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«Devi solo dire una parola, Steve, e lascio perdere. Lo faccio solo per…»

«Lo so. Tutti lo facciamo per loro. È questo il punto. È l'ultima iniziativa del capo: vita familiare felice significa poliziotti felici. Non più uomini che picchiano le mogli, non più alcolizzati, nessun suicidio.»

«Fa molto anni '90.» Jack aprì la porta. «Alle otto allora?»

Maddox finì il samosa, appallottolò il sacchetto e lo gettò in un bidone della spazzatura ai piedi della scalinata. «Alle otto va bene.»

Jack evitò il locale di custodia e salì invece al secondo piano, raggiungendo le stanze che lì, come in ogni stazione di polizia, erano riservate all'AMIP. In una di esse sedeva Rebecca: era sola e guardava fuori della finestra. Muoveva elegantemente il piede con un distratto gesto d'impazienza e succhiava il pendente messicano d'argento che portava al collo. Indossava un paio di pantaloni larghi di colore verde e una camicia chiara di popeline. Quando vide Jack, lasciò cadere il pendente sul petto e gli rivolse un sorriso tirato. «Salve.»

«Mi fa piacere rivederla.»

«Davvero?»

Jack tacque per un istante. «Per cominciare, diamoci del tu.»

«Sì».

«C'è qualcosa che non va?»

«Sì.»

Si sedette di fronte a lei e avvicinò le mani, congiungendo le dita. «Dimmi tutto.»

«Per caso ti sto seccando? Non voglio sembrarti una rompiscatole, però avevo una cosa molto… Penso che sia un personaggio importante…»

«Non ti seguo.»

«Ti ho lasciato un messaggio in segreteria.»

«In segreteria?» Jack reclinò la testa. «E questo quando…?»

«Ieri sera.»

«Hai chiamato sul cellulare?»

«Sì.»

Veronica. Jack scosse la testa. «Rebecca, non ho ricevuto il messaggio. Mi dispiace.»

A quelle parole, i suoi occhi si addolcirono. «Non intendevo essere invadente, è solo che non ho chiuso occhio tutta la notte. Ho pensato alle tue parole, al fatto che dovrebbe trattarsi di una persona molto organizzata, di qualcuno di cui le ragazze si fidavano…» Rabbrividì. «Sì, insomma, di qualcuno di cui si fidavano al punto di permettergli d'iniettare loro una dose.»

«Non avrei dovuto dirtelo. Spero che…»

«Non ho parlato con nessuno.» La ragazza si protese in avanti, e i capelli lunghi e lucidi le ondeggiarono sulle spalle. «L'anno scorso, Joni mi aveva portato a un party, organizzato da una persona che non faceva mistero del fatto di avere dell'eroina… Per di più questa stessa persona si offriva d'iniettarla a chiunque l'avesse voluta. Un tempo era un medico, diceva, e sapeva come farlo, in modo indolore, conosceva la dose esatta da iniettare.» La ragazza si appoggiò allo schienale della sedia. «Accettarono in molti.»

«Era un medico?»

«Lo era stato, o almeno aveva studiato per diventarlo, anni prima. Adesso occupa una posizione importante in una ditta farmaceutica e penso che abbia a che fare col St. Dunstan's.» Gettò all'indietro la frangia e aggiunse: «Molte ragazze della zona finivano in quel posto. Tutta la roba era gratis e della migliore qualità, offerta in piccole ciotole. Solitamente, alla fine della serata, lui pagava le ragazze disposte a fare sesso. E le pagava bene. Andava avanti così da anni».

«Dagli interrogatori non è emerso nulla.»

«È un uomo molto riservato. Il suo motto e: se vuoi che t'inviti di nuovo, devi tenere la bocca chiusa. È molto ricco, intelligente, di bell'aspetto, anche se assai strano. Possiede un meraviglioso Patrick Heron, da lasciarci l'anima.» Scosse la testa con aria di commiserazione e proseguì: «Quel magnifico quadro è là, sul muro, e tutt'intorno ci sono soltanto prostitute che sniffano coca, ridacchiano… E non sanno nemmeno che cos'hanno davanti». Si voltò verso di lui, e il sole creò riflessi color miele nelle iridi verdi. «Quella notte mi aveva puntato. Per lui era una cosa normale. Pensava che fossi una prostituta: mi aveva chiesto di rimanere e io avevo risposto di no. Si era accesa una discussione. Niente di drammatico, però. Poi gli avevo graffiato il collo…»

«E allora lui aveva smesso?»

«Alla fine, sì… Però, se tu mi chiedessi che cosa penso, se lo ritengo un individuo capace di commettere crudeltà, violenza carnale e forse un omicidio…»

«Risponderesti…»

«Non so perché, ma risponderei di sì. Senza esitare. Quell'uomo ha dentro di sé una sorta di disperazione…»

«Dove abita?»

Rebecca si girò sulla sedia e fece un cenno col capo. «Al di là del parco. In una di quelle ville dalle parti di Croom's Hill.»

31

«E un altro piatto è andato.» Veronica chiuse la porta della cucina, lasciandosi alle spalle le voci degli invitati, e buttò i cocci nella pattumiera, aiutandosi con un cucchiaio. «Sto pensando di nascondere i bicchieri di mamma prima che ne rompano uno.»

Jack tolse il tappo da una bottiglia di Sancerre, lo annusò e lo rigirò tra le mani per controllare che non si fosse rotto. Era andato in cucina per godersi un momento di quiete e non era sorpreso dal fatto che anche Veronica si trovasse lì. Lei estrasse dal frigorifero un contenitore ermetico e, quando si accorse che Jack non aveva intenzione di parlarle, sbatté la porta del frigo e disse: «Sai chi è strano?»

«No. Chi?»

«Non voglio essere cattiva, Jack… Marilyn. È una donna volgare. Stavo conversando piacevolmente con suo marito – lui sì, che è una persona proprio gradevole -, quando, senza ragione, arriva lei e si comporta in modo davvero sprezzante. In più assume un'aria così sospettosa…»

Jack non replicò. Sapeva esattamente dove voleva arrivare Veronica. Per tutta la sera aveva tenuto un atteggiamento da martire, girando per casa con aria impavida, reggendo piatti colmi di crostini, peperoni alla griglia e tapénade, un sorriso triste e coraggioso sul viso. Ma ciò che realmente voleva era un po' d'attenzione, qualche piccolo contrasto che movimentasse la serata.

«Non mi stai ascoltando, eh?» osservò lei, mentre estraeva l'hummus dal contenitore, battendo sonoramente il cucchiaio sul bordo. «Pensavo che almeno fossimo ancora amici, e invece sembra che non possiamo neanche parlare.»

«Non abbocco, Veronica», mormorò Jack, gettando il tappo nel cestino e recuperando una bottiglia di Medoc dalla dispensa. Non aveva più energie per lei, quella sera. Il party era di per sé un sacrificio: il suo tempo era molto prezioso. «Non ho voglia di litigare, quindi smettila.»

«Cristo», esclamò lei, scuotendo la testa, rassegnata. «Sei fuori di te, Jack. Sei davvero fuori di te. Penso che dovresti farti vedere da qualcuno, lo penso sul serio.»

«Sei ubriaca.»

«È ovvio che non lo sono. Che coraggio, dire una cosa del genere!» Sbatté la ciotola su un vassoio e all'improvviso il suo viso apparve calmo, come se non fosse successo assolutamente nulla. «Allora», proseguì, prendendo uno strofinaccio, «che cosa facciamo col Piper Heidsieck? Hai tolto le bottiglie dal congelatore? Esploderanno se le lasci lì dentro ancora per un minuto.» Poi, con noncuranza, si avvicinò alla finestra, sollevò le tende, diede un'occhiata fuori come per cercare qualcosa oltre il suo riflesso e mormorò, in tono di disapprovazione: «Ah, quei bambini…» Lasciando ricadere la tenda, aggiunse: «È troppo tardi per loro. Non dovrebbero essere ancora svegli. Non combineranno niente di buono là fuori, sappilo».

La serata era calda e le porte finestre erano aperte, ma forse gli ospiti, come i moscerini radunati intorno alle lampade alogene della veranda, percepivano il peso della pioggia incombente. E infatti solo i bambini erano usciti in giardino. Gli adulti rimanevano all'interno, divisi in piccoli, educati gruppi, tenendo in equilibrio piatti e bicchieri, sollevando di tanto in tanto lo sguardo per controllare il proprio riflesso nei vetri. Nessuno fece cenno al caso di Birdman, come se bastasse un sussurro per avvelenare il party. Col Sancerre in una mano e il Médoc nell'altra, Jack girava nel soggiorno, riempiendo i bicchieri. Si fermò soltanto per permettere a Marilyn Kryotos di passargli un triangolino di pane nan.