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Credette di sentire Veronica che prima spostava qualcosa al piano di sotto e poi chiudeva piano la porta a chiave. Bevve altro whisky e s'immerse nell'acqua, mentre la medaglietta di san Cristoforo che portava al collo, regalo di sua madre, emergeva in superficie, galleggiando delicatamente sotto il mento, leggera come un pesce che sbuca dall'acqua.

Pensò a Rebecca, all'espressione che aveva in cima alle scale.

Ho paura, sa. Sì, ho paura dell'assassino.

Un gradino scricchiolò. Per un attimo, Jack fu certo che il cellulare avrebbe squillato. Sollevò la testa, le orecchie tese.

Silenzio. Si lasciò scivolare di nuovo nell'acqua. Rebecca. Avvertiva nello stomaco la ben nota sensazione di desiderio. Avrebbe fatto anche a lei quello che aveva fatto alle altre… obbligarla a svelarsi, a perdere la patina di dignità per poi abbandonarla, dimenticandola, perché aveva qualcosa di molto più importante cui pensare?

Si sedette, finì il whisky, uscì dalla vasca e si asciugò. Veronica era a letto, supina, immobile.

«Veronica?»

La donna non rispose, aveva lo sguardo fisso.

«Veronica? Mi dispiace.»

Di nuovo non ricevette risposta.

«Ho pensato.»

«A cosa?» chiese lei con voce flebile. «A cosa hai pensato?»

«Al party. Ci sarò.»

Veronica sospirò e si voltò dall'altra parte, volgendogli le spalle. «Grazie.»

«Questa notte dormirò sul divano.»

«Sì», convenne lei con le braccia mollemente abbandonate. «Dormi sul divano.»

29

L'ambulatorio della polizia di Greenwich era privo di finestre. Alle pareti, un ingiallito manifesto sull'eroina e un poster plastificato che illustrava il diritto del detenuto all'assistenza legale. Sparpagliati sul tavolo di formica, alcuni opuscoli che nessuno avrebbe mai letto: HIV – Sei a rischio?, Crack/cocaina: una guida legale e Gruppo di Sostegno per tossicodipendenti – Aiuta le vittime del crimine.

«Sollevi la manica.» Il medico legale strofinò la pelle, infilò le mani bianche e pulite nei guanti di lattice e aprì un kit per il prelievo di campioni: una siringa, una bacinella, contenitori, etichette e tamponi. Gemini fissò il filo pendulo in corrispondenza del terzo occhiello del camice bianco. Le cose, doveva ammetterlo, si erano messe male.

Quando, due giorni prima, il detective Diamond aveva messo il naso in casa sua, Gemini non aveva ancora sentito i notiziari. Era già abbastanza scosso dall'andirivieni della polizia per immaginare che le ragazze erano morte e che la roba di Dog c'entrava qualcosa con gli omicidi. Alla seconda visita di Diamond, le cose erano ulteriormente peggiorate. Gemini ormai aveva letto i giornali. Sapeva che non era una storia di droga, ma aveva capito di essersi immischiato con gente sbagliata, e ora aveva una paura tale da mettersi a pregare.

Diamond gli aveva assicurato che non volevano arrestarlo, che non aveva nessun obbligo, che si trattava solo di poche domande, unicamente per poterlo eliminare dalle indagini; non conosceva forse il concetto di dovere civico? Così Gemini aveva indossato la sua felpa YDL ed era uscito, freddo come il ghiaccio.

Recita, recita.

Alla stazione di polizia tutti sembravano rilassati. Gli avevano offerto caffè e sigarette, promettendogli che ben presto avrebbe riavuto la GTI. Uno degli uomini gli aveva mostrato di nuovo le quattro foto ma lui, benché fosse terrorizzato, si era limitato a stringersi nelle spalle e a rispondere: «No, non le ho mai viste».

Allora gli avevano sorriso, dicendo «va bene», e gli avevano chiesto se fosse disposto a farsi prelevare alcuni campioni.

«È solo una formalità per escluderla dalle indagini, signor Henry, poi sarà libero di andarsene.»

Capelli prelevati dalla radice con l'aiuto di un paio di pinzette. Peli pubici (prelevati nello stesso modo). Poi le urine: nella toilette, il medico era rimasto accanto a lui e lo aveva osservato mentre urinava in un contenitore di plastica bianco. E poi, appena uscito dal bagno, mentre percorreva il corridoio, aveva sentito la mano di Diamond appoggiarsi sul suo braccio, il suo alito cattivo sul viso, gli occhi slavati contratti come se l'uomo fosse in preda a uno spasmo, come se non riuscisse a contenere l'eccitazione.

«Non credere che sia finita qui, piccolo bastardo del cazzo», gli aveva sussurrato Diamond, in modo che il medico non sentisse. «Sappiamo tutti che stai mentendo.»

«Sollevi la manica, per favore.»

«Che?» chiese Gemini, alzando lo sguardo.

«La manica.» Il dottore svolse con un colpo secco un legaccio emostatico, facendolo schioccare come una frusta, e lo appoggiò sul braccio di Gemini per legarlo intorno al bicipite.

«Che vuole ora?»

«Non si preoccupi.» Il medico picchiettò una vena nell'incavo del gomito, strofinò la pelle con un antisettico e introdusse l'ago. Gemini trasalì.

«Come diavolo volete provare con 'sta roba che sono stato io a fare quelle cose alle ragazze?»

Il medico lo guardò dritto negli occhi. «Può rifiutarsi, ma, in base alla legge, il rifiuto di fornire un campione può essere considerato una prova di colpevolezza.»

«Che?»

«E se lei non mi fa prelevare un campione di sangue, possiamo costringerla a fornirci un campione di saliva, che acconsenta o no.» Il medico ritrasse lo stantuffo e la siringa iniziò a riempirsi. «Stia fermo, per favore, signor Henry.»

Gemini invece allontanò il braccio di scatto. «No, amico. Adesso mi spiegate cosa mi state facendo e in che modo la mia piscia in una tazza dimostra che ho fatto quelle cose di cui mi accusate.»

Il medico lanciò uno sguardo all'ago che ciondolava dalla vena. «Ha dato il suo consenso e renderebbe le cose molto più semplici se restasse fermo.»

«Allora mi stia a sentire.» Gemini batté le mani sul tavolo, muovendo l'incavo del gomito in avanti. Il medico arretrò leggermente, pur rimanendo seduto. L'ago oscillava, ma rimase conficcato nella vena. «Adesso ritiro il consenso. L'ho detto già a quell'uomo, gli ho detto che non conosco quelle donne. Non ho fatto niente

Il dottore strinse le labbra. «Molto bene, signor Henry», esclamò con lo sguardo puntato sull'ago, poi si alzò e lasciò la stanza per riapparire dopo qualche secondo accompagnato dal detective Diamond che, fermo sulla soglia, rivolse a Gemini un largo sorriso. «Signor Henry!»

«Tu!» esclamò l'altro, passandosi la lingua sui denti con evidente disprezzo. «Tu, perché vai a dire in giro che racconto balle?»

«Tu non stai raccontando la verità. Quelle ragazze erano nella tua macchina. Ne abbiamo le prove.»

«'Fanculo.»

Diamond socchiuse gli occhi e, rivolgendosi al poliziotto in corridoio, esclamò: «Chiami l'agente di custodia».

«L'ultima volta che ho visto quella ragazza era viva e vegeta, amico. Se vuoi, vai a trovare i loro grassi clienti nelle loro ville di lusso di Croom's Hill. E ora tiratemi fuori questa roba dal braccio.»

Mel Diamond incrociò le braccia. «Jerry Henry…»

«Non ho fatto niente…»

«Jerry Henry… Lei è in arresto per presunti stupro e omicidio di Shellene Craw, di Stepney Green, a Londra, commessi la notte del 19 maggio…»

«Non ho stuprato nessuno.»

«Ha diritto di non parlare, ma potrebbe compromettere la sua difesa se evitasse di rispondere a domande relative ad argomenti che potrebbero essere sollevati a sua discolpa durante il processo. In base al paragrafo 54e del Codice, le chiedo ora di spogliarsi.» Diamond lanciò un'occhiata al medico che si era spostato dietro il tavolo. «Vada a prendere una tuta da mettergli.»