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«Grazie», fece Jack prendendo il biglietto. Il marito aviatore stava tossendo pesantemente in camera da letto.

«Lavora per lei una ragazza di nome Lucy?»

«No.»

«Betty?»

Julie scosse il capo.

«E il nome…» aggiunse, dando una scorsa agli appunti, «…Tracy le dice qualcosa?»

«No.»

«Petra?»

«Petra? Sì.»

Jack sollevò lo sguardo. «Sì?»

«Sì, io… Petra. Che buffa ragazzina.»

«Ragazzina?» ripeté Jack, inarcando le sopracciglia.

«Piccola, intendo», spiegò la donna, guardandolo torvamente. «Non trattiamo mica coi pedofili, signor Caffery. Sto parlando di una delle spogliarelliste. Mi ha anche tirato un bidone, e io che pensavo di essere una brava psicologa!»

«È scomparsa?»

«Dalla faccia della terra. Ho scritto al suo ostello e, ovviamente, non ho mai avuto risposta.» Stringendosi nelle spalle, aggiunse: «Non mi doveva molto, così ho lasciato perdere. È tutta esperienza, giusto?»

«Quand'è accaduto?»

«A Natale. No, all'inizio di febbraio, perché eravamo appena tornati da Maiorca.»

«Droga?»

«Lei? No. Non l'avrebbe mai toccata. Le altre, sì. Ma non Petra.»

«Quando ha detto che era piccola…»

«Ossatura minuta. Come un uccellino. Tutta pelle e ossa.»

Jack si mosse, a disagio, sulla sedia stretta. «Ricorda il suo ultimo spettacolo?»

La donna gli lanciò un'occhiata lunga, intensa, poi lentamente, mestamente, sfogliò il registro. «Ecco», rispose, facendo scorrere un dito sulla pagina. «Era il 25 gennaio. Al King's Head. A Wembley.»

«È mai andata al Dog and Bell?»

«Spesso. Il suo ostello era a Elephant & Castle. Joni la conosce.» Si leccò un dito e girò la pagina. «Strano», mormorò. «È stata al Dog and Bell il giorno prima di andare al King's Head. Il giorno prima di sparire.»

«Bene. Mi dia l'indirizzo.»

«Senta», replicò Julie, appoggiandosi allo schienale, le mani sulla scrivania. «Mi dica che sta succedendo.»

«E mi dia anche una foto di Petra.»

«Ho chiesto che sta succedendo.»

Lui indicò il soffitto con un cenno del capo. «E una di Shellene.»

La donna sbuffò rumorosamente e recuperò un dossier da sotto il tavolo, lo sfogliò e prese due primi piani di Shellene e una foto sottoesposta a colori, a figura intera, di una brunetta con una calzamaglia a rete. Quindi porse le foto a Jack, senza guardarlo.

Petra non era bella. Aveva lineamenti molto minuti, occhi scuri e il mento triangolare deciso di una teppistella da strada. L'unico trucco che usava era un tratto di matita sul contorno delle labbra.

Jack mise la foto alla luce del sole e si soffermò a lungo a studiarla.

«Che c'è?»

Lui sollevò lo sguardo. «Si tingeva i capelli?»

«Lo fanno tutte.»

«Sembra…»

«Rosso scuro. È orribile, vero? Le dicevo di non farlo.»

Jack infilò le foto nella sua Samsonite, pensando al cadavere piccolo come quello di una bambina che si trovava all'obitorio di Greenwich, l'unico a essere stato legato. Chiuse la valigetta, imbarazzato di fronte a un'ondata improvvisa di sentimenti per una povera anoressica, legata e imbavagliata, che lottava per sopravvivere. «Grazie per il suo aiuto, signora Darling.»

«Ha intenzione di dirmi che c'entra Petra con Shellene?»

«Ancora non lo sappiamo.»

«È morta anche lei, vero? La piccola Petra…» esclamò Julie all'improvviso.

I due si scrutarono a lungo. Poi Jack si schiarì la voce e si alzò.

«Signora Darling, per cortesia non parli con nessuno di questa faccenda. Sono i primi giorni d'indagine. Le siamo grati per l'aiuto.» Le porse la mano, ma lei la rifiutò.

«Quando potrà, mi dirà di più?» Era molto pallida, con quel suo caschetto di capelli neri dai riflessi blu. «Vorrei sapere che cos'è successo alla povera, piccola Petra.»

«Lo saprà non appena lo scopriremo», rispose Jack. «Non appena lo scopriremo.»

6

L'AMIP faceva ampio affidamento sull'Home Office Large Major Enquiry System, il database noto col suo acronimo: HOLMES. La figura chiave di qualsiasi squadra era il «ricevitore HOLMES», ovvero l'agente che confronta, recupera e interpreta i dati. A Shrivermoor, quell'agente era Marilyn Kryotos.

A Jack era piaciuta subito: formosa e languida, affrontava le giornate raccontando, con la sua voce bassa, singolare, dei figli, dei loro animali, dei loro piccoli trionfi e delle sbucciature alle ginocchia. Madre per eccellenza, Marilyn sembrava trattare un omicidio nello stesso modo rassegnato con cui cambiava un pannolino sporco: come due fatti della vita lievemente sgradevoli, ma sistemabili. Jack era contento che, nella scelta del compagno di squadra, la donna avesse optato in prima battuta per Paul Essex: era come se la loro amicizia confermasse l'opinione che Jack aveva di entrambi.

Jack incontrò Marilyn quella sera, quando tornò a Shrivermoor con gli appunti. Stava portando alcuni dossier dall'ufficio del capo all'archivio, e lui intuì subito che era irritata. «Marilyn!» esclamò, chinandosi verso di lei. «Che cos'è successo? I bambini?»

«No», sibilò lei. «È quella dannata squadra E Si sta trasferendo qui e si è messa a fare il bello e il cattivo tempo. Vogliono questo, non vogliono quello. L'ultima è che vogliono un ufficio solo per loro, come se fossero migliori di noi.» Scostandosi i capelli neri dagli occhi, aggiunse: «Il commissario capo ha il fuoco al culo per questo caso e sta riversando su di noi i suoi problemi. Voglio dire, Jack, guarda questo posto: non basta per una squadra investigativa, figuriamoci per due».

Jack capì ciò che intendeva: per portare gli appunti allo schedario aveva dovuto farsi strada tra i volti sconosciuti che affollavano l'archivio. I detective della squadra F indossavano tutti camicie pulite, molte delle quali ancora con le pieghe della confezione, e cravatta. Ma l'ostentazione degli abiti si sarebbe più che affievolita dopo una settimana di turni di quindici ore, Jack lo sapeva bene.

«Scusami, collega.» Qualcuno lo afferrò per un braccio. Era un uomo dal viso spigoloso e abbronzato, più basso di Jack, gli occhi azzurro chiaro e il naso piccolo, diritto. I capelli biondo paglia, pettinati all'indietro, formavano una sorta di elmetto luccicante. Indossava un vestito pulito color verde bottiglia, e in spalla ne portava altri due, avvolti nel cellophane della tintoria. «C'è un posto dove appenderli?»

Jack trovò Maddox nel suo ufficio, intento a firmare i moduli degli straordinari. Gettò le chiavi dell'auto sul tavolo.

«Il Dog and Bell.»

«Scusa?»

«Il Dog and Bell. È un pub di East Greenwich.»

Maddox si appoggiò allo schienale della sedia e guardò con attenzione il suo interlocutore. «Allora?» chiese aprendo le mani. «Che cosa stai pensando?»

«Voglio interrogare tutti i clienti abituali del locale che hanno rapporti col mondo medico.»

«Così scatenerai i media. Se ci esponiamo, non rispetteranno il silenzio stampa. Lo riferirò al capo, però…» Scuotendo la testa, proseguì: «Credo che dirà di no. Almeno per ora. Ma avrai qualche altro indizio?»

«Alcuni nomi. Forse ho identificato la vittima numero tre.»

«Bene, allora dalli a Marilyn in modo che li spartisca. Qual è il più interessante?»

«Joni Marsh. Lavorava al Dog and Bell il giorno in cui è scomparsa la Craw.»

«Bene, te ne occuperai domani. Però, per amor del cielo, porta qualcuno con te. Sai come sono a volte quelle donne.» Bussarono alla porta e Maddox sospirò. «Sì? Che c'è?»

«Mel Diamond. Il detective Diamond.»

«Entra, Diamond, entra.»

Un uomo dai capelli biondi entrò nella stanza, scrollandosi le maniche del vestito in modo che coprissero i polsini della camicia. «'Sera, signore.» Ignorando Jack, porse la mano abbronzata a Maddox, mostrando un orologio da polso ultrapiatto. «Lei non mi conosce, ma io sì. Dal Met Boat Club, signore.»