Maddox rimase in silenzio, il viso assolutamente inespressivo.
«Chichester», suggerì Diamond.
«Oh…» Maddox aggirò la scrivania e andò a stringergli la mano. «Certamente, certamente. Ricordo la faccia. Così…» Esitò per un istante, poi, appoggiandosi al tavolo e incrociando le braccia, aggiunse: «Così sei tu il fortunato detective che si unirà a noi. Benvenuto a Shrivermoor».
«Grazie, signore.» La sua voce era un po' troppo alta per quell'angusto ufficio, come se Diamond fosse abituato a farsi ascoltare. «Qui è tutto diverso dalla tranquilla Eltham.»
«Vi metteremo subito sotto: tu e i tuoi uomini partirete domani. Coprirete un diametro di cinque chilometri, d'accordo?»
«Dobbiamo esserlo per forza, non le pare? Il capo ci vuole impegnati in attività di routine, ci vuole di nuovo nel mondo reale.»
«Sì, non possiamo… farci molto, Diamond», disse Maddox con cautela. «Sono certo che tu lo capisci.»
«Be', ovvio che capisco», replicò lui. «E da parte nostra non ci sono assolutamente problemi. Assolutamente. Se per il capo va bene, va bene anche per me, non c'è bisogno di dirlo.» Diamond annuì, poi, come per chiudere la questione, sorrise e indicò le foto appese alle pareti. «Bella barca. È sua?» chiese.
«Sì, sì.» Maddox era esitante.
«È una Valiant.»
«Sì, che lo è, indubbiamente lo è.»
«Buone barche, le Valiant. Alcuni le trovano un po' tozze, ma a me piacciono. Sono anche ideali per crociera.»
«Sì, be'…» Maddox si stava rilassando. «Detesto doverlo ammettere, ma gli americani fanno ottime barche da crociera. Devono sempre fare i grandi, ovviamente.»
«Un cutter ha vinto la regata Met's Frostbite quest'anno», affermò Diamond, poi domandò: «Non è per caso…?»
«Sì.» Maddox annuì con aria modesta. «Sì, già.»
In piedi, appoggiato alla parete con le braccia strettamente incrociate, Jack si stupì di provare irritazione per quel dialogo. Come se il beneficio del sostegno e dell'affabilità di Maddox fosse un suo diritto esclusivo, non qualcosa che potesse mutare, a seconda dell'umore, a vantaggio di un altro detective. Per quanto fosse un pensiero irrazionale – non è tuo padre, Jack, non hai nessun diritto su di lui -, Jack s'infuriò, vedendo Maddox vulnerabile all'adulazione e, quando il detective Diamond sorrise, deliziato, esclamando: «Santo cielo! Aspetta solo che i miei colleghi lo sappiano…», si voltò e uscì in silenzio dalla stanza.
7
Quella sera, Jack si sedette alla scrivania, nella stanza di Ewan, a fissare le nuvole di Windows 98 sul monitor. I rami superiori del vecchio faggio in fondo al giardino gettavano ombre mutevoli, color rame, sul soffitto. Non ayeva bisogno di voltarsi per sapere che le nuove foglie coprivano quasi interamente i chiodi pieni di ruggine, conficcati in profondità nell'albero, e le poche assi ricoperte di muschio: i resti della casetta in cui lui ed Ewan si rintanavano da piccoli, a gridare ai treni che passavano nella trincea della ferrovia.
Talvolta, nella sua solitudine, Jack si sforzava di ricordare com'era una volta, com'era lui una volta. In passato. Vedeva l'immagine di un bambino più leggero di una piuma: nulla gli avrebbe impedito di librarsi nel cielo azzurro, sopra i tetti.
E poi, quel giorno famoso. Ricostruito come una sequenza di scene mosse, sfocate, montate con scarsa cura, come se avesse imbrogliato e le avesse ricavate non da ricordi veri, ma da una 8mm nascosta in fondo alla soffitta dei genitori.
Era metà settembre, la giornata era soleggiata e ventosa, e le assi asciutte della casetta scricchiolavano insieme con l'albero, ancora flessuoso e verde per la linfa estiva, capace di piegarsi al vento. Jack ed Ewan avevano litigato per via di quattro tavole trovate in un cassonetto di rifiuti: Ewan desiderava costruire una vedetta tra i rami posti più a sud, per osservare i treni arrivare, oscillando, dalla stazione di Brockley. Jack la voleva invece a nord, in modo da poter scrutare i ponti fumosi di New Cross, lungo la linea, e le facce dei pendolari che tornavano a casa col loro London Evening News.
Jack – un bambino suscettibile e permaloso di otto anni – scagliò violentemente il fratello maggiore contro il tronco dell'albero. La risposta di questi fu aggressiva e inattesa. Recuperato l'equilibrio, protese le braccia robuste e, gridando: «Lo dirò… lo dirò…», passò al contrattacco. Mentre la saliva gli schizzava dalla bocca, concluse: «Lo dirò a papà!»
Jack perse l'equilibrio e, mulinando, finì sull'orlo della piattaforma di legno, metà dentro, metà fuori della casetta, i pantaloni strappati da un chiodo, le gambe penzoloni, il pollice della mano sinistra schiacciato tra due assi. Il dolore lo mandò su tutte le furie. «E allora diglielo, bastardo! Forza, diglielo!»
«Certo che lo farò», replicò Ewan, in preda al risentimento e al senso di colpa. Aggrottando le sopracciglia e protrudendo il labbro inferiore, esclamò: «Ti odio, pidocchio. Maledetto, maledetto, fottuto pidocchio».
Poi si voltò e scese lungo la scaletta di corda, il volto contratto per la rabbia, e balzò sul bordo della trincea della ferrovia. Imprecando, Jack liberò il pollice, rientrò nella casetta e lì rimase, respirando lentamente, la mano pulsante tra le ginocchia nude, infuriato.
Sotto la casa, là dove la sponda della trincea si appiattiva, lasciando il posto a un'ampia striscia di cespugli, i due fratelli avevano creato, per i loro giochi, una rete di sentieri, tutti attentamente esplorati, mappati e denominati: era una vera e propria ragnatela che si estendeva tra i convolvoli. Jack osservava dalla casa sull'albero mentre Ewan imboccava il sentiero diretto a sud, quello soprannominato «pista della morte» perché costeggiava un arrugginito riscaldatore a immersione («La vedi, Jack? È una bomba inesplosa. Una V2, probabilmente»). I capelli neri spuntarono un paio di volte dai cespugli, insieme con un pezzo di camicia color senape. Ewan raggiunse la radura che avevano chiamato «campo 1», oltre la quale si trovavano la zona demilitarizzata, la letale V2 e la «terra dei musi gialli».
Jack perse interesse per la faccenda. Ewan metteva troppo spesso il broncio, e lui ne era stufo. Infuriato e dolorante, scese dall'albero ed entrò in casa, a lamentarsi della mezzaluna gialla e nera che spiccava sotto l'unghia del suo pollice.
Dopo, era stata la casa sull'albero a ferire più di qualsiasi altra cosa la madre. Jack la rivedeva, mentre un pensiero o un ricordo la bloccava a metà, durante la pulizia del forno o il lavaggio dei piatti, inducendola a uscire risolutamente in giardino, dove rimaneva in piedi, a fissare l'albero, con la schiuma che, dai guanti rosa di gomma, gocciolava sul terreno.
E poi lo scoppio d'ira, disperato, quasi isterico, rivolto al marito: «Spiegami quella casa sull'albero, Frank; se è ancora lì, perché non c'è anche lui? Spiegamelo, Frank. Dimmelo!»
Il padre di Jack si tappava le orecchie e sprofondava nella poltrona, mentre le pagine sportive s'incurvavano sulle sue ginocchia. Era incapace di tollerare l'angoscia della moglie, finché un giorno non afferrò un martello e uscì nel fango e nella pioggia con le pantofole a quadri ai piedi.
Jack era sgattaiolato in camera e, tremante, si era messo in piedi sul letto, in modo da poter raggiungere la finestra e vedere il legno che si spaccava, le assi che cadevano al suolo, gli schizzi di fango sulle calze della madre che singhiozzava sul prato devastato.
Poi, tra i rami degli alberi, dall'altra parte della trincea della ferrovia, vide qualcun altro.
Ivan Penderecki. Pallido, le braccia robuste appoggiate al recinto marcescente sul retro. Vide la pioggia grigia e il vago sorriso sul suo volto.
Penderecki rimase lì per circa venti minuti, la casa alle sue spalle ormai ridotta a una silhouette contro lo sfondo di nubi scure. Poi, come se fosse più che soddisfatto, si girò e si allontanò in silenzio.