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Brazil Street era una via residenziale immersa nel verde, fiancheggiata da pruni che, in quel momento, gocciolavano di pioggia. Le case bifamiliari in stile vittoriano ostentavano graziosi vialetti d'entrata e giardini ampi, fitti di cespugli. Con i loro garage privati, le distese di caprifogli e le auto davanti all'ingresso, era facile capire che quelle case appartenevano a solide famiglie della buona borghesia. Jack parcheggiò la Jaguar all'inizio della strada e, con la giacca sopra la testa, seguì il complesso diagramma lasciato dai pneumatici sporchi d'argilla dei camion. Raggiunse così il cancello della Korner-Mackelson, oltre il quale c'erano due betoniere gialle, simili a leoni guardiani, una per parte. Poco più in là si scorgeva una scavatrice JBC con le fiancate piene di fango e rigate dalla pioggia. Il cantiere si estendeva per un centinaio di metri, fino all'angolo dell'edificio scolastico in mattoni rossi, dove svoltava bruscamente e continuava per circa mezzo chilometro lungo il margine dei giardini. Jack si appoggiò alla rete di protezione e osservò i muratori accalcati sotto le impalcature, che fumavano e bevevano caffè dai thermos, in attesa che la pioggia cessasse. Il semplice fatto di essere lì, così vicino a Birdman, forse addirittura prossimo a toccarlo, gli fece aumentare le pulsazioni. Con le prove della Scientifica sarebbe stato facile ottenere un mandato per aprire i file del personale dell'azienda; Marilyn avrebbe potuto confrontarli, mettere in pista HOLMES… Eppure, in quel momento, là sotto la pioggia, Jack gli era vicino. Mai nessuno gli era stato così vicino.

La tentazione, come sempre, era quella di prendere in mano la situazione, di agire subito senza aspettare, senza attenersi agli ordini. Ma Jack sapeva cosa avrebbe rischiato, oltrepassando quella linea. Si staccò dalla rete, si diresse verso la Jaguar, le scarpe e i calzini inzuppati, aprì la portiera, entrò, inserì le chiavi, poi improvvisamente, con un movimento rapido, ridiscese dall'auto.

Raggiunse una Polo verde parcheggiata dietro la sua macchina, e si chinò per osservare il parabrezza. Quindi si raddrizzò, si girò per guardare le automobili vicine e corse a esaminarle una a una: una Volvo, una Corsa e una vecchia Land-Rover.

Tutte erano parcheggiate lì da molto: sul parabrezza e sulla carrozzeria, la pioggia, mescolandosi con la polvere di cemento giunta dal cantiere, aveva formato un'intricata rete di linee.

Jack fece scorrere un dito lungo il bordo della portiera della Polo e lo esaminò per qualche istante, mentre i pensieri si susseguivano rapidi. Poi si voltò e guardò lungo Brazil Street.

La casa era umida e i pavimenti erano appiccicosi. Pareva che Bliss avesse acceso il riscaldamento in quella piovosa giornata quasi estiva. L'uomo era fermo in corridoio e, con le braccia allargate, le bloccò l'accesso alla parte posteriore dell'appartamento.

«No… Da questa parte, da questa parte. In cucina», esclamò, aprendo la porta.

«Va bene. Voglio solo parlare con Joni», rispose lei, facendo un passo per superarlo. «Non mi fermerò a lungo.»

Ma di nuovo l'uomo allargò le braccia. «Sì, sì… Da questa parte, entra, entra.»

Con un sospiro, Rebecca entrò. La cucina era calda e puzzava di latte acido. La condensa gocciolava dalle finestre e bagnava il davanzale punteggiato di mosche morte, che galleggiavano nell'acqua. Su un piccolo tavolo, fiancheggiato da tre sedie, spiccavano pile di piatti sporchi, una tazza di tè e varie scodelle, tutti ricoperti da una polvere fine, cinerea. Altre mosche svolazzavano sul soffitto.

Bliss prese una sedia e iniziò ad armeggiare, infilando il dito nella plastica rotta. «Non va bene, è rotta. Non posso farti sedere su una sedia rotta.» Dopo si mise a frugare in un cassetto. «Ecco qui.» Si voltò, tenendo in mano un nastro da pacchi, e ne cercò l'estremità con le unghie sporche. «Ho sempre avuto difficoltà con queste cose», borbottò, porgendole il rotolo. «Forse tu… Sai, le unghie.»

Rebecca emise un sospiro esasperato. «Dai qua.» Glielo prese di mano e staccò l'inizio del nastro con le unghie fragili, dopodiché glielo restituì. «Allora… Dov'è Joni?»

«Va bene! Va bene!» Bliss riparò velocemente lo squarcio nella sedia, infilò il rotolo nella tasca dei pantaloni e spinse la sedia verso di lei. «Vado! Vado!» Con le mani in alto, in un gesto di resa, uscì dalla stanza. Rebecca scorse la testolina schiacciata dell'uomo dietro la lunetta di vetro smerigliato posta sopra il lavandino. Stava considerando la possibilità di seguirlo in corridoio per fargli fretta, allorché quella strana faccia dalle labbra carnose riapparve al di là della lunetta e le mani si aggrapparono al vetro, facendola trasalire.

«Permetti?» Aprì il vetro di pochi centimetri, infilò il viso nella fessura e indicò il tavolo. «Ti dispiacerebbe passarmi la tazza di tè che le ho preparato? È laggiù, me n'ero scordato.»

«È sveglia?»

«Sì, sì. Ma vuole del tè. La tazza, per favore.»

La ragazza roteò gli occhi. Malcolm, per l'amor del cielo… Gli porse la tazza e lui l'afferrò.

«Grazie. E anche quei biscotti, scusa… Sì, quelli là, se non ti dispiace.» Si passò le mani sulla testa. «Joni è una signorina esigente.»

«Su, dai, Malcolm!» Rebecca gli porse sgarbatamente il pacchetto. «Potresti limitarti a dirle che sono qui, per favore?»

«Certo, certo», rispose lui gentilmente, afferrandole il polso e torcendoglielo con forza.

48

A Shrivermoor stavano pianificando il modo in cui avrebbero setacciato la zona. L'archivio odorava di caffè, di camicie pulite e di dopobarba. La Kryotos ed Essex si trovavano con Maddox nella stanza del capo quando Jack arrivò, i capelli bagnati e il vestito stropicciato. Ignorando l'espressione sulle loro facce, estrasse una guida telefonica dalla scrivania e l'aprì alla pagina di Lewisham. La risposta era lì, a un palmo dal suo naso: doveva solo puntare la luce nella direzione giusta…

Rapidamente, trascrisse cinque nomi. Ogni strada nel raggio di cento metri dal cantiere di Brazil Street. «Marilyn», esclamò, alzandosi dalla sedia e sollevando il foglio. «Inseriscili in HOLMES e fammi avere i risultati…»

Ma s'interruppe.

Il fax del St. Dunstan's giaceva ancora sulla scrivania dalla sera prima, la pagina superiore sgualcita. La lettera B: BASTIN, BEALE, BENNET, BERCHASSIAN, BINGHAM, BLISS, BOWMAN, BOYLE…

«Jack?»

Il volto di Jack era cambiato. I suoi occhi erano fissi sull'indirizzo riportato sotto il nome di Malcolm Bliss: Brazil Street, 34a.

La faccia del dipinto… quei brutti denti. Bliss che si lamentava del cantiere quando si erano incontrati la prima volta al St. Dunstan's. Come aveva fatto a non pensarci?

«Jack? Ci sei?»

Lui alzò lo sguardo. Maddox, Essex e la Kryotos lo stavano fissando.

«Sei con noi?»

«Sì, io…»

«Stavo dicendo che puoi dirigere l'indagine nella zona, oggi.» Maddox incrociò le braccia. «Prepara un questionario con Marilyn.»

«No.» Jack strappò la pagina e se la ficcò in tasca. «Ho bisogno di qualcuno della squadra.»

Maddox sospirò. «Procedi, allora. Prendi chi vuoi», disse, indicando Essex. «Lui, suppongo.»

Bliss la tirò con forza verso l'apertura, oltre lo scolapiatti, facendole sbattere il bacino contro il lavabo. La teiera cadde rumorosamente sul pavimento, e il tè freddo le schizzò sulle gambe.

«Cazzo!»

«Taci», sibilò lui. «Taci e non gridare.»

«Malcolm!»

Lui le si avvinghiò al braccio con le mani calde.

«Che cazzo stai facendo, Malcolm?»

«Ti ho detto di stare zitta.»

E poi il nastro da pacchi – quel fottuto nastro che gli ho preparato io - le venne avvolto intorno al polso. Rebecca fece pressione contro il lavabo, inserì l'altro braccio attraverso l'apertura. Cercò a tastoni le mani di lui, le trovò. Vi affondò le unghie, con rabbia, ma l'altro non batté ciglio.