L'appese a una lavagna magnetica bianca accanto a quelle di Petra Spacek, Shellene Craw e Michelle Wilcox.
«Il pub è il punto di partenza.» Appoggiò i gomiti sul tavolo e guardò le squadre investigative riunite. «Lo stiamo sorvegliando da stamattina, ma il capo ha detto chiaramente che vuole identificare le vittime prima che vi facciamo irruzione. Perciò oggi lavoreremo a questo.» Indicando con un cenno della testa la nuova fotografia, proseguì: «Ora… Kayleigh Hatch. Per lo meno abbiamo un nome. Credo sia la vittima numero quattro. L'unica che, se ricordate il verbale dell'autopsia, non aveva ferite alla testa. Per il resto, concorda col modello: uso di droga, prostituzione. E, come le altre, non è stata violentata. Se ha avuto rapporti, lo ha fatto consensualmente e usando un preservativo». Tacque per un istante, lasciando che gli altri assimilassero le informazioni. «La madre ne ha segnalato la scomparsa due settimane fa. Si trova a Brentford, quindi, Essex, potresti occupartene tu, stamattina. Va però notato che l'unica altra ragazza di cui è stata denunciata la scomparsa è la Wilcox. Tutte le altre erano sospettosamente inclini a scomparire, giusto? Rifletteteci quando sarete sul posto. Logan», disse poi, rivolgendosi all'agente addetto ai reperti, «che mi dici del DNA?»
«È quasi inutile se non per il gruppo sanguigno, signore. È troppo alterato anche per la polimerasi.»
«Il gruppo sanguigno?»
«AB negativo. Non è quello di Harrison.»
«I risultati tossicologici?»
«Nulla per il momento.»
«Perciò non sappiamo ancora come le abbia sedate.»
«Non abbiamo ipotesi.»
«D'accordo.» Si tolse gli occhiali e si sfregò gli occhi. Era stanco. La notte prima, Veronica si era addormentata subito al suo fianco mentre lui, agitato, gli occhi spalancati, era rimasto steso al buio a fissarle la schiena, come se vedesse lo spettro del cancro strisciarle tra i muscoli rilassati e le vene. «Bene, Logan, facci sapere quando hai qualcosa.» Posò la penna e fece un cenno col capo a Maddox. «Sì, è tutto.»
«Va bene.» Maddox si protese sulla sedia. «Be'… So di pisciare controvento, ma ve lo chiederò con gentilezza, con molta gentilezza, per essere certo che nessuno della squadra affibbierà nomignoli al caso. Lo chiameremo 'bersaglio' o 'assassino', non 'Birdman' o altre cazzate del genere, come quelle che ho sentito circolare. E non voglio mai arrivare qui e trovare le veneziane sollevate: non m'interessa quanto caldo faccia. La stampa resterà buona per un po', ma chissà fino a quando. Perciò, ve lo ripeto ancora una volta, perché non è mai abbastanza: siate cauti.» Coi profondi occhi grigi scrutò i volti che lo circondavano, cercando di scovare eventuali anelli deboli. Ma tutti sostennero il suo sguardo e lui annuì, soddisfatto. «Bene. Ora basta con le puttanate.» S'infilò la stilografica nel taschino e concluse: «Per oggi è tutto, signori. Eseguite gli ordini e chiamate ogni due ore. Ci rivedremo qui alle sette. State attenti là fuori, e tutte le solite stronzate». Si era alzato dalla sedia e stava raccogliendo le sue carte quando qualcuno, dal fondo della stanza, intervenne.
«Sì, mi scusi, signore, ma c'è qualcos'altro.»
Si girarono tutti. Il detective Diamond, la barba ben rasata e un vestito grigio scuro di Pierre Cardin, era rimasto seduto, tamburellando le dita sul ginocchio. Tutti, nella stanza, si protesero lievemente verso di lui.
«Detective Diamond…» Maddox si risedette.
«Il risultato di un'indagine sul posto. Una segnalazione.»
La stanza si fece molto silenziosa. Jack riaprì il file e mise nuovamente gli occhiali. Diamond avrebbe dovuto riferirlo all'inizio della riunione.
«Una segnalazione?» esclamò Maddox, accigliato, e chiese: «Perché non lo hai…»
«È un caso delicato, signore.»
«Cioè?»
«Si tratta di un possibile indiziato, signore. Se ne sta seduto per ore a far nulla in una macchina rossa parcheggiata al di fuori dell'area, con soltanto le luci d'ingombro accese.»
«D'accordo», borbottò Maddox, scorrendo il file e togliendo il cappuccio alla stilografica. «Avete controllato? L'avete identificato?»
«No. Forse si tratta di uno spacciatore. Un nero, sa, pensavo fosse un caso delicato. E poi c'è questo», aggiunse, chinandosi e prendendo un sacchetto da sotto la sedia. Era una busta per reperti, etichettata e dotata di due contrassegni. La sollevò: alcuni tappi di bottiglie, sporchi di terra, cozzarono gli uni contro gli altri.
«Non ti seguo», esclamò Maddox.
«Rum Wray & Nephew.» Il volto di Diamond era pallido, controllato, come se i suoi muscoli fossero pronti ad abbozzare un sogghigno. «Sono stati trovati nel raggio di un metro e mezzo dal primo corpo. E ne sono stati rinvenuti molti di più accanto agli altri.» Maddox aveva l'aria perplessa. «Wray & Nephew, signore. È giamaicano, sicuramente giamaicano.»
Caffery e la Kryotos si scambiarono un'occhiata.
Maddox posò la penna. «Questo non è fondamentale né utile, signor Diamond», osservò, col volto contratto. «E deve avere il mio permesso per prelevare qualsiasi oggetto dall'ufficio reperti.»
«È una pista.»
«Cazzo, che pista…» borbottò Jack.
Diamond lo fissò, lo sguardo improvvisamente freddo. «Hai forse un'idea migliore?»
«Molte…»
«Bene», li interruppe Maddox, tamburellando con impazienza la penna sul tavolo. «Imposteremo tutti gli interrogatori in questa prospettiva. Se salta fuori un nome, scoprite abilmente di che razza sia l'interessato. E sottolineo abilmente.» Rimise il cappuccio alla penna. «Richiederemo una maggiore sorveglianza dell'area. Anche se questo non è il bersaglio, dobbiamo comunque parlargli. E, Diamond…»
«Sì?»
«Lascia stare le stronzate razziste», ordinò, alzandosi. «D'accordo?»
10
Jack uscì dalla riunione senza parlare con Maddox. Non gli piaceva il cambiamento che percepiva nell'aria. Non riteneva che il killer fosse nero: proprio in base ai reperti di Krishnamurthi, era convinto che avrebbero trovato tracce di Birdman nella zona compresa tra il pub di Trafalgar Road e l'ospedale locale. Non si trattava di un medico e, probabilmente, nemmeno di un ausiliario anziano, ma di qualcuno vicino alla classe medica, forse ai suoi ranghi più elevati e professionali. Di un tecnico o di un amministratore. O magari di un infermiere.
Parcheggiò davanti al rigattiere e stava quasi per infilare le monete nel parchimetro quando sentì sbattere una porta e vide Rebecca avvicinarsi frettolosamente all'auto. Indossava un abito corto rosa chiaro di cotone, tipo sottoveste; i lunghi capelli castani le scendevano diritti fino alla vita. La ragazza salì sul sedile posteriore, e la vecchia e ammaccata Jaguar fu improvvisamente pervasa dal suo profumo.
Jack si girò. «Si sente di farlo?»
«Perché non dovrei?»
«Non lo so», rispose lui schiettamente e ingranò la marcia.
Percorsero in silenzio i due isolati fino all'obitorio. Jack la osservava nello specchietto. Lei guardava fuori del finestrino, le spalle rilassate, una mano in grembo, le lunghe gambe lisce distese con disinvoltura mentre le ombre dei lampioni e delle case le scorrevano sul volto. La cooperazione di Rebecca era una circostanza strana ed effimera, e lui non era certo di riuscire a mantenerla.
«Le spiace se le faccio una domanda personale?» chiese mentre si avvicinavano all'ingresso.
«Su quello che fa Joni? Su quello che ho fatto io?» domandò Rebecca senza voltarsi. Teneva il capo eretto in un bizzarro e solenne atteggiamento da First Lady. «Vuol sapere come mai ho fatto una cosa del genere?»
«No», rispose Jack, tastandosi le tasche alla ricerca del tabacco. «Volevo chiederle perché vive con lei.»
«Non dovrei?»