Выбрать главу

«Circa una settimana fa. Nel periodo in cui la stampa stava divulgando la storia di Harteveld.»

«'Fanculo.» Jack guardò Paul che si stava fissando le scarpe.

«Diamond», mormorò Paul.

«Ribadisco il commento», sospirò Jack. «Bene», continuò, ricomponendosi. «Che cosa abbiamo? Hai parlato con qualcuno della casa?»

«Non c'è nessuno.»

«Sei entrato?»

«No, la signora Frobisher ha chiamato circa venti minuti fa. Era confusa, diceva che aveva sentito gridare. Povera vecchia, se la stava facendo addosso dalla paura. Non voleva disturbarci ancora perché pensava…»

«Che ce ne stessimo occupando?»

«Sì.» Basset sembrava imbarazzato. «Merda, sapete quanto ne sarà contento il capo?»

«Mi dispiace.»

«Ormai non c'è più nulla da fare. Nulla.» Dalla casa provenne un rumore. Basset si avviò a ridosso del recinto che fungeva da divisorio e fece loro cenno di seguirlo. La porta d'entrata si era aperta e la signora Frobisher apparve sulla soglia con indosso un vestito blu trapuntato e un paio di pantofole da uomo. Un gatto color tartaruga le si strusciava sulle caviglie.

«Signora Frobisher», disse Basset, tendendole la mano. «Lieto di vederla.» Per un momento la donna si limitò a guardarla, poi la prese tra le sue, fissando Jack e Paul oltre le spalle del poliziotto. «Mi scusi, questi sono miei colleghi. I detective Caffery ed Essex.»

L'anziana donna guardò quei due uomini dall'espressione grave e disse: «Stavo preparando il tè».

«Benissimo», replicò Essex, entrando.

La casa era pulita, ma stipata fino all'inverosimile di oggetti e di riviste impilate in ogni angolo. Vi aleggiava un vago odore di cibo, misto a quello di un deodorante al pino. Gli uomini si sedettero sulle poltrone logore, in un locale annesso alla cucina, osservando la disordinata collezione di soprammobili della donna: animali di peluche, una serie di tazze con vari loghi pubblicitari, varie fotografie di Gregory Peck ritagliate dai giornali e inserite in cornici di finto argento.

In cucina, la donna parlava da sola, mentre appaiava tazze Blue Geranium con piattini a righe. Trovò una copriteiera rosa lavorata all'uncinetto e aprì una confezione di biscotti. «È accaduto ieri pomeriggio, verso le quattro. Ne sono sicura perché stavo vedendo Il giudice Judy e mi ero appena fatta il tè», spiegò, posando il vassoio. Il gatto era accovacciato sotto il tavolo, le zampe perfettamente parallele e gli occhi chiusi. «Ho chiamato Tippy. Si stava bevendo il suo latte quando ho udito un gran baccano. Lui era fuori, con una signorina.»

«Che aspetto aveva la ragazza?»

«Per me sono tutte uguali. Bionda. Gonna fin qui. Era ubriaca e barcollava. Si è sentita male nel vialetto e lui l'ha portata dentro. Dopodiché non l'ho più vista né sentita. Non ci ho più pensato. Fino a stamattina, quando d'un tratto ho udito…» La tazza nelle sue mani tremò leggermente. «L'ho sentita gridare. Un urlo del genere ti gela il sangue.»

«Ha una chiave dell'appartamento?»

«Oh, no. Non è in affitto. Ma…»

«Sì?»

«Ho notato che ha lasciato una finestra aperta. Aveva una fretta tremenda.»

«Ha idea di dove sia andato?»

«Ha un'altra casa, lo so. Da qualche parte in campagna, credo. Forse è andato là. Ha preso l'auto.» Guardò il detective Basset. «Lei mi ha detto di guardare la marca della macchina.»

«E l'ha fatto?»

La donna annuì. «È una Peugeot. Mia figlia ne ha una uguale.»

Paul entrò dalla finestra a battenti mentre Jack attendeva all'esterno, sotto la tettoia, pensando a come fosse riparata, a come sarebbe stato facile parcheggiare accanto alla porta, aprire il baule e…

«Jack.» Paul aprì la porta. Era bianco come un lenzuolo. «È lui. L'abbiamo trovato.»

49

Le stanze erano buie, le tende ben chiuse, l'aria stantia. Avevano chiesto alla signora Frobisher alcuni sacchetti da freezer da indossare sopra le scarpe e, a ogni passo, staccavano scaglie di materiale secco dai tappeti appiccicosi.

«Guarda qui.» Paul si trovava sulla soglia della stanza principale. «Non è possibile!» Le pareti erano completamente ricoperte di fotografie: polaroid, istantanee, alcune strappate da riviste. Molte erano di Joni, ma le altre erano state prese da riviste pornografiche olandesi o tedesche: un bambino che succhiava un pene congestionato, una donna a cavalcioni su un pastore tedesco… C'era anche un'immagine sfuocata, che a Jack sembrava tratta da uno snuff movie, e nella quale si scorgeva un adolescente asiatico, steso su un letto, le braccia e le gambe divaricate e legate, e le cosce insanguinate.

Da un armadio provenne un frullo d'ali. Paul aprì il mobile e i due uomini guardarono ammutoliti la gabbia. Un diamantino sul suo posatoio, le piume umide e arruffate, se ne stava rannicchiato e li osservava. Sul pavimento, tra la sabbietta, erano accatastati quattro cadaverini pieni di vermi.

Perlustrarono ogni stanza. Paul diede un'occhiata in soggiorno, a ciò che era appeso alle pareti con pezzi di nastro adesivo, e si voltò verso Jack… bianco in volto.

«È malato», mormorò. «Quest'uomo è malato.»

Erano polaroid delle vittime.

La Craw, la Wilcox, la Hatch, la Spacek, la Jackson. Vio lentate, mutilate. Una mostrava Shellene Craw in posizione eretta, simile a un manichino di una vetrina, sistemata tra la televisione e il muro, gli occhi aperti, le braccia tese, irrigidite.

«La parrucca», mormorò Jack, indicando la foto.

Paul si portò alle sue spalle ed emise un sibilo. «Avevi ragione, Jack. Hai indovinato in pieno.»

Sull'altra parete si trovarono di fronte alla foto di Susan Lister, nuda e sporca di sangue, legata e imbavagliata, gli occhi pesti e gonfi.

«Oh, cazzo.»

C'erano alcuni archi indistinti sulla fotografia, sulla sua faccia. Una sagoma bianca nell'angolo in basso. Jack capì: Bliss si era fotografato mentre eiaculava sulla faccia devastata di Susan Lister.

In cucina trovarono del sangue fresco sullo scolapiatti. Piatti rotti sul pavimento. Ispezionarono il frigorifero e i cassetti, dove trovarono una serie di strumenti chirurgici. Entrati nella seconda stanza, Jack posò la mano sul braccio di Paul. «Guarda.»

Sulla parete sopra il letto, un sottile schizzo di sangue si apriva a ventaglio come fosse una testata ornamentale. Le lenzuola erano macchiate di rosso e, al centro del materasso, c'era un asciugamano giallastro avvolto intorno a due sagome gelatinose. «Che cosa sono?» chiese Paul, avvicinandosi cautamente. «Sembrano…»

«So che cosa sono.» Jack rimase a guardare le due protesi, impastate di sangue coagulato e di grasso. «Sono quelle di Joni. Gliele ha estratte.»

Quando la Peugeot blu raggiunse il Wildacre Cottage, era già tutto asciutto. Il bungalow si trovava alla fine di una strada che divideva un campo di grano, lungo e liscio come i capelli bagnati di una bionda. Era appartato: Malcolm non correva rischi di essere osservato mentre trascinava le donne, la fodera di un cuscino sulla testa, nel bungalow scuro e le depositava nel corridoio, contro il pannello di vetro smerigliato a lato della porta.

Quando «Clitoride» aveva iniziato a gridare, a lui erano saltati i nervi. Doveva andarsene, a ogni costo. Caricarle sull'auto era stato relativamente semplice: una nello spazio sotto il sedile posteriore, l'altra nel bagagliaio. Coperta con giacche a vento e un vecchio sacco a pelo. Sebbene fosse agitato, e continuasse a scrutare la strada, aspettandosi di vedere la polizia da un momento all'altro, in quel mezzogiorno piovoso di metà settimana nessuno si fermò a osservare un uomo insignificante che caricava la sua auto.

Era protetto dalla tettoia e un'ulteriore sicurezza era costituita dal fatto che entrambe le donne erano state tramortite con l'impugnatura della sega elettrica.

Tornò alla macchina, prese le quattro borse di Sainsbury's dal bagagliaio, e le portò in casa. La porta sbatté alle sue spalle. Poi, mentre apriva le borse, riempiva ciotole di M &M, appendeva ghirlande di carta alle finestre e gonfiava con una bomboletta palloncini dai colori pastello, iniziò a parlottare alle due ragazze. Disse che era il suo compleanno, e illustrò il programma della giornata. Nessuna delle due poteva udirlo, ma lui continuò ugualmente a borbottare, grattandosi ogni tanto la faccia.