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Per una vecchia abitudine del CID, Jack Caffery camminava con le mani in tasca persino quando indossava i guanti protettivi. Di tanto in tanto perdeva di vista la torcia della Quinn, il che gli causava una vaga inquietudine: in quel punto l'area industriale era buia. La squadra addetta alle riprese aveva finito e si era chiusa nel furgone, a duplicare il nastro originale. Ora l'unica luce era quella fosca, chimica, del nastro fluorescente che la Quinn aveva usato per contrassegnare i reperti su entrambi i lati del viottolo, così da proteggerli fino all'arrivo dell'incaricato dell'AMIP. Si mossero nella foschia come fantasmi indiscreti, tra le sagome verdi e indistinte di bottiglie, lattine schiacciate, un oggetto informe che avrebbe potuto essere una T-shirt o un asciugamano. Nastri trasportatori e gru a ponte si ergevano per quasi trenta metri nel cielo notturno che li circondava, grigi e silenziosi come un ottovolante fuori stagione.

La Quinn alzò la mano per fermarli. «Laggiù», disse a Jack. «La vede? Stesa sulla schiena.»

«Dove?»

«Vede il vecchio fusto di olio?» chiese, illuminandolo con la torcia.

«Sì.»

«E le due barre di rinforzo alla sua destra?»

«Sì.»

«Le segua.»

Oddio.

«La vede?»

«Sì.» Jack si riprese. «Sì, la vedo.»

Quello? Quello è un corpo? Pensava fosse un pezzo di schiuma poliuretanica, di quelle contenute nelle bombolette, tanto era gonfio, giallo e lucido. Poi vide i capelli e gli occhi e riconobbe un braccio. E, finalmente, chinando il capo di lato, capì ciò che stava osservando.

«Dio mio», disse Maddox con aria grave. «Forza, che qualcuno la copra con un telo.»

2

Quando ormai il sole era sorto e aveva disperso la foschia levatasi dal fiume, tutti quelli che avevano visto il corpo alla luce del giorno avevano capito che non si trattava affatto dello scherzo di uno studente di medicina. Harsha Krishnamurthi, patologo di turno dell'Home Office Advisory Board for Forensic Pathology, era arrivato ed era scomparso per un'ora sotto il telo bianco. Nell'area era stata sguinzagliata e debitamente istruita una squadra specializzata nel rilevamento delle impronte, e a mezzogiorno il corpo era stato liberato dal calcestruzzo.

Jack Caffery trovò Maddox seduto sul sedile anteriore di una Sierra in forza alla squadra B. «Sta bene?» gli chiese.

«Non c'è più nulla che possiamo fare qui. Lasciamo che se ne occupi Krishnamurthi.»

«Vada a casa a dormire un po'.»

«Anche tu.»

«No, io resto.»

«No, Jack. Va' a casa anche tu. Se proprio vuoi diventare un campione d'insonnia, potrai esercitarti nei prossimi giorni, stanne certo.»

Jack sollevò le mani. «D'accordo, d'accordo. Come vuole, signore.»

«È un ordine.»

«Ma non dormirò.»

«Va bene, va bene. Va' a casa», ripeté Maddox, indicando la vecchia e ammaccata Jaguar di Jack. «Va' a casa e fa' finta di dormire.»

L'immagine del corpo giallastro sotto il telo si era impressa nella mente di Jack, ed era ancora vivida quando lui arrivò a casa. Nella nuova luce biancastra la donna sembrava più reale rispetto alla notte precedente. Le unghie, mangiucchiate, dipinte di color azzurro cielo, erano incurvate verso i palmi gonfi.

Jack si fece una doccia e si rasò. Nello specchio, il suo volto appariva abbronzato dopo la mattinata passata in riva al fiume, e gli occhi erano segnati da piccole rughe rese più evidenti dal sole. Sapeva che non avrebbe dormito.

La rapida promozione di una nuova leva nell'AMIP. Più giovane, più duro e più dotato degli altri, Jack percepiva il risentimento dei sottoposti, era consapevole del sottile e sinistro piacere che avevano provato quando, terminata la settimana di reperibilità, era stato riassegnato alla squadra B e gli era stato ironicamente, malignamente, affidato il primo caso.

Sette giorni di servizio, una reperibilità di ventiquattr'ore, varie notti insonni, e poi subito un caso, senza nemmeno il tempo di prendere fiato. Non avrebbe potuto dare il meglio di sé.

Inoltre quel caso sembrava parecchio complesso.

Non erano solo il luogo e l'assenza di testimoni a renderlo oscuro: alla luce del mattino avevano visto i segni neri, ulcerati, lasciati dagli aghi.

L'assassino aveva fatto qualcosa al seno della vittima… qualcosa cui Jack non volle nemmeno pensare, mentre si trovava nel bagno piastrellato di bianco. Si tamponò i capelli con un asciugamano e scosse la testa per far uscire l'acqua dalle orecchie. Smettila di pensarci, ora. Non ammattire. Maddox aveva ragione, doveva riposare.

Era in cucina, intento a versarsi un Glenmorangie, quando suonò il campanello.

«Sono io», esclamò Veronica, attraverso la buca delle lettere. «Ti avrei chiamato, ma ho lasciato il portatile a casa.»

Jack aprì la porta. Lei indossava un tailleur di lino color crema e, tra i capelli, portava un paio di occhiali da sole di Armani. Ammucchiati per terra, accanto ai piedi, i sacchetti di diverse boutique di Chelsea. La sua Tigra decappottabile color rosso fuoco era parcheggiata dietro il cancello del giardino, illuminata dal pallido sole serale. Lui notò che teneva in mano la chiave della porta d'ingresso, come se fosse stata sul punto di entrare.

«Ciao, uomo sexy», esclamò Veronica, avvicinandosi per baciarlo.

Lui la baciò, e sentì il sapore del rossetto e dello spray per l'alito al mentolo.

«Hmm!» Veronica gli bloccò il polso e arretrò, notando l'abbronzatura, i jeans, i piedi nudi. E la bottiglia di whisky che gli penzolava tra le dita. «Giornata di relax, o sbaglio?»

«Ero in giardino.»

«A osservare Penderecki?»

«Pensi che non possa andare in giardino senza osservare Penderecki?»

«Certo che lo penso.» Veronica stava per scoppiare a ridere quando vide la faccia di Jack. «Oh, dai. Sto scherzando… Tieni.» Prese un sacchetto e glielo porse. «Ho fatto la spesa: gamberetti, aneto fresco, coriandolo fresco e, oh, il miglior moscato. E questo…» Sollevò una scatola verde scuro. «… da papà e da me.» Alzò una lunga gamba, come un uccello esotico, e posò la scatola sul ginocchio per aprirla. In mezzo al tessuto stampato spiccava un giubbotto di pelle marrone. «Una delle linee di prodotti che importiamo.»

«Ho già un giubbotto di pelle.»

«Oh.» Il sorriso di lei svanì. «Oh, va bene. Non c'è problema.» Richiuse la scatola. Rimasero entrambi in silenzio per qualche istante. Poi Veronica mormorò: «Posso restituirlo».

«No», disse Jack, provando subito un senso di vergogna. «Non farlo.»

«Davvero, posso cambiarlo.»

«No, sul serio, dammelo.»

Quello, pensò lui mentre chiudeva la porta con un ginocchio e la seguiva in casa, era il tipico modo di fare di Veronica. Gli faceva una proposta potenzialmente capace di sconvolgergli la vita, lui la rifiutava, allora lei spingeva in avanti il labbro inferiore e si stringeva nelle spalle: a quel punto, lui si sentiva immediatamente colpevole, si gettava ai suoi piedi e capitolava. Per via di quello che le era successo. Semplice ma efficace, Veronica. In sei mesi soltanto, la sua casa confortevole si era trasformata in un ambiente estraneo, pieno zeppo di piante aromatiche e di aggeggi vari; il suo armadio, poi, era ormai colmo di abiti che non avrebbe mai indossato: vestiti firmati, giubbotti cuciti a mano, cravatte di seta… Tutti omaggi della ditta d'importazioni del padre, in Goodge Street.

Mentre Veronica si appropriava della sua cucina – le finestre aperte, il Guzzini che ronzava, l'olio di arachidi che scoppiettava nelle padelle color verde brillante -, Jack prese il whisky e uscì sulla terrazza.

Il giardino… Ecco la prova evidente che la loro relazione stava andando a rotoli, pensò, mentre stappava il Glenmorangie. Quel giardino era stato creato ben prima che i suoi genitori comprassero la casa – pieno d'ibischi e di lupini di Russell, con la vecchia e nodosa clematide – e ogni estate gli piaceva lasciarlo crescere finché quasi non ostruiva le finestre con tutto il suo verde. Veronica invece voleva ordinarlo, potarlo, fertilizzarlo, voleva coltivare citronella e capperi in vasi dipinti, posti sui davanzali, progettare nuove soluzioni di arredo, con vialetti di ghiaia e siepi d'alloro. E, alla fine – dopo aver stravolto sia lui sia la casa -, avrebbe voluto che la vendesse, che lasciasse la piccola South London, il cottage vittoriano di mattoni sgretolati in cui era nato, con le sue finestre a colonnine, il suo giardino incolto e i treni che sferragliavano nella trincea della ferrovia lì accanto. Voleva lasciare il suo simbolico lavoro nella ditta di famiglia e la casa dei genitori. Voleva formare una famiglia e comprare una casa con lui.