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Quando Paul uscì dall'abitazione, la pioggia era cessata. Andò in giardino, da dove si vedevano le gru del cantiere che si stagliavano nel cielo che si andava rasserenando, e trovò Jack in mezzo al prato, intento a fissare qualcosa nell'erba alta.

«Jack?»

Lui non rispose.

«Jack? Che succede?»

L'altro si voltò, lo sguardo assente. Senza parlare, indicò un punto del terreno.

«Che cosa c'è?» disse Paul, chinandosi. Ai piedi di Jack, nell'erba bagnata, si trovava una bicicletta bianca e grigia. Sembrava che qualcuno ce l'avesse buttata. «Una bicicletta?»v

«È di Rebecca», mormorò Jack. «È la bici di Rebecca.»

Tornando alla macchina, le telefonò. Rispose la segreteria. Lasciò un messaggio e compose il numero di Shrivermoor.

Rispose Marilyn. «Ah, Jack, bene. Ho appena parlato con la Amedure. Quel capello… corrisponde. Vuole che tu…»

«Marilyn, ascoltami. Di' a Steve che ci siamo. Ho bisogno del TSG. E della Scientifica: la Quinn, Logan. Siamo in Brazil Street.»

«Va bene, va bene… Aspetta.» La sentì parlare con qualcuno.

Maddox. «Jack? Dove sei?»

«A Lewisham. Brazil Street.»

«A quale numero?»

«34a.»

L'altro rimase per un attimo in silenzio. In sottofondo si udì qualcuno gridare d'eccitazione. «Jack, quell'indirizzo è una pista», borbottò Maddox, schiarendosi la gola. «Abbiamo scorso la bolletta telefonica di Harteveld… Risulta che ha chiamato qualcuno al 34a di Brazil Street, due volte la mattina della scomparsa della Craw e due volte nella settimana in cui si è ucciso. Logan e Betts stanno arrivando.»

«È lui, Steve…»

«Che cosa avete trovato?»

«Fotografie, strumenti chirurgici, bisturi. Si chiama Malcolm Bliss. È scappato. Ha una Peugeot blu. E qualcuno con sé.»

«Cristo.» La voce di Maddox suonò stanca.

«Penso che sia diretto in campagna. Tra circa dieci minuti avrò un indirizzo. Voglio l'AMIP.»

«D'accordo. Marilyn, dirigi tu le operazioni… Un briefing a Greenwich tra… diciamo trenta minuti?»

«Diciamo pure venti.»

50

Caffery ed Essex furono sorpresi di trovare Lola Velinor – i meravigliosi capelli neri raccolti in uno chignon, una discreta collana di perle sul vestito di lino blu marine -, seduta nell'ufficio del St. Dunstan's. E capirono che il corpo della Peace non era stato lasciato per caso nel suo giardino.

«Lei non mi aveva detto di essere del personale.»

«Non me l'ha chiesto.»

«Chi è il capo?»

«Io.»

«E Bliss?»

«Malcolm? Malcolm è il mio assistente. È in permesso.»

«Lui conosceva Harteveld.»

Lei raddrizzò la testa e si accigliò. «Sì. Gliel'ho detto quando mi ha interrogato. E allora?»

Paul si sedette alla scrivania e si protese, chinando il capo con un atteggiamento confidenziale.

Ma Jack era impaziente. «Non farla lunga, Paul. Ci serve un indirizzo.»

Lola Velinor lo fissò, il viso proteso verso l'alto, e socchiuse gli occhi. «Io non devo darle proprio nulla, detective.»

«È qui che sbaglia: articolo 19. Posso confiscare tutti i registri in questo momento se decido…»

«Va bene, va bene.» Paul sollevò una mano. «Jack, procediamo con calma.»

Lola Velinor strinse le labbra e piegò il capo con grazia. Si alzò e li condusse nel recesso più buio dell'ufficio dove Wendy, riassegnata all'ufficio personale, sedeva tranquillamente col suo tè, sommersa dai faldoni.

«Detective Caffery!» esclamò, alzandosi. «Le preparo una bella tazza di…»

«Wendy.» La mandibola spigolosa di Lola si mosse impercettibilmente sotto la cute. «Dai al detective Caffery il dossier di Malcolm.»

«Di Malcolm?»

«Fa' come ti dico.»

«Oh.» La donna si voltò verso il mobile più vicino e aprì un cassetto. Il suo minuscolo viso da volpe si abbassò e una vampata di rossore le salì dalla base del collo. «Ecco qui», disse, aprendo il file. «34a Brazil Street, Lewisham. E poi c'è la vecchia casa della madre, morta l'anno scorso. Gli ha lasciato un cottage nel Kent: il Wildacre Cottage. Qui ci sono l'indirizzo e il numero di telefono, se ne avete bisogno.»

Paul li annotò e Wendy gli lanciò un'occhiata da dietro gli occhiali spessi.

«Si sbottonava i pantaloni sotto la scrivania», sbottò all'improvviso, sedendosi. «Capite ciò che intendo? Si toccava quando parlava con le donne. Loro non potevano vedere dall'altra parte del tavolo. Ma io sì.» Prese il fazzoletto dalla manica e se lo premette sulla bocca. La mano le tremava. «È per questo che è nei guai?»

«Per qualcosa del genere», rispose Essex. «Qualcosa del genere.»

L'impugnatura della sega aveva causato un piccolo ematoma alla nuca di Rebecca. Il sangue si era infiltrato molto lentamente, provocandole momenti di sonnolenza e un po' di dolore quando abbassava il mento. Ma le sue facoltà mentali erano intatte: nel preciso istante in cui si svegliò seppe esattamente ciò che stava accadendo.

Dapprima rimase immobile, con gli occhi chiusi, cercando di ricostruire quello che le aveva fatto Bliss. Le aveva tolto i pantaloncini e gli slip e, usando forse lo stesso nastro adesivo, le aveva legato insieme le gambe, dalle dita dei piedi a metà coscia. Le aveva lasciato indosso la T-shirt e aveva appoggiato la ragazza al pavimento, su un fianco, le mani contro il ventre. Quando fece per muoverle, Rebecca si accorse che anche le dita delle mani erano legate insieme.

E Bliss si trovava lì. A cinque metri circa dal suo viso. Leggermente a destra. Lo udiva, e ne sentiva l'odore. Stava parlottando tra sé, strascicando frasi, canticchiando sciocchezze.

È pazzo, Becky, è pazzo. E tu stai per morire.

Una sfilza d'imprecazioni, cantilene, filastrocche, parole di consolazione, di persuasione; Bliss proseguiva imperterrito nel suo monologo perverso.

Lei si sforzò di seguire gli spostamenti dell'uomo, cercando di capire dove si trovavano. Che non fossero più nell'appartamento londinese era chiaro. Lo aveva intuito dal cambiamento dell'aria, dall'acustica. Lì tutto era silenzioso, si sentivano soltanto gli uccellini cantare, all'esterno. Niente treni, niente auto, nessun rumore cittadino. Quel luogo era tranquillo come la stanza di un bambino. Si trovavano in periferia? In campagna? Forse erano a chilometri di distanza da altre case; e nessuno sapeva che lei era lì…

Il trambusto cessò. Rebecca trattenne il respiro e ascoltò con attenzione. Una volta sicura che Bliss era uscito dalla stanza, aprì gli occhi e, con un sospiro, ricominciò a respirare regolarmente.

Il locale era semibuio e grande più o meno come aveva immaginato. La luce del sole lasciava intravedere i motivi delle tende tirate: grandi rose centifoglie, uccellini, penne di pavone. Dietro una porta a battenti probabilmente si trovava una cucina, buia. A meno di due metri da lei, sei sedie Lloyd Loom di color rosa tenue erano sistemate ordinatamente accanto a un tavolo di vetro e bambù, sul quale erano stati disposti piatti di carta, una bottiglia di cherry brandy, alcuni cappellini da party e una torta di compleanno mezza mangiata. Sul soffitto, ondeggianti come una folla di spettatori affascinati, c'erano una ventina di palloncini: macchie di rosa pallido, lavanda, giallo sole che si sollevavano pigramente nell'aria fresca.

Joni – ciò che rimaneva di Joni – era su una delle sedie di vimini. Immobilizzata col nastro isolante, morta.

Morta? Deve essere morta… In quelle condizioni non può che…