«Sta' solo zitta e ascolta.»
«Papà la prenderà molto seriamente se ti avvicini ancora a me…»
«Ho detto: sta' zitta e ascolta.» Jack avvicinò la faccia a quella di lei. «Te lo dirò una volta sola: girami ancora intorno e io ti uccido. Parlo sul serio: ti ammazzo. È chiaro?»
«Jack… per favore…»
Lui la scosse violentemente. «È chiaro?» gridò.
«Sì, sì!» Improvvisamente Veronica cominciò a piangere. «Adesso toglimi le mani di dosso, d'accordo? Basta che tu mi tolga le tue fottute mani di dosso.»
«Fuori di casa mia.» La lasciò andare, la bocca piegata in una smorfia di disgusto mentre spalancava la porta d'ingresso. «Vai. Vai fuori. Esci da casa mia, subito.»
«Va bene, va bene», borbottò Veronica, avviandosi e guardando dietro le spalle per assicurarsi che lui non la seguisse. «Me ne vado, d'accordo?»
Jack andò in soggiorno, prese le ceste di vimini e le portò fino all'ingresso.
Veronica si trovava sul sentiero del giardino e, tutta tremante, stava componendo un numero sul cellulare. Quando la porta si aprì, indietreggiò, impaurita. Poi vide ciò che lui teneva in mano e la sua espressione mutò.
«Oh, no», gemette. «Costano una fortuna.»
Lui le passò davanti e fuori, in strada, lanciò le due ceste in aria. Piroettarono graziosamente, sputando fuori bicchieri di cristallo e stoffa verde, rimbalzarono sul cofano della Tigra, scheggiando il parabrezza, e infine ricaddero al centro della strada.
«Dico sul serio, Veronica», le mormorò all'orecchio, passandole accanto mentre tornava indietro sul sentiero. «Ti ucciderò.» Sbatté la porta, la chiuse col catenaccio e andò in cucina per cercare il Glenmorangie.
37
La sveglia suonò alle sette del mattino e lui era lì, sdraiato su un fianco, a guardare le ombre delle foglie sui muri. Dopo un'eternità, si rigirò sulla schiena, si coprì gli occhi e cominciò a respirare pesantemente.
Troppo oltre. Questa volta era andata troppo oltre.
Nel corso degli anni ce n'erano state altre come Veronica; altre relazioni erano finite male nel giro di alcuni mesi. Eppure, persino dove c'era stata amarezza, la vendetta non era mai stata tanto violenta, non l'aveva mai ferito così.
Devo imparare qualcosa da questo? È forse una «lezione di vita»?
Si premette le tempie e pensò a Rebecca mentre si scostava i capelli castani dagli occhi. Si domandava se avrebbe rovinato tutto anche in quel caso, si domandava quanto tempo avrebbe impiegato per rovinare la relazione.
Sei mesi, forse. O un anno, se si fosse impegnato. E poi si sarebbe ritrovato al punto di prima. Solo. Senza figli. Pensò ai genitori, ottimisti, pieni di speranza: avevano dato inizio alla vita dei loro due figli proprio lì, in quella camera da letto, nel corso di due luminose estati.
«Jack, Jack…» mormorò tra sé. «Dacci un taglio.» Si sollevò sui gomiti, guardando con occhi semichiusi la luce del mattino, e trascinò il telefono sul letto. Rebecca rispose subito, la voce assonnata.
«Ti ho svegliata?»
«Sì.»
«Sono il detect… Rebecca, sono io, Jack.»
«Lo so», rispose lei, in tono neutro.
«Scusami per ieri sera.»
«Non importa.»
«Mi chiedevo…»
«Sì?»
«Magari stasera. Potremmo vederci per un drink. O a cena?»
«No.» E, dopo un attimo di silenzio, aggiunse: «No, non credo sia il caso». E riattaccò.
Ti serva di lezione, Jack, pensò lui, e scese dal letto.
Maddox, il viso riposato e una camicia a maniche corte, lo incontrò in corridoio a Shrivermoor, con una tazza di caffè in mano.
«Jack? Che succede? Non sarà ancora quel piccolo pervertito?»
«Non è niente.»
«Hai un aspetto di merda.»
«Grazie.»
«Com'era il traffico?»
«Non troppo pesante. Perché?»
Maddox estrasse dalla tasca le chiavi della macchina della squadra e le fece tintinnare. «Perché adesso ti giri e torni indietro.»
«Che cos'è successo?»
«Probabilmente abbiamo trovato Peace Jackson. Una donna l'ha scoperta in un cassonetto delle immondizie un quarto d'ora fa.»
Royal Hill, che collega Greenwich a Lewisham, sale come se, pur desiderando arrivare alla stessa altezza di Blackheath, a un certo punto si fosse scoraggiata; dopo quattrocento metri gira a sinistra e sprofonda, fino a incontrare South Street. Quando arrivarono e parcheggiarono la macchina, si era già formato un capannello di persone. Dalle finestre più alte i vicini sbirciavano con le braccia conserte, le tende di pizzo agganciate per non essere d'ingombro. Gli impresari di pompe funebri incaricati dal coroner, due uomini corpulenti con gilet scuri ricamati e cravatte nere, aspettavano in piedi accanto al loro Ford Transit nero. Un agente stava cingendo col nastro il piccolo giardino anteriore e, sul sentierino di cemento, non contrassegnato in nessun modo se non dalla distanza cui si tenevano i poliziotti, c'era il cassonetto. Il detective Basset si trovava al cancello, la testa china, assorto in conversazione con la Quinn. Quando notò Maddox che espletava le procedure di riconoscimento con l'agente, gli si avvicinò, tendendogli la mano.
«Detective Basset», esclamò Maddox. «Che cos'abbiamo?»
«Sembra una vittima del suo Harteveld, signore. Donna, nuda, parzialmente avvolta in tre sacchi di plastica per la spazzatura. La Quinn ha dato un'occhiata dentro e posso assicurarle che l'abbiamo chiamata a ragione. La vittima presenta alcuni piccoli, indicativi punti di sutura sui seni, lo sterno è stato aperto. Non riusciamo a vedere la testa, ha il naso rivolto all'ingiù… ed è afrocaraibica, se questo può esserle d'aiuto.»
«Ah. Abbiamo in mente qualcuno.»
«Le gambe sono state avvicinate al petto, quindi significa che il rigor è scomparso.»
«Interessante.» Maddox arricciò il naso e guardò il cielo, commentando: «Quando avremo a che fare con bei cadaveri freschi?» Prese la mascherina e i guanti in lattice che Logan gli stava porgendo e si girò. «Jack… Perché non scambi due parole con la donna che l'ha trovata? Logan e io ci occuperemo delle cose qui fuori.»
All'interno della casa a schiera, Jack trovò la donna in cucina in compagnia di un sergente, pure donna. Fissavano entrambe il bollitore elettrico, in silenzio. Quando entrò sussultarono, sbigottite.
«Mi spiace, la porta era aperta.»
Il sergente aggrottò le sopracciglia. «Chi è lei?»
Jack cercò il distintivo. «AMIP. Detective Caffery.»
La poliziotta arrossì. «Mi spiace, signore», mormorò e, indicando il bollitore con un cenno del capo, aggiunse: «La signora Velinor e io stavamo preparando il tè. Ne vuole un po'?»
«Grazie.»
La donna gli rivolse un debole sorriso. Era attraente, un viso severo, incavato, quasi egizio, i capelli scuri raccolti in una coda. Indossava un costoso tailleur fatto su misura. La sua valigetta era posata sul tavolo e, vicino a essa, c'erano tre copie di Management Todays, una pila di test psicometrici di Saville & Holdsworth e un Guardian ripiegato. La fotografia di Harteveld fissava il soffitto. Accanto alla finestra, quattro salviette gialle, appese ad asciugare. «Vorrà farmi qualche domanda», disse la signora Velinor. «Ma prima, la prego, mi lasci bere un po' di tè. Non mi sono sentita bene.»
«Faccia con comodo.»
Jack diede una mano a prendere zucchero e latte e portare il tutto sul tavolo. Si sistemarono vicino alla finestra. La donna sorseggiò il tè e lentamente il suo viso riprese colore e lei si rilassò visibilmente. «Ora va meglio», dichiarò infine.