«Sicuramente se ne interesserà.»
La signora Frobisher si appoggiò meglio alla sedia, soddisfatta dell'interesse che aveva ottenuto. «Questo mi farebbe sentire meglio», dichiarò e, serrando le mani in grembo, aggiunse: «Il suo collega verrà qui a parlarmi?»
«Lo chiamo subito.»
Basset si sedette sul bordo della scrivania e selezionò il numero della centrale di Croydon per mettersi in contatto con Shrivermoor. Stava osservando la signora Frobisher sorseggiare il tè, quando sentì un clic e prese la linea. Avvertiva un lieve senso di nausea.
Essex rabbrividì quando vide fissi su di sé gli occhi della bambola, immobili e azzurri come i non-ti-scordar-di-me. «Non lasciare le finestre chiuse o quella roba diventerà viva. Non hai visto Doctor Who?»
Jack si prese la testa tra le mani. Sentiva nei muscoli una profonda spossatezza. «Gemini ha mentito.»
«Sì, non è certo una bella notizia», rispose il collega, guardandosi intorno. «Dove vuoi mettere queste foto?»
«Avrebbe potuto spiegare l'intera faccenda in quattro parole. Avrebbe potuto dire: sì, sì, conoscevo Shellene. Sì, è salita sulla mia auto. Sì, ero il suo pusher, facevo sesso con lei e chissà che altro. Sapevamo che scarrozzava le ragazze, gli bastava ammetterlo.» Jack appoggiò la schiena alla sedia e allargò le braccia. «Tutto ciò che conosciamo è il gruppo sanguigno di quel campione. Con la fortuna che abbiamo, coinciderà senz'altro.» Il telefono sulla scrivania prese a squillare. Jack lo fissò, inespressivo. «Abbiamo un mandato di perquisizione per l'appartamento?»
«Diamond sta andando a prenderlo. Poi porteranno Gemini alla stazione per fargli qualche domanda.»
«Cristo», esclamò Jack tamburellando sulla scrivania con impazienza. «Le nostre opportunità stanno diminuendo. Sarebbe ora che venisse fuori qualcosa da questi interrogatori al St. Dunstan's.» Cercò di afferrare il ricevitore, ma il telefono smise di squillare. «Merda.» Si accasciò di nuovo sulla sedia, tenendosi il viso tra le mani.
«Le vuoi queste o no?»
Jack annuì e allungò la mano. «Penso di sapere che cosa siano quelle ferite sulla testa.» Tolse le foto dalla busta e le sparpagliò sulla scrivania. «Qui, vedi? Queste fessure, si vedono bene. Krishnamurthi non è ancora sicuro dello strumento.»
«Tu invece sì?»
«Certo.»
«Allora?»
«I fori sono dovuti a punti di sutura.»
«Punti di sutura?» Paul raccolse la foto di Shellene, la avvicinò alla finestra e la guardò, tenendo gli occhi socchiusi. «Va bene, sono d'accordo con te, ma perché proprio punti di sutura?»
«Ti ricordi che cosa ha detto la zia di Kayleigh?»
«No, cosa?»
«Ha detto che Kayleigh aveva cambiato taglio.»
«Sì, mi ricordo.»
«Kayleigh non aveva queste ferite dovute ai punti. I suoi capelli erano quasi dello stesso colore della parrucca. Il biondo di Shellene invece era più scuro. Dorato, non biondo cenere.»
«E quindi?»
«L'assassino non ha fatto ricorso ai punti di sutura sulla testa di Kayleigh perché non ne ha avuto bisogno. Le ha semplicemente tagliato i capelli secondo il proprio gusto. Ti ricordi la parrucca che pensavamo fosse indossata dall'assassino? Sei stato tu che hai fatto cenno a Vestito per uccidere, no?»
«Sì. Allora?»
«Non era lui a indossarla, ma le ragazze. Lui l'ha semplicemente fissata coi punti per impedire che cadesse mentre giocava coi corpi. Quando l'ha tolta, la pelle si è strappata proprio in corrispondenza della sutura. Sta cercando di fare in modo che le ragazze sembrino identiche.» Jack raccolse le fotografie e le rimise nella busta. «Ecco perché le ha truccate e ha mutilato loro il seno. Sta cercando di farne dei cloni. Probabilmente le tiene nel suo letto per giorni.» Si alzò e indossò la giacca. «Se solo riuscissimo a capire a chi vuole che somiglino le vittime, saremmo a cavallo.» Prese le chiavi dalla tasca. «Andiamo?»
«Andiamo dove?»
«Al St. Dunstan's.»
L'archivio era affollato. Gli investigatori indossavano camicie con le maniche corte in omaggio all'arrivo anticipato dell'estate, e portavano avanti e indietro i dossier. Le veneziane erano abbassate e le luci accese. La Kryotos si era tolta le scarpe e stava sbocconcellando un pezzo di dolce al caramello mentre preparava HOLMES per gli interrogatori al St. Dunstan's. Doveva inserire ancora 180 nominativi per poter trovare tutti i riferimenti incrociati necessari.
«Jack, Jack…» mormorava. «Che cosa ti passa per la testa?»
L'effetto che Jack aveva sulle donne era evidente anche alla Kryotos, l'occhio matronale che tutto controllava. Quando lui camminava per la stanza, Marilyn osservava le impiegate che, dietro i loro monitor, si toccavano i capelli, accavallavano le gambe, si chinavano con aria distratta per grattarsi i polpacci o per infilare le dita nelle cinghiette dei sandali. E lui, puntualmente, si allontanava con la sua aria distaccata e distratta, coi suoi piccoli tagli del rasoio sul viso. La Kryotos non aveva dubbi su come le ragazze avrebbero curato quei tagli. Jack, tuttavia, sembrava distante da tutto ciò, come se al mondo ci fossero faccende ben più importanti. Marilyn non vedeva l'ora di conoscere Veronica, la coraggiosa Veronica, che aveva deciso di non disdire il party di quella settimana sebbene fosse in chemioterapia.
Se nessuno nell'ufficio del capo rispondeva al telefono, dopo cinque squilli le chiamate venivano trasferite automaticamente all'apparecchio della scrivania adiacente a quella della Kryotos. Il detective Diamond, che si era infilato la giacca e si stava dirigendo verso la porta per andare a prendere il mandato di perquisizione, si fermò e rispose.
«Archivio.» Dopo una pausa, aggiunse: «Il detective Caffery non è qui. Chi lo desidera?»
Marilyn guardò Diamond. «È nel suo ufficio», disse sottovoce.
«Adesso è occupato. Posso fare qualcosa?» Diamond ascoltò per un momento, giocherellando con il filo dell'apparecchio telefonico. «Se hai una pista, allora prendi tu la deposizione, spediscicela e, se ci andrà a genio, la terremo in considerazione.» L'interlocutore lo interruppe. «Va bene, come vuoi.» Prese una penna, tolse il cappuccio e si apprestò a scrivere. «Allora, che cos'hai da dirmi?»
Diamond buttò giù alcune righe di appunti, guardò avidamente il dolce della Kryotos, ascoltò ancora il suo interlocutore, rimise il cappuccio alla penna, tenne fermo il ricevitore col mento, guardò di nuovo il dolce e si grattò pigramente la caviglia proprio al di sopra del calzino. Marilyn notò che aveva un altro paio di calzini alla moda. Questa volta riportavano le sagome di Wallace e Gromit. Quindi si voltò verso il monitor.
«Senta, Basset… Basset! Mi permette una parola? Grazie. Ora, mi dica: parliamo di un indiziato… di un bianco? Sì? Bene. E questa donna… è quella che viene spesso, no?» Ascoltò ancora l'interlocutore e sorrise. «Capisco. No, no, no. Prendiamo seriamente tutte le soffiate. Grazie per il suggerimento. Lo dirò anche ai ragazzi. D'accordo?»
Dopo aver riagganciato, Diamond strappò la pagina di appunti, si alzò e si stiracchiò, grattandosi la pancia. «Santo cielo», disse con uno sbadiglio, «ecco la merda che ti buttano addosso non appena la gente intuisce qualcosa.» Si umettò le labbra. «Dov'è l'archivio, tesoro?»
La Kryotos alzò lo sguardo. «Scusi?»
«Dov'è il cestino?»
Col piede scalzo, Marilyn tirò fuori da sotto la scrivania il sacco della carta straccia contrassegnato dalla scritta RISERVATO. «La macchina per tagliare i fogli non funziona bene. Dovrà usare questo.»
«Sei una brava ragazza, lo sai?» Diamond appallottolò la carta, indietreggiò di qualche passo e la gettò nel sacco. «Al diavolo le volpi.»
«Al diavolo gli investigatori», replicò Marilyn tra i denti. Si tolse delicatamente un pezzetto di dolce dalle dita, se le pulì con un fazzolettino e riprese a lavorare.