Entrando diedi il cognome Jenks e l’ossequioso maitre mi guidò di sopra, in una saletta privata con un fuoco che crepitava in un caminetto di pietra. Prese lo spolverino a mezza gamba color avorio che portavo per nascondere il fatto che indossavo una tenuta che Alice avrebbe trovato adatta all’occasione e restò a bocca aperta davanti al mio abito da cocktail color écru. Non riuscii a evitare di sentirmi un po’ lusingata: non ero ancora abituata a essere ritenuta bella da tutti, oltre che da Edward. Il maitre aveva balbettato mezzi complimenti mentre usciva goffo dalla stanza.
Restai in attesa vicino al fuoco, accostando le dita alla fiamma per scaldarle un po’ prima dell’inevitabile stretta di mano. Per quanto J. sospettasse sicuramente che i Cullen avessero qualcosa da nascondere, era comunque una buona abitudine da mantenere.
Per mezzo secondo mi chiesi cosa avrei provato mettendo la mano nel fuoco. Cosa avrei sentito mentre bruciavo...
L’ingresso di J. mi distolse da quei pensieri morbosi. Il maitre prese anche il suo cappotto e risultò evidente che non ero l’unica a essermi vestita elegante per quell’incontro.
«Mi scusi tanto per il ritardo», disse J. appena ci trovammo soli.
«No, è in perfetto orario».
Mi porse la mano e mentre ce la stringevamo sentivo che comunque le sue dita erano molto più calde delle mie. Ma non ne sembrava turbato.
«Se posso permettermi, la trovo splendida, signora Cullen».
«Grazie, J. Per favore, mi chiami Bella».
«Devo dire che trattare con lei è un’esperienza diversa che con il signor Jasper. È molto meno... inquietante». Fece un sorrisino vago.
«Davvero? Ho sempre trovato che la presenza di Jasper abbia un effetto calmante».
Avvicinò le sopracciglia. «Veramente?», mormorò per educazione, anche se era palese che dissentiva. Che strano. Cosa aveva mai fatto Jasper a quell’uomo?
«Conosce Jasper da molto?».
Sospirò e parve a disagio. «Lavoro con il signor Jasper da più di vent’anni, e il mio vecchio socio lo conosceva già da quindici anni... Non cambia mai». J. rabbrividì appena.
«Sì, Jasper è un po’ strano da quel punto di vista».
J. scosse il capo come se potesse scrollarsi di dosso quei pensieri fastidiosi. «Vuole sedersi, Bella?».
«A dire il vero ho un po’ fretta. La strada fino a casa è lunga». Mentre parlavo estrassi dalla borsa la spessa busta bianca con i soldi in più destinati a lui e gliela porsi.
«Oh», disse con una lieve sfumatura di delusione. S’infilò la busta in una tasca interna della giacca senza fermarsi a controllare l’importo. «Speravo che potessimo dirci due parole».
«A proposito di cosa?», domandai incuriosita.
«Be’, si faccia consegnare prima gli oggetti che mi ha chiesto. Voglio essere certo che sia soddisfatta».
Si girò, mise sul tavolo la ventiquattrore e aprì le chiusure a scatto. Ne tirò fuori una busta imbottita in formato protocollo.
Anche se non avevo idea di quello che avrei dovuto ricevere, aprii la busta e diedi un’occhiata sommaria al contenuto. J. aveva girato la foto di Jacob e ne aveva modificato i colori in modo che passaporto e patente non riportassero un’identica immagine. Che a me apparissero perfetti non importava. Per una frazione di secondo osservai la foto sul passaporto di Vanessa Wolfe e poi distolsi rapida lo sguardo, con un groppo che mi saliva in gola.
«Grazie», gli dissi.
Socchiuse un poco gli occhi e capii che il mio esame poco accurato lo aveva deluso. «Le posso assicurare che i pezzi sono perfetti. Supererebbero gli esami più rigorosi degli esperti».
«Ne sono certa. Apprezzo molto quello che ha fatto per me, J.».
«È stato un piacere, Bella. In futuro, mi contatti pure per qualsiasi cosa di cui i Cullen abbiano bisogno». Non lo diceva sul serio, ma la frase sembrava un invito esplicito a prendere il posto di Jasper come contatto.
«Voleva parlarmi di qualcosa?».
«Ehm, sì. È una questione un po’ delicata...». M’indicò il focolare con aria interrogativa. Mi sedetti sul bordo in pietra e lui si mise al mio fianco. Aveva di nuovo la fronte ricoperta di sudore; tirò fuori di tasca un fazzoletto di seta azzurra e cominciò a tamponarsela.
«Lei è la sorella della moglie del signor Jasper? O è la moglie di suo fratello?», chiese.
«Sono la moglie di suo fratello», chiarii, chiedendomi dove volesse andare a parare.
«Quindi è sposata con il signor Edward?».
«Sì».
Sorrise imbarazzato. «Vede, ho visto i nomi di tutti parecchie volte. Congratulazioni in ritardo. Mi fa piacere che il signor Edward, dopo tutto questo tempo, abbia trovato una compagna così adorabile».
«La ringrazio molto».
Fece una pausa, tamponandosi il sudore. «Come può immaginare, nel corso degli anni ho sviluppato un discreto livello di rispetto per il signor Jasper e tutta la sua famiglia».
Annuii, cauta.
Lui inspirò profondamente, poi espirò senza parlare.
«J., per favore, vada al sodo».
Prese fiato un’altra volta e poi borbottò in fretta, farfugliando. «Se potesse assicurarmi che non ha intenzione di rapire quella bambina a suo padre, stanotte dormirei molto meglio».
«Oh», dissi sbalordita. Mi bastò un attimo per capire qual era la conclusione sbagliata che aveva tratto. «No, no. Non si tratta affatto di questo». Abbozzai un sorriso, cercando di rassicurarlo. «Sto solo cercando di garantirle un rifugio sicuro nel caso in cui a me e mio marito succeda qualcosa».
Affilò lo sguardo. «E cosa dovrebbe succedere?». Arrossì, poi si scusò. «Ovviamente non sono affari miei».
Osservai il rossore che si diffondeva dietro la superficie delicata della sua pelle e fui felice, come mi capitava spesso, di non essere una normale vampira neonata. J. sembrava un tipo a posto, a parte i reati che perpetrava, e sarebbe stato un peccato ucciderlo.
«Non si può mai sapere». Sospirai.
Si accigliò. «Allora le faccio tanti auguri. E, scusi se la scoccio ancora, ma... se il signor Jasper dovesse venire a chiedermi che nomi ho messo su quei documenti...».
«Naturalmente glieli deve dire subito. Mi farebbe molto piacere che il signor Jasper fosse a conoscenza di tutta la nostra transazione».
Sembrava che il mio sincero desiderio di trasparenza avesse allentato un po’ la sua tensione.
«Molto bene», disse. «Non riesco proprio a convincerla a fermarsi per cena?».
«Mi dispiace, J. Al momento ho pochissimo tempo».
«Allora le rinnovo tanti auguri di salute e felicità. E, per favore, si faccia pure viva per qualsiasi necessità della famiglia Cullen, Bella».
«Grazie, J.».
Me ne andai con la mia merce illecita e guardandomi indietro vidi che J. mi seguiva con gli occhi e aveva un’espressione a metà fra l’ansia e il rimpianto.
Il viaggio di ritorno durò molto meno. La notte era nera, così spensi i fari e andai a tavoletta. Quando arrivai a casa, mancava la maggior parte delle auto, comprese la Porsche di Alice e la mia Ferrari. I vampiri tradizionali si erano allontanati il più possibile per saziare la propria sete. Cercai di non pensare a quella caccia notturna e rabbrividii immaginandomi le loro vittime.
Nel salone c’erano solo Kate e Garrett, che discutevano scherzosi sul valore nutritivo del sangue animale. Ne dedussi che Garrett aveva tentato una caccia vegetariana e l’aveva trovata difficile.
Edward doveva aver portato Renesmee a casa, a dormire. Jacob, senza dubbio, era nei boschi vicino alla nostra casetta. Il resto della mia famiglia probabilmente era a caccia. Forse erano fuori insieme agli altri di Denali.