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Non era la fine del mondo, ma solo dei Cullen. La fine di Edward, la mia fine.

Preferivo che fosse così, almeno per quanto riguardava l’ultima parte. Non avrei mai voluto vivere senza Edward: se lui abbandonava questo mondo, l’avrei seguito a ruota.

Ogni tanto mi chiedevo con scarsa convinzione se avremmo trovato qualcosa dall’altra parte. Sapevo che Edward non ci credeva più di tanto, ma Carlisle sì. Io non riuscivo a immaginarlo. D’altro canto, non riuscivo a immaginare che Edward non esistesse da qualche parte, in un modo o nell’altro. Ovunque fosse, se fossimo riusciti a restare insieme, sarebbe stato comunque un lieto fine.

E così continuava la sequenza delle mie giornate, con quel pensiero che le rendeva più difficili di prima.

Il giorno di Natale io, Edward, Renesmee e Jacob andammo a trovare Charlie. C’era tutto il branco di Jacob, oltre a Sam, Emily e Sue. Rincuorava vederli tutti radunati nella stanza, con quei loro corpaccioni tiepidi incuneati negli angoli intorno all’albero di Natale dalle scarse decorazioni — si vedevano i punti precisi in cui Charlie si era annoiato e aveva lasciato perdere — e più alti del mobilio. Si poteva sempre contare sull’esaltazione dei licantropi per una battaglia imminente, anche se era un’impresa suicida. L’elettricità della loro eccitazione trasmetteva una corrente piacevole, che mascherava il mio pessimo umore. Come sempre, Edward era un attore migliore di me.

Renesmee portava il medaglione che le avevo dato all’alba e nella tasca del giubbotto aveva il lettore MP3 che le aveva regalato Edward: un oggettino minuscolo che poteva contenere cinquemila canzoni, già riempito con le preferite di Edward. Al polso sfoggiava un bracciale intrecciato della tribù Quileute, l’equivalente di un anello di fidanzamento. Edward aveva stretto i denti vedendolo, ma la cosa non mi turbava.

Presto, prestissimo l’avrei affidata a Jacob perché la tenesse al sicuro. Come poteva infastidirmi il simbolo dell’impegno su cui facevo tanto affidamento?

Edward aveva salvato la situazione ordinando un regalo anche per Charlie. Era comparso il giorno prima — spedizione prioritaria notturna — e Charlie aveva passato tutta la mattina a leggere il voluminoso manuale di istruzioni per il suo nuovo sistema di pesca con il sonar.

Il pranzo imbandito da Sue doveva essere buono, a giudicare da come i licantropi lo spazzolarono. Mi chiesi come sarebbe sembrato quel nostro raduno agli occhi di un estraneo. Recitavamo abbastanza bene la nostra parte? Uno sconosciuto ci avrebbe creduti un gruppo di amici spensierati, che si godevano la festività in allegria?

Credo che Edward e Jacob fossero sollevati quanto me al momento di andarsene. Sembrava strano sprecare energie per mantenere la nostra apparenza umana quando c’erano altre incombenze molto più importanti di cui occuparsi. Facevo molta fatica a concentrarmi. Ma, al tempo stesso, forse quella era l’ultima volta che avrei visto Charlie. Poteva essere un bene che fossi talmente stordita da non rendermene davvero conto.

Era dal mio matrimonio che non vedevo mia madre, ma pian piano scoprii che dovevo apprezzare la distanza che gradualmente si era creata nei due anni precedenti. Lei era troppo fragile per il mio mondo. Non volevo che ne facesse parte per forza. Charlie era più forte.

Forse ora era persino abbastanza forte per un addio, ma non lo ero io.

In macchina regnava il silenzio; fuori la pioggia era ridotta a una nebbiolina semighiacciata. Renesmee stava in braccio a me e giocava con il medaglione, aprendolo e richiudendolo. La guardavo e immaginavo cosa avrei detto a Jacob in quel momento, se non avessi temuto che le mie parole rimanessero presenti nella memoria di Edward.

Se la situazione ritorna sicura, portala da Charlie. E a lui racconta tutta la storia, un giorno. Digli quanto bene gli volevo, digli che non ho sopportato l’idea di lasciarlo nemmeno dopo che la mia vita da umana era finita. Digli che è stato il padre migliore del mondo. Digli di far sapere a Renée quanto le volessi bene, e che le mando tutti i miei auguri di felicità e fortuna...

Avrei dovuto dare i documenti a Jacob prima che fosse troppo tardi. E gli avrei lasciato anche un biglietto per Charlie. E una lettera per Renesmee. Qualcosa che potesse leggere quando mi sarebbe stato impossibile ripeterle che l’amavo.

Mentre sbucavamo nel prato non notai niente di strano all’esterno di casa Cullen, ma percepii un vago brusio all’interno. Molte voci basse che mormoravano e ringhiavano. Era un suono forte e sembrava un litigio. Distinsi la voce di Carlisle e quella di Amun più frequenti delle altre.

Edward parcheggiò davanti alla casa, invece di fare il giro fino al garage. Ci scambiammo uno sguardo circospetto prima di scendere dall’auto.

Jacob cambiò atteggiamento: sul viso gli si dipinse un’espressione seria e attenta. Evidentemente era entrato nella modalità alfa. Di sicuro era successo qualcosa e intendeva procurarsi le informazioni di cui lui e Sam avevano bisogno.

«Alistair è sparito», mormorò Edward mentre ci precipitavamo su per i gradini.

Dentro il salone, i segni del dissidio in corso erano evidenti. Addossata alle pareti stava una folla di spettatori: tutti i vampiri che si erano uniti a noi, tranne Alistair e i tre coinvolti nel litigio. Esme, Kebi e Tia si mantenevano vicine ai tre vampiri al centro della stanza: Amun sibilava rivolto a Carlisle e Benjamin.

Edward serrò le mascelle e si precipitò a fianco di Esme, trascinandomi per mano. Strinsi forte Renesmee al petto.

«Amun, se vuoi andartene nessuno ti costringe a restare», disse calmo Carlisle.

«Mi stai rubando metà del mio clan, Carlisle!», gridò Amun, tormentando Benjamin con un dito. «Mi avete chiamato qui per questo? Per derubarmi?».

Carlisle sospirò e Benjamin alzò gli occhi al cielo.

«Sì, Carlisle ha litigato con i Volturi e ha messo in pericolo tutta la sua famiglia solo per attirarmi fin qui e uccidermi», disse sarcastico Benjamin. «Cerca di essere ragionevole, Amun. Mi sto solo impegnando a fare la cosa giusta, non sto entrando in un altro clan. Ma tu puoi fare quel che vuoi, naturalmente, come ti ha appena detto Carlisle».

«Non andrà a finire bene», ruggì Amun. «Alistair era l’unico che avesse un minimo di buonsenso qui. Dovremmo fuggire tutti quanti».

«Guarda un po’ a chi attribuisci del buonsenso», commentò Tia mormorando fra sé.

«Ci massacreranno tutti!».

«Non ci sarà nessuno scontro», disse Carlisle con voce ferma.

«Questo lo dici tu!».

«Ma, anche in quel caso, puoi sempre cambiare parte, Amun. Sono sicuro che i Volturi gradiranno moltissimo il tuo aiuto».

«Forse è questa la risposta giusta», lo schernì Amun.

La risposta di Carlisle fu dolce e sincera. «Non te ne farei una colpa, Amun. Siamo amici da tanto tempo, ma non ti chiederei mai di morire per me».

Ora anche Amun aveva una voce più controllata. «Però porti il mio Benjamin a morire con te».

Carlisle posò la mano sulla spalla ad Amun, che la scrollò via.

«Resterò, Carlisle, ma la cosa potrebbe volgersi a tuo sfavore. Se si tratterà di sopravvivere, non esiterò a unirmi a loro. Siete pazzi a credere di poter sfidare i Volturi». Si accigliò, poi sospirò, fissò me e Renesmee e aggiunse, in tono esasperato: «Testimonierò che la bambina è cresciuta. È la pura verità. Chiunque può confermarlo».

«Non abbiamo mai chiesto altro».

Amun storse la bocca: «Però rischiate di ottenere anche altro». Si girò verso Benjamin. «Io ti ho dato la vita e tu la stai sprecando».

Il viso di Benjamin era più freddo che mai, un’espressione in forte contrasto con i suoi tratti di adolescente. «Peccato che tu non sia riuscito a sostituire la mia volontà con la tua nel farlo: forse in quel caso saresti stato contento di me», rispose.

Amun socchiuse gli occhi. Fece un gesto brusco a Kebi, poi ci superò a grandi passi e usci dalla porta principale.