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Mi chiesi chi avrebbe scelto come obiettivo della propria ricerca e ipotizzai che si trattasse di Edward, dato che non poteva rintracciare me.

Mentre cacciavo, riflettei su Demetri, prestando scarsa attenzione alla mia preda o ai fiocchi di neve vaganti che alla fine erano apparsi, ma che si scioglievano ancor prima di toccare il suolo roccioso. Demetri si sarebbe accorto che non era in grado di individuarmi? Che conclusioni ne avrebbe tratto? E Aro? E se Edward si sbagliava? Magari c’era qualche piccola eccezione a quanto ero in grado di reggere, piccoli modi di aggirare il mio scudo. Tutto ciò che si trovava al di fuori della mia mente era vulnerabile, preda potenziale dei poteri di Jasper, Alice o Benjamin. Forse anche il talento di Demetri funzionava in modo un po’ diverso dagli altri.

Poi pensai a una cosa che mi fece bloccare di colpo. L’alce che avevo quasi dissanguato mi sfuggì di mano e cadde sul suolo roccioso. I fiocchi di neve si scioglievano a pochi centimetri dal suo corpo tiepido con minuscoli sfrigolii. Mi fissai le mani insanguinate, con sguardo vacuo.

Edward notò la mia reazione e si affrettò a raggiungermi, senza finire di dissanguare la sua preda.

«Cosa c’è?», chiese sottovoce, passando in rassegna il bosco intorno a noi in cerca di quella che poteva essere la causa del mio scatto.

«Renesmee», dissi con voce soffocata.

«È appena al di là di quegli alberi», mi rassicurò. «Sento i suoi pensieri e quelli di Jacob. Sta benone».

«Non intendevo questo», dissi. «Pensavo al mio scudo: tu credi che valga veramente qualcosa, che ci possa aiutare in qualche modo? So che gli altri sperano che io riesca a riparare sotto lo scudo Zafrina e Benjamin, anche se ce la faccio a mantenerlo attivo solo per qualche secondo alla volta. E se invece ci sbagliassimo? Se la tua fiducia in me fosse la causa della nostra sconfitta?».

La mia voce rasentava l’isteria, anche se avevo mantenuto il controllo sufficiente a parlare piano. Non volevo turbare Renesmee.

«Bella, cosa ti ha scatenato questi pensieri? Naturalmente è meraviglioso che tu possa proteggere te stessa, ma non sei responsabile della salvezza di nessuno. Non ti angosciare inutilmente».

«E se non riuscissi a proteggere nulla?», sussurrai singhiozzando. «Questa cosa che faccio è approssimativa, è incostante! È priva di logica. Forse sarà del tutto inutile contro Alec».

«Sssh», mi zittì. «Non farti prendere dal panico. E non preoccuparti di Alec. Quello che fa non ha niente di diverso da quello che sanno fare Jane o Zafrina. È pura illusione: non riesce a entrare nella tua testa più di quanto ne sia capace io».

«Ma Renesmee ci riesce!», sibilai fra i denti, sconvolta. «Sembrava una cosa talmente naturale che non me lo ero mai chiesto prima. È sempre stata una parte di lei e basta. Ma lei m’infila i suoi pensieri nel cervello proprio come fa con tutti gli altri. Il mio scudo ha delle falle, Edward!».

Lo fissai disperata, aspettando che comprendesse la gravità della mia rivelazione. Aveva le labbra increspate, come se stesse studiando il modo di dire qualcosa. L’espressione era perfettamente rilassata.

«Ci stavi già pensando da un pezzo, vero?», chiesi perentoria, mentre mi sentivo una sciocca per tutti i mesi in cui avevo sottovalutato ciò che era ovvio.

Annuì e all’angolo della bocca gli spuntò un sorriso vago. «Dalla prima volta che ti ha toccata».

Sospirai pensando alla mia stupidità, ma la sua calma mi aveva un po’ acquietata. «E la cosa non ti turba? Non la vedi come un problema?».

«Ho due teorie, una più probabile dell’altra».

«Dimmi prima la meno probabile».

«Be’, è tua figlia», mi fece notare. «Dal punto di vista genetico, per metà è come te. Ti ho sempre presa in giro per il fatto che la tua mente viaggia su una frequenza diversa dalla nostra. Forse è la stessa che usa lei».

Per me quella tesi non funzionava. «Ma anche tu senti benissimo la sua mente. La sentono tutti. E se per caso anche Alec viaggia su una frequenza diversa? Cosa succederebbe se...?».

Mi chiuse le labbra con un dito. «Ci ho pensato. Per questo penso sia più probabile la seconda teoria».

Strinsi i denti e aspettai.

«Ti ricordi cosa mi ha detto di lei Carlisle, subito dopo che Renesmee ti ha mostrato quel primo ricordo?».

Certo che me lo ricordavo. «Ha detto: "È un interessante capovolgimento. Sembra che faccia esattamente l’opposto di ciò che sai fare tu"».

«Sì. E quindi mi sono chiesto se, per caso, non abbia preso anche il tuo talento e l’abbia ribaltato».

Riflettei un attimo.

«Tu sai bloccare tutti all’esterno», m’imbeccò lui.

«Mentre nessuno è in grado di impedire a lei di entrare?», completai la frase, esitante.

«Questa è la mia teoria», disse. «E se lei sa entrare nella tua mente, dubito che al mondo esista uno scudo in grado di tenerle testa. Questo ci sarà d’aiuto. Da quello che ho visto, nessuno mette in dubbio la verità dei suoi pensieri una volta che le ha permesso di mostrarglieli. E credo che nessuno possa impedirle di mostrarglieli, se si avvicina a sufficienza. Se Aro la lascia spiegare...».

Al pensiero di Renesmee che si avvicinava agli occhi avidi e appannati di Aro, mi vennero i brividi.

«Be’», mi disse, massaggiandomi le spalle contratte, «quantomeno niente può impedirgli di vedere la verità».

«Ma la verità può bastare a fermarlo?», mormorai.

A quello Edward non seppe rispondere.

35

L’ultimatum

«Esci?», mi chiese Edward, con tono noncurante. La sua espressione sembrava forzatamente neutra. Si strinse Renesmee appena un po’ più forte al petto.

«Sì, un paio di commissioni dell’ultimo momento...», risposi, altrettanto indifferente.

Sfoderò il mio sorriso preferito. «Torna presto da me».

«Come sempre».

Presi di nuovo la sua Volvo, chiedendomi se avesse letto il contachilometri dopo la mia ultima commissione. Quante tessere del puzzle era riuscito a mettere insieme? Di sicuro sapeva che gli stavo nascondendo un segreto. Aveva dedotto il motivo per cui non glielo potevo confidare? Intuiva che presto Aro avrebbe saputo tutto ciò che lui sapeva? Forse Edward era già arrivato a quella conclusione, il che avrebbe spiegato perché non mi avesse mai chiesto conto di niente. Immaginai che stesse cercando di non rifletterci troppo e di escludere il mio comportamento dai suoi pensieri. Aveva fatto dei collegamenti con il mio strano gesto, la mattina dopo la partenza di Alice, quando avevo bruciato il libro nel camino? Forse non aveva compiuto così tanti progressi.

Era un pomeriggio uggioso, faceva già buio come al crepuscolo. Attraversai veloce quella tetraggine, osservando i nuvoloni carichi. Quella notte avrebbe nevicato abbastanza da attecchire al suolo e creare la scena della visione di Alice? Secondo Edward mancavano altri due giorni. Allora ci saremmo installati nella radura, attirando i Volturi nel posto che avevamo scelto.

Mentre attraversavo la foresta che si rabbuiava, riflettei sul mio ultimo viaggio a Seattle. Forse avevo capito qual era lo scopo di Alice nel mandarmi alla centrale dello spaccio in quel posto decrepito, sede degli appuntamenti di J. Jenks con i suoi clienti più loschi. Se fossi andata in uno degli altri uffici più formali, avrei mai capito cosa dovevo chiedergli? Se l’avessi conosciuto come Jason Jenks o Jason Scott, avvocato con tutti i crismi, avrei mai stanato J. Jenks, fornitore di documenti falsi? Dovevo percorrere la strada per cui fosse evidente che stavo combinando qualcosa di grosso. Era quello il mio indizio.

Faceva già buio pesto quando entrai nel parcheggio del ristorante con qualche minuto di anticipo, ignorando le attenzioni degli inservienti all’ingresso. Indossai le lenti a contatto e andai ad aspettare J. dentro il ristorante. Anche se avevo fretta di risolvere al più presto quell’incombenza deprimente e tornare dalla mia famiglia, J. sembrava molto attento a non contaminarsi con le sue attività più meschine: avevo la sensazione che uno scambio nel parcheggio buio avrebbe urtato la sua sensibilità.