«Lo so, Essex mi ha informata. Se non ci saranno sviluppi, potrei farlo rientrare nell'operazione…»
«Buona idea.»
«Sì, be', ho saputo la storia.»
«C'è niente che possa dirmi?»
«Non molto, a prima vista. Si tratta di ossa vecchie e molto frammentate. Nel caso in cui venga provato che sono umane, effettuerò un test del DNA mitocondriale, quindi ho bisogno di sapere se sua madre è ancora viva… Pronto?»
«Sì, vada avanti.»
«Ho detto: sua madre è ancora viva?»
«Sì, è viva. Pensa siano umane?»
«Glielo farò sapere con certezza nel tardo pomeriggio… forse domani.»
«Grazie, dottoressa Amedure. Grazie mille.»
Jack riagganciò e si appoggiò alla sedia, guardando fuori della finestra per diversi minuti. Sentiva un dolore sordo tra gli occhi. Era andato a dormire alle quattro. Al ritorno di Betts, aveva lavorato con lui per un'ora: mentre Veronica avvolgeva i bicchieri della madre e li riponeva in due ceste di vimini, Paul si era rinchiuso in salotto, etichettando le ossa e mettendole in un sacco con estrema cautela, neanche stesse maneggiando le emozioni di Jack. Per le dieci del mattino, proprio mentre iniziava la proroga del fermo di Gemini, tutti a Shrivermoor conoscevano la storia, sapevano di Ewan e di Penderecki, e comprendevano un po' meglio Jack. Le addette all'archivio lo guardavano in modo diverso, con qualcosa negli occhi che lui pensava fosse curiosamente simile alla paura. Se si fosse lasciato andare, sarebbe crollato ancor prima che la Amedure stendesse il suo rapporto.
«Hai un minuto?» Maddox era sulla soglia. «C'è qualcuno che vuole vederti.»
«Sì. Va bene.»
«Vuole restare solo?» chiese Maddox alla persona in corridoio. «Posso andarmene, se lo desidera.»
«Per me…» North, il proprietario dell'area industriale, entrò nella stanza. Polo bianca sotto la giacca, una pesante catena d'oro al collo e scarpe lucide. Sudava abbondantemente. Si sedette sulla sedia che Maddox gli offrì.
«Mi sento un vero stronzo qua dentro… Scusate l'espressione», disse in tono turbato.
Jack e Maddox rimasero seduti, appoggiarono i gomiti sui tavoli e incrociarono le mani.
«Sembrerebbe che lei abbia qualcosa da dirci», esordì Maddox.
«Penso di doverlo fare.» L'uomo afferrò la piega del pantalone all'altezza del ginocchio e la scosse leggermente, guardandola mentre si rimetteva a posto. «Mi ha tormentato negli ultimi giorni, e mia moglie… Be', lei è su tutte le furie, non mi avrebbe fatto uscire di casa se non con la promessa di fare la cosa giusta e venire qui.»
«Che cosa intende?»
«Quel ragazzo di Greenwich…»
«Come sa di lui?»
«La verità?»
«Sì. Se è disposto a…»
«Ho un amico in questo dipartimento.»
Jack e Maddox si scambiarono un'occhiata.
«È un ragazzo di colore, vero?»
«È importante?»
«In un certo senso.» North fissò di nuovo la piega del pantalone e Jack comprese che quell'uomo stava disperatamente tentando di non farsi prendere dal panico. «Potrei aver detto qualcosa a qualcuno… qualcosa di sbagliato.»
«Quand'è stato interrogato?»
«No, no… Parlo di dopo, nel pub.» Sul suo volto la tensione parve diminuire. «Mel Diamond. Il detective Diamond…»
Maddox sospirò. «Sì. Riguarda lui?»
«È un vecchio amico. Siamo entrambi tifosi del Charlton.» North si morse il labbro. «Guardi, mia figlia vive nella zona est di Greenwich. Ha problemi coi vicini. Nigeriani. Rumore, cattivi odori, sono bestie ignoranti, c'hanno i topi che passano nei buchi dei muri, sotto le assi del pavimento e nella camera dei bambini.» Tacque per un attimo, poi continuò: «Non che io ce l'abbia con loro, ma vanno in giro con le loro macchine vistose e Dio solo sa come le hanno perché nessuno lavora e c'è mia figlia che si fa in quattro per tirare avanti e non riesce ad avere un lavoro perché tutti i posti vanno ai neri, visto che il mondo va come va…»
«Dove vuole arrivare, signor North?» lo interruppe Maddox.
«Ho mentito.»
«Mentito?»
«Non riesce a capire la mia posizione? Anche lei lo avrebbe fatto se sua figlia vivesse dove vive la mia. Glielo assicuro.»
«Quando ha detto di aver mentito?»
«Va bene, va bene: ho detto a Mel Diamond che avevo visto un nigeriano in una macchina sportiva rossa che si aggirava nei dintorni.»
«Molti testimoni hanno confermato la segnalazione.»
North girò la fede nuziale sul dito grasso e livido. «Be', io non so, ma la pura verità è che non ho mai visto nessuno. Ecco. Ho fatto proprio una figura da stronzo. Spero siate contenti.»
«Signor North.» Maddox si alzò, tendendogli la mano. Il telefono squillò sulla sua scrivania. «Apprezziamo la sua onestà. Adesso, però, se vuole scusarci…»
Mentre North se ne andava, sollevò il ricevitore. Era Betts che chiamava per informare Jack che Harteveld aveva lasciato Croom's Hill.
L'interno della Cobra odorava di pelle e anche di catrame caldo, mentre il condizionatore risucchiava un po' del mondo esterno. Toby si fermò al semaforo nel punto in cui Tooley Street risaliva fino a incontrare il London Bridge. Era una giornata intensamente azzurra e il sole faceva scintillare i nuovi edifici lungo il Tamigi, facendoli somigliare a zollette di zucchero.
Dalla sua bolla ermetica, Toby fissava tutto con sguardo assente. Non aveva notato la Sierra grigia posizionata cinque macchine indietro, né i due uomini immobili dietro i loro occhiali da sole. Era molto magro, doveva aver perso almeno una dozzina di chili da Natale, ma sudava come se fosse obeso, nonostante l'aria condizionata, e una macchia gialla di sudore si era formata sul davanti della camicia.
Il semaforo scattò, ma la macchina di fronte non si mosse. Harteveld la notò a malapena. Le sue lunghe mani appoggiate al volante sembravano volersi artigliare su se stesse.
Forse il mio corpo sta cedendo, pensò. Quasi lo sperava.
Il solito brusio di persone che attraversavano la strada, vestiti neri, donne coi tacchi alti e calze color carne, la giacca bianca di un medico che usciva dal Guy's in gran fretta. Sulla sinistra di Harteveld la torre dell'ospedale, costellata di antenne satellitari, sembrava orientata su di lui, per spiarlo. Rabbrividì. Avrebbe dovuto parcheggiare: fermarsi, scendere e percorrere i pochi metri che lo separavano dalla clinica York. Ma gli sarebbe sembrato più facile portarsi sulle spalle la Terra attraverso la galassia.
Il suo piano era impreciso e disperato. Dopo aver desiderato per giorni che il cuore gli scoppiasse, liberandolo così dall'onere di dover prendere quella decisione, ormai sapeva che aveva bisogno di chiedere aiuto a uno psichiatra. Farlo in quella clinica, lì dove il seme era stato gettato, gli parve simbolico e giusto. Catartico, sempre che per lui esistesse una catarsi.
Tuttavia, mentre immaginava la scena, mentre immaginava di togliersi quel fardello dalle spalle e di lanciarlo a terra in una stanza austera, le lacrime gli salirono agli occhi. Neppure un professionista avrebbe potuto perdonarlo per ciò che aveva fatto. Persino un professionista sarebbe indietreggiato di fronte all'odore della merda. Era in trappola. Non aveva vie di fuga.
Se ne stava seduto lì, le mani strette sul volante. Il semaforo scattò una volta. Due. Il traffico non si mosse. Harteveld si spostò di lato e, dal riflesso del sole su un distintivo metallico, si rese conto che si trovava a due macchine di distanza da un blocco di polizia. Silenziosamente, sommessamente, cominciò a piangere.
Diamond raggiunse North fuori dell'edificio. «Cosa cazzo ci fai qui?»
«Dovevo dire la verità.»
«E sarebbe?»
«Che non ho visto nessuno.»
«Merda.»
«Mi dispiace, amico.»
«Mi dispiace un cazzo. L'avevo presa per buona, quella pista, e mi ci sono gettato sopra. Ho costruito tutto sulla base di quello che mi avevi detto tu.»
North si fermò. Il sole luccicava sull'oro della sua catena. «Adesso sai che stavo mentendo», disse, fissando Diamond.