«Nega tutto. Recita.»
«Che hai detto?»
«Niente», borbottò Gemini, accasciandosi sulla sedia.
«Allora… Questo è solo un controllo di routine.» Diamond gettò all'indietro i lembi della giacca, si sedette a cavalcioni sullo sgabello, di fronte a lui, l'addome sporgente, i gomiti sul tavolo rotondo. Gemini si appoggiò mollemente allo schienale, una mano infilata nei jeans Calvin Klein, la testa china di lato, la bocca piegata in una smorfia ostile.
«Sta' calmo, nega tutto, lascia che lo provino. Recita», mormorò ancora, il che mandò il poliziotto su tutte le furie.
«Insomma che cosa borbotti?»
«Non t'innervosire, amico.» Gemini rimase impassibile di fronte a quel tono aspro e aprì la mano appoggiata alla sedia. «E tu chi sei?»
Il poliziotto deglutì rumorosamente e arretrò, tamburellando la penna a sfera sul tavolo. «Sono il detective Diamond», rispose, mettendo una particolare enfasi sulla parola «detective». «Sei un cliente abituale?»
«Cioè, amico?»
«Conosci le ragazze che lavorano qui?»
«No.» Gemini fece schioccare la lingua sui denti per confermare la risposta. «Non le conosco.»
«Non ne hai mai incontrato nessuna? Mi sembra incredibile.» Il poliziotto sostenne lo sguardo di Gemini coi suoi occhi slavati, arroganti, e gli avvicinò una fotografia sul tavolo. «Questa ti aiuta?»
Le riconobbe subito. Soprattutto la bionda, Shellene. Le vendeva roba da mesi, la scarrozzava da mesi. Un paio di settimane prima glielo aveva succhiato sul sedile posteriore della sua GTI in cambio di un po' di crack. Si chiese che cosa avessero detto agli sbirri della sua operazione.
«Non le ho mai viste. Forse questa… È una ballerina, no? Ma non so altro.»
«Sai che balla qui?»
«L'ho vista.»
«Quando l'hai vista per l'ultima volta?»
Gemini si strinse nelle spalle. «Un casino di tempo fa.»
«Hai visto qualcuno uscire con queste ragazze?»
Gemini scoppiò in una risata di scherno. «Ma che razza di domande mi fai, amico? E poi dicono che la polizia inglese è in gamba!»
«Hai intenzione di rispondermi?»
«So come ce l'hai.»
Il poliziotto s'impietrì e si fissò le mani. Gemini percepì la rabbia crescere sotto la pelle liscia e bianca di Diamond. Quando sollevò lo sguardo, le pupille del detective erano ridotte a due capocchie di spillo. «Come ti chiami?»
«Per te sono il signor Nessuno.»
«Ah, sì, naturalmente. Il signor Nessuno», ripeté sollevando le mani e lasciando due impronte di sudore sul tavolo. «Bene, signor Nessuno, signor 'Ti fotto', non ho capito l'ultima frase. Si trattava forse» – si protese, i denti scoperti, la voce bassa – «di una diffamazione dei rappresentanti della legge di questo Paese, il Paese che ti ha generosamente sostenuto e che sosterrà qualsiasi negretto che genererai, che ti dà una casa, che ti nutre e che interviene quando scippi a qualche povera vecchietta la pensione? Di questo si trattava?»
«Tu sei un razzista, amico», commentò Gemini, sorridendo pigramente. «Posso sembrarti uno stupido negro, ma conosco i miei diritti. So che cos'è la Police Complaints Authority, ho letto il rapporto Macpherson.»
Il poliziotto non batté ciglio. «Se avessi davvero letto il rapporto Macpherson, allora sapresti che non puoi provare nulla. Nessuno può sentire quello che sto dicendo. Ma io sì, sporco negro bastardo.» Sorrise: se la stava godendo. «Posso far ricadere tutto su di te. E la sai una cosa? Alla fine della giornata sarà la mia parola contro la tua. Con tutti quei negri che faranno casino e tutte le grida di 'razzista' pensi che qualcuno ti starà ad ascoltare, stronzetto?»
Il sangue freddo di Gemini svanì. «Non sono obbligato ad ascoltare tutto questo», esclamò, alzandosi. «Tu vuoi che ti aiuti, e allora vieni a prendermi.»
Il poliziotto balzò in piedi in un lampo, bloccando la porta. «Dove cazzo pensi di andare?» chiese con tono affabile. Le parole che gli uscivano di bocca suonavano dolci come miele. «Sporco negro di merda.»
Gemini reagì. Prese una pinta di birra dal tavolo più vicino e la gettò in faccia al poliziotto, che non fu tanto rapido da chiudere gli occhi: si girò su se stesso, colpito in pieno, portandosi le mani alla faccia. «Pezzo di merda!»
Gemini guadagnò la porta prima che qualcuno potesse intervenire.
A Jack, che si trovava accanto alla scala, l'intera scena sembrò svolgersi con la lentezza surreale di un film muto. I due uomini stavano sorridendo, parlando quasi con noncuranza, e un attimo dopo Diamond era piegato in due, le mani sulla faccia, quasi pietrificato. Jack si aspettava di veder scorrere del sangue, ma invece Diamond si pulì rapidamente gli occhi e si gettò fuori della porta, la giacca svolazzante. Dimenticando gli interrogatori, due uomini della squadra F balzarono in piedi per sbarrare la soglia, e lasciarono che la pioggia li inzuppasse mentre seguivano con lo sguardo il loro capo.
Non dovettero aspettare a lungo. Mel Diamond riapparve, ansimando pesantemente, la giacca intrisa di pioggia e di birra. «Tutto bene», borbottò, chinandosi e sputando sul marciapiede. «Gli ho preso la targa. Piccolo stronzo merdoso.»
Sulla via del ritorno a Shrivermoor guidò ancora Jack. Al suo fianco c'era Maddox, l'impermeabile bagnato piegato alla rovescia sulle ginocchia. Essex e Logan sedevano scompostamente sul sedile posteriore, emanando un lieve odore di birra. Jack era silenzioso. Nel retrovisore esterno scorgeva la Sierra che lo seguiva a breve distanza, con Diamond al volante. A ogni movimento dei tergicristalli, Jack lo vedeva parlare e ridere. La Sierra aveva i finestrini annebbiati per la condensa, mentre quelli della Jaguar erano freddi e puliti.
«Sono stati tutti d'accordo a presentarsi per un tampone orale.» Maddox sospirò, guardando fuori mentre superavano le due cupole gemelle del Naval College. «Tutti tranne il nuovo amico di Diamond. Ha una GTI rossa e due testimoni dichiarano di aver visto Shellene andarsene con lui…»
«È bianco», mormorò Jack. «È sicuramente bianco.»
«Come?»
«I serial killer non scelgono quasi mai le loro vittime in altri gruppi razziali. Non lo fanno e basta. È un principio tanto semplice da risultare ridicolo.»
Per un attimo nessuno parlò. Poi Maddox si schiarì la gola e disse: «Jack, lascia che ti spieghi una cosa: non c'è nulla, nulla sulla faccia della terra, che mandi in bestia il capo più di uno che si atteggia a profiler. Credo di avertene parlato quando sei stato trasferito».
«Sì», rispose Jack, annuendo. «E credo sia venuto il momento di discuterne.»
«Forza, allora.»
Jack lanciò un'occhiata nel retrovisore a Essex e Logan. «In privato.»
«Davvero? Va bene. Facciamolo. Subito. Su, fermati.»
«Adesso? D'accordo.» Jack svoltò a sinistra, nel parco, fermò l'auto sul ciglio della strada e accese i lampeggiatori. Poi Maddox e lui scesero dalla macchina.
«Bene.» La pioggia che sgocciolava da una vecchia quercia ticchettava e rimbalzava sul marciapiede, schizzando sulle loro caviglie. Maddox si mise l'impermeabile sopra la testa, a mo' di mantello. «Che ti succede?»
«Allora…» Jack si coprì la testa con la giacca, e i due si avvicinarono. Nell'auto, Essex e Logan trovarono qualcos'altro su cui concentrare l'attenzione. «Ho l'impressione, Steve, che lei e io stiamo andando in direzioni diverse.»
«Continua. Sputa il rospo.»
«Intendo proprio ciò che ho detto. L'autore del crimine non è un nero.»
Maddox roteò gli occhi. «Quante volte devo dirti…» Ma si fermò, scuotendo il capo. «Ne abbiamo già parlato, ti ho detto qual è la posizione del capo.»