da studiare!

Lo schema era lo stesso della Vecchia Londra, ma i dettagli erano cambiati. Le strade erano piene di carrozze senza cavalli, grandi scatole quadrate di metallo che dovevano essere il più inefficiente mezzo di trasporto mai ideato. Niente era perfettamente diritto o molto pulito; camminare per le strade significava rischiare di rompersi un dito o di pungersi la pianta dei piedi. Non c’è da meravigliarsi che portassero scarpe pesanti.

Sapevo a che cosa servivano le luci rosse e verdi, e le strisce dipinte sulla strada. Ma le file di aggeggi misura-tempo allineati lungo ciascun lato della strada? Che cos’era quell’oggetto di metallo rosso su cui un cane stava orinando? Che cosa significava il suono del clacson? Perché c’erano dei fili sospesi in alto su pali di legno? Ignorai la festa del Martedì Grasso e trascorsi piacevolmente più di un’ora cercando risposte a queste e a molte altre domande.

Che impresa scrivere di questo periodo, costruire una storia su di un frammento di vita, nel quale questi dettagli esotici sembravano normali e ragionevoli. Mi raffigurai un abitante di New Orleans trapiantato ad Archimede e cercai di immaginarmi la sua confusione.

Poi vidi Trilby e mi dimenticai di New Orleans.

Era seduta al volante di una Ford familiare del 1955. Lo so perché quando mi fece cenno di raggiungerla e cambiò sedile per lasciarmi guidare, vidi una placca dorata sulla fiancata proprio sotto il finestrino anteriore.

— Come si guida questa cosa? — chiesi confuso, ma cercando di non mostrarlo. C’era qualcosa che non andava. Forse lo avevo sempre saputo, ma lo ammettevo solo ora.

— Per partire devi premere quel pedale, e quell’altro invece per fermarti. Ma si controlla in gran parte da sola. — La macchina le diede ragione scivolando nella corrente di traffico olografico. Strinsi le mani sul volante e scoprii che entro certi limiti potevo guidare io la vettura. Finché non andavo a sbattere contro qualcosa, lasciava che fossi io a comandare.

— Che cosa fai qui? — le chiesi, cercando di assumere un tono noncurante.

— Sono passata da casa tua — disse lei. — Tua madre mi ha detto che eri qui.

— Non mi ricordo di averti detto dove abito.

Lei alzò le spalle, senza un grande entusiasmo. — Non è difficile scoprirlo.

— Io… voglio dire, tu non… — non ero sicuro di quello che volevo dire, ma decisi che era meglio continuare. — Non ci siamo incontrati per caso, vero?

— No.

— E tu sei la mia nuova insegnante.

Lei sospirò: — Questa è una semplificazione eccessiva. Io voglio essere una delle tue nuove insegnanti. Cathay mi ha raccomandato a tua madre, e quando le ho parlato mi è sembrata interessata. Volevo solo darti un’occhiata sul treno, ma quando ho visto che mi guardavi… be’, ho pensato di darti qualcosa che ti facesse ricordare di me.

— Grazie.

Lei distolse lo sguardo. — Darcy mi ha detto oggi che potrebbe essere stato un errore.

— È bello sapere che anche tu puoi fare errori.

— Credo di non capire.

— Non mi piace essere prevedibile. Non mi piace che si giochi con me. Forse urta la mia dignità. Forse ne ho abbastanza di quello che fanno Trigger e Cathay. Tutte le lezioni.

— Capisco, adesso — sospirò lei. — È una reazione abbastanza comune, nei ragazzi svegli, loro…

— Non dirlo.

— Mi dispiace, ma devo. Non ha senso nasconderti che il mio lavoro è conoscere la gente, e soprattutto i bambini. Questo significa conoscere le fasi che essi attraversano, compresa la fase in cui a loro piace immaginare di non attraversare alcuna fase. Non avevo riconosciuto i sintomi in te, per cui ho commesso un errore.

— Che importanza ha, comunque? A Darcy piaci. Questo significa che diventerai la mia insegnante, vero?

— No, non significa questo. Non con me, almeno. Io rappresento una delle prime grandi opportunità che hai di farcela senza interferenze degli adulti.

— Non ci arrivo.

— Questo perché non ti ha mai interessato abbastanza scoprire che cosa ti può riservare la tua istruzione. Col rischio di offenderti ancora, direi che è una reazione comune nella gente della tua età. Ti manca un mese per diplomarti con Cathay, pronto per iniziare una nuova fase educativa più orientata verso uno scopo, e non ti sei mai preoccupato di scoprire che cosa implica questo. Ti sei mai fermato a pensare a che cosa c’è tra te e il fatto di diventare uno scrittore?

— Io sono già uno scrittore — dissi, arrabbiandomi per la prima volta. Prima di allora mi ero sentito più ferito che altro. — So usare le parole, e osservo la gente. Forse non avrò ancora molta esperienza, ma riuscirò a farmela, con o senza di te. Non ho nemmeno più bisogno di avere degli insegnanti. Almeno questo lo so.

— Hai ragione, naturalmente. Ma tu hai sempre saputo che tua madre intendeva pagare per offrirti un’istruzione più avanzata. Non ti sei mai domandato come sarebbe stata?

— Perché avrei dovuto? Non ti viene in mente che non me ne sono interessato semplicemente perché non mi sembra così importante? Voglio dire, chi ha mai domandato la mia opinione su tutto questo, fino ad ora? Qual è la posta in gioco? Sembra che tutti sappiano quello che è meglio per me. Perché avrei dovuto essere consultato?

— Perché ormai sei quasi un adulto. Il mio compito, se tu mi assumerai, sarà di facilitare la transizione. Quando l’avrai compiuta, lo saprai, e non avrai più bisogno di me. Questa non è la fase primaria. Il compito del tuo primo insegnante era di coadiuvare tua madre nell’insegnamento dei principi base per trattare con altri individui e con la società, e di riempirti la testa con tutte le nozioni che un bambino di sette anni può assorbire. Ti hanno insegnato il linguaggio, l’abilità manuale, il ragionamento, l’igiene, la responsabilità, e a non entrare in un portello senza la tuta pressurizzata. Hanno preso un marmocchio egocentrico e l’hanno trasformato in un essere morale. È un lavoro duro; un attimo, e avresti potuto diventre un sociopatico.

«Poi ti hanno consegnato a Cathay. Ma non te ne sei accorto. Un giorno lui è spuntato, solo un altro compagno di giochi della tua età. Eri felice e fiducioso. Lui ti ha guidato gentilmente, lasciando che fosse la tua curiosità naturale a fare la maggior parte del lavoro. Ha scoperto le tue capacità creative prima che tu stesso te ne accorgessi, preoccupandosi che tu avessi delle cose interessanti a cui pensare, a cui reagire, da sperimentare.

«Ma negli ultimi tempi sei diventato un problema per lui. Non è colpa tua e nemmeno sua, ma tu non vuoi più nessuno che ti guidi. Vuoi farlo da solo. Hai la vaga sensazione di essere manipolato.

— Non è poi così sorprendente — mi intromisi io. — Io sono manipolato.

— È vero, per quel che ne sai. Ma che cosa vorresti che facesse Cathay? Che lasciasse tutto al caso?