Jack prese il notes.
«Mi descriva l'accaduto, lentamente, dicendomi tutto quello che ricorda. Stava andando al lavoro ed era uscita per buttare la spazzatura, vero?»
Lei annuì e posò la tazza sul piattino. «Pensavo che qualcuno avesse gettato via qualcosa di puzzolente, per fare uno scherzo. Il mio compagno è bianco, io sono… Be', come può vedere, sono di sangue misto, e la gente ha ancora atteggiamenti strani a questo proposito. Due settimane fa la porta d'ingresso era piena di graffiti. Credevo fosse l'inizio di una serie di… Si sentono tante cose orribili, mettono lettere nelle cassette della posta, ha presente? Insomma, pensavo si trattasse di una cosa del genere.»
«E quindi lo ha aperto.»
«Dovevo vedere che cos'era. Quella cosa – lei - aveva una puzza orribile, rivoltante. Mi aspettavo che ci fosse qualcosa…» Esitò, premendosi il setto nasale e contraendo il viso. «Ma non quello. Non mi sarei mai aspettata… quello.»
«Per quanto tempo pensa che quella donna sia rimasta lì?»
«Non lo so. Non ne ho idea.»
«Faccia un'ipotesi.»
«Dalla notte scorsa, credo. Ma questo non può essere perché Harteveld è morto… Da quando? Da ieri mattina, no?» Fissò il Guardian, gli occhi castani seri. «Quella… ragazza là fuori ha qualcosa a che fare con lui, vero?»
«Che cosa le ha fatto pensare che sia successo la notte scorsa?»
«Be'…» rispose la donna lentamente, frastornata. «Non lo so. Suppongo che mi sarei accorta di avere un cadavere nel mio cassonetto…» Sorrise a quella battuta assurda. «Ma non è necessariamente così. Voglio dire, il coperchio era ben chiuso e se io stamattina non avessi buttato via la spazzatura ci sarei passata davanti e non lo avrei mai saputo.»
«Quand'è stata l'ultima volta che ha buttato via la spazzatura?»
«Ho cercato di pensarci. I netturbini sono venuti lunedì. Il mio compagno è venuto martedì sera e abbiamo bevuto qualcosa insieme. Era il suo compleanno. Perciò c'era una borsa piena di carta da regalo e bottiglie, quel genere di cose. Ora, pensavo di averle buttate ieri notte. Ma mi devo essere sbagliata, devo averlo fatto ieri mattina.»
«Dove lavora, signora Velinor?»
«All'ospedale St. Dunstan's.»
Jack sollevò le sopracciglia. «Al St. Dunstan's?»
«Sì. Perché?»
«Riesce a pensare a qualche motivo per cui il signor Harteveld possa aver scelto lei per questo?»
«Scelto me?» Lei scosse la testa. «No, nessuno. Siamo stati nello stesso comitato ospedaliero un paio di volte, lui conosceva il mio assistente, ma non posso credere che significassi qualcosa per lui, non più di altri, almeno. Sapeva a malapena che esistevo.»
Quando Jack ebbe finito e si affacciò alla porta d'ingresso, il cassonetto, coperto di polvere per il rilevamento delle impronte, era stato capovolto su un lato e adagiato su un grande telo in plastica per cadaveri. Logan, con indosso una tuta bianca e un paio di stivaletti, era accovacciato vicino all'apertura. Accanto a lui si trovava la Quinn, carponi, la parte superiore del corpo quasi interamente infilata nel cassonetto. Maddox era rimasto fuori della zona delimitata e, al di sopra della mascherina bianca, osservava con aria grave gli altri due.
La Quinn arretrò un poco e, alzando lo sguardo su Maddox, se ne uscì con un sonoro: «Bingo!» seppure la voce fosse attutita dalla mascherina. Prese quindi a muovere la mano intorno alla propria testa e spiegò: «Ha dei segni sul capo. Tiriamola fuori».
Jack stava sulla soglia, le mani in tasca. Si trovavano a mezzo chilometro dall'appartamento di Rebecca. Probabilmente, per andare in centro, lei passava per quella strada. Come sono singolari, gli invisibili grovigli sotterranei della vita, rifletté lui. Poi si mise a osservare la Quinn e Logan, che stavano infilando le mani sotto il bacino del cadavere per estrarlo dal cassonetto. A Jack venne in mente un parto: la pelle della donna era chiazzata e umida, i capelli apparivano sporchi di muco del grande omento della decomposizione, gli arti erano inanimati… Il cadavere scivolò fuori e ricadde sul telo, la testa ciondolante. L'agente al cancello si mise la mano sulla faccia e si voltò. I tratti erano stati alterati dalla putrefazione, ma, dalla porta, i due uomini riuscirono a vedere il trucco degli occhi e della bocca, le suture blu cobalto sui seni. L'incisione toracica irregolare.
La Quinn si avvicinò al viso della donna. Socchiuse gli occhi, poi guardò Maddox e abbassò la mascherina. «Credo abbia un neo sul labbro superiore.»
Maddox annuì, la faccia lievemente contratta. «La Jackson. Quella è la Jackson.»
38
Malpens Street, a circa cento metri dal giardino di Lola Velinor, sembrava una strada tranquilla e fiancheggiata da alberi. Le superbe case edoardiane erano arretrate rispetto alla strada, nascoste da giardini opulenti, affollati di tigli, gelsomini e ibischi.
Quella sera, poco prima delle nove, nella sua cucina con la finestra aperta per far entrare il profumo del caprifoglio, Susan Lister stava preparando una pietanza marinata al vino rosso per cena.
Aveva fatto jogging – il suo solito percorso lungo Trafalgar Road, passando accanto al St. Dunstan's, poi attraverso il parco -, e indossava ancora i pantaloni grigi di una tuta, una T-shirt Nike bianca e nera e un reggiseno sportivo; i capelli biondi, lievemente umidi, erano raccolti a coda di cavallo. Non aveva tempo di fare un bagno prima di andare a prendere Michael alla stazione. Lui lavorava fino a tardi, avrebbe preso il treno delle 20.55 dal London Bridge. Sul tavolo di pino pulito alle sue spalle, il televisore portatile era sintonizzato sulla BBC1 per le ultime notizie.
Susan afferrò uno spicchio d'aglio e lo sbucciò. Dietro di lei, un colpo dell'orologio e la prima notizia. «Un altro cadavere trovato nella zona sud-est di Londra. Scotland Yard non ha escluso un collegamento con gli omicidi di Harteveld.»
Susan posò velocemente lo spicchio d'aglio, alzò il volume e si appoggiò al bancone, prendendo un bicchiere di vino. «Mentre emergono maggiori dettagli, i deputati chiedono una valutazione rapida del progetto di ricerca sui crimini gravi proposto dalla PRCU.» Il ministro dell'Interno, sul prato all'esterno del Parlamento, i radi capelli mossi dalla brezza, ribadì la sua solidarietà coi parenti delle vittime ed enfatizzò la diminuzione percentuale dei crimini commessi nel corso dell'anno. Poi Sir Paul Condon, elegante al tavolo della conferenza stampa, dichiarò davanti alle telecamere che il CID e l'AMIP di Greenwich erano perfettamente competenti, e che, no, non erano pronti a confermare né a negare che si trattasse di una vittima di Harteveld.
Susan sorseggiò il vino, pensierosa. La casa di Harteveld si trovava a meno di un chilometro da lì; inoltre lei aveva scoperto che quella particolare auto verde, di solito parcheggiata fuori del St. Dunstan's, quella che lei vedeva durante le sue corse mattutine, apparteneva a lui. E adesso… questo. Un altro cadavere.
Le immagini sullo schermo ora mostravano una strada di Londra, facilmente identificabile come Royal Hilclass="underline" tre detective vestiti di grigio trasportavano una cassa gialla. Seguirono una ripresa dall'elicottero, una rapida panoramica dei tetti di Malpens Street, e poi un'inquadratura delle figure spettrali vestite di bianco che vagavano entro l'area recintata dal nastro della polizia.
«Questo porta il numero non ufficiale delle vittime a sei, delle quali solo quattro sono state identificate. Stasera il commissario capo Days dell'AMIT, l'Area Major Investigation Team, cioè la squadra investigativa principale per la zona sud-est di Londra, si è rifiutato di confermare che la polizia stia valutando un'eventuale connessione con Toby Harteveld.»
Nella sua cucina, Susan, colta da una paura irrazionale, si protese e chiuse la finestra. Un cadavere a Royal Hill. Quanto c'era andata vicino? Finì con calma di tritare l'aglio, fastidiosamente consapevole del suo riflesso nella finestra che s'insinuava tra i rami spettrali del caprifoglio. Spezie cinesi, un pizzico di salsa di soia, poi il maiale. Si sciacquò rapidamente le mani e prese le chiavi della macchina. Michael stava aspettando.