I tentativi di Chelsea per separarci svolazzavano impotenti contro il mio scudo.
Aro passò in rassegna con lo sguardo i nostri occhi inflessibili, in cerca di qualsiasi segnale di esitazione. A giudicare dalla sua espressione, non ne trovò.
Intuivo il suo desiderio ardente di tenersi me ed Edward, di imprigionarci proprio come aveva sperato di ridurre in schiavitù Alice. Ma questa battaglia era troppo importante. Se sopravvivevo, lui non avrebbe vinto. Ero felicissima di essere così potente da obbligarlo a scegliere di uccidermi.
«Votiamo, dunque», disse, con evidente riluttanza.
Caius parlò in fretta, impaziente. «La bambina è una variabile impazzita. Non ci sono motivi per permettere che esista un rischio del genere. Deve essere distrutta insieme a tutti quelli che la proteggono». Sorrise speranzoso.
Repressi un grido di sfida in risposta al suo ghigno crudele.
Marcus alzò gli occhi indifferenti, con l’aria di guardare qualcosa al di là di noi mentre votava.
«Non vedo rischi nell’immediato. La bambina per ora non rappresenta un pericolo. Possiamo sempre giudicarla in seguito. Viviamo in pace». La sua voce era ancora più debole dei sospiri leggeri dei suoi fratelli.
Alle sue parole, discordanti da quelle del fratello, nessuno nel corpo di guardia abbandonò la posizione di allerta. Caius non smise il suo ghigno: era come se Marcus non avesse nemmeno parlato.
«A quanto pare il voto decisivo spetta a me», disse Aro fra sé.
Improvvisamente, Edward s’irrigidì al mio fianco. «Sì!», sibilò.
Mi arrischiai a guardarlo. Il viso gli brillava di un’espressione trionfante che non capivo: quella che potrebbe avere un angelo sterminatore mentre osserva il mondo bruciare. Bello e terrificante.
Ci fu una tenue reazione da parte del corpo di guardia, un mormorio di disagio.
«Aro?», lo chiamò Edward, quasi gridando, con una sfumatura malcelata di vittoria nella voce.
Aro esitò per un secondo, valutando con cautela questo nuovo umore prima di rispondere. «Sì, Edward? Hai qualcos’altro da...?».
«Forse», disse Edward a mezza voce, controllando la sua esaltazione inspiegabile. «Prima di tutto, posso chiarire un punto?».
«Ma certo», disse Aro, inarcando le sopracciglia, e ora il suo tono non tradiva altro che un gentile interessamento. Digrignai i denti: Aro era al massimo della pericolosità quando si dimostrava gentile.
«Il pericolo che vedi rappresentato da mia figlia nasce soltanto dalla nostra incapacità di prevedere la sua crescita? È questo il nodo della questione?».
«Sì, amico Edward», convenne Aro. «Se potessimo solo essere certi... essere davvero sicuri che, quando cresce, sarà capace di restare celata al mondo umano, senza mettere in pericolo la sicurezza del nostro mondo segreto...». La voce gli si affievolì e lui si strinse nelle spalle.
«Quindi se potessimo sapere con certezza cosa diventerà...», insinuò Edward, «non ci sarebbe alcun bisogno di un ulteriore consiglio?».
«Se ci fosse un qualche modo di essere certi al cento per cento», convenne Aro, la voce morbida un poco più stridula. Non capiva dove volesse arrivare Edward. E nemmeno io. «In quel caso, sì: non ci sarebbero più problemi su cui discutere».
«E noi ci saluteremo in pace e saremo di nuovo buoni amici?», chiese Edward con una punta d’ironia.
La voce era ancora più acuta. «Ma certo, mio giovane amico. Niente potrebbe farmi più piacere».
Edward ridacchiò esultante. «Allora ho davvero qualcos’altro da offrirti».
Aro affilò lo sguardo. «Lei è assolutamente unica. Il suo futuro si può solo indovinare».
«Non è assolutamente unica», dissentì Edward. «È rara, di sicuro, ma non proprio unica».
Cercai di combattere lo shock, come se la speranza improvvisa che nasceva costituisse per me una distrazione inutile. La foschia nauseabonda mulinava ancora lungo i bordi del mio scudo. E mentre mi sforzavo di concentrarmi, sentii di nuovo la pressione acuminata e martellante contro il mio involucro protettivo.
«Aro, puoi chiedere a Jane di smettere di attaccare mia moglie?», chiese gentilmente Edward. «Stiamo ancora discutendo delle prove».
Aro alzò una mano. «Pace, miei cari. Ascoltiamolo».
La pressione sparì. Jane mi mostrò i denti e io non riuscii a fare a meno di digrignare i miei per tutta risposta.
«Perché non ci raggiungi, Alice?», chiamò forte Edward.
«Alice», sussurrò Esme, sconvolta.
Alice!
Alice, Alice, Alice!
«Alice!», «Alice!», mormoravano altre voci intorno a me.
«Alice», bisbigliò Aro.
Fui pervasa dal sollievo e da una gioia violenta. Mi ci volle tutta la mia forza di volontà per mantenere lo scudo dove si trovava. La nebbia di Alec lo metteva ancora alla prova, cercando un punto debole; se avessi lasciato qualche buco, Jane lo avrebbe visto.
Poi li sentii correre nella foresta, volando, coprendo la distanza nel modo più rapido possibile, senza badare a rallentare per non creare rumore.
Le fazioni erano immobili in attesa. I testimoni dei Volturi aspettavano torvi, confusi e perplessi.
Poi Alice entrò danzando nella radura da sud-ovest e, se fosse stato possibile, il sollievo di rivedere il suo viso mi avrebbe fatto quasi venire un colpo. Jasper la seguiva a pochi centimetri di distanza, lo sguardo fiero e penetrante. Dietro di loro, tre sconosciuti: la prima era una femmina alta e muscolosa con scuri capelli ingovernabili. Ovviamente si trattava di Kachiri. Aveva le stesse membra e i tratti allungati delle altre amazzoni, nel suo caso ancora più pronunciati.
La successiva era una piccola vampira dalla pelle olivastra con una lunga treccia di capelli neri che le ondeggiava sulla schiena. Aveva occhi di un color bordeaux scuro che si muovevano nervosi osservando la folla coinvolta nella disputa.
L’ultimo era un giovane, che non correva con altrettanta velocità e fluidità. Aveva la pelle di un marrone scuro intensissimo, quasi impossibile. Con uno sguardo cauto degli occhi di un caldo color tek perlustrò l’adunata. Anche lui aveva i capelli neri e intrecciati, come la donna, ma non altrettanto lunghi. Era bellissimo.
Mentre ci si avvicinava, un suono imprevisto diffuse ondate di sconvolgimento nella folla degli astanti: il battito di un cuore, accelerato dallo sforzo.
Alice spiccò un salto leggero per superare i confini della foschia sparsa che lambiva il mio scudo e si fermò sinuosa a fianco di Edward. Mi sporsi a toccarle il braccio; Edward, Esme e Carlisle fecero altrettanto. Non c’era tempo per altri tipi di benvenuto. Jasper e gli altri la seguirono attraverso lo scudo.
Tutto il corpo di guardia osservò con occhi pieni di congetture i nuovi arrivati, che attraversavano senza alcuna difficoltà il confine invisibile. I più robusti, Felix e gli altri come lui, concentrarono lo sguardo improvvisamente speranzoso su di me. Non erano sicuri di cosa il mio scudo sapesse respingere, ma ora era chiaro che non avrebbe fermato un assalto fisico. Non appena Aro avesse dato il segnale, si sarebbe scatenato l’attacco, con me per unico obiettivo. Mi chiesi quanti ne sarebbe riusciti ad accecare Zafrina e se questo li avrebbe rallentati. Abbastanza perché Kate e Vladimir togliessero di mezzo Jane e Alec? Non chiedevo di meglio.
Edward, nonostante la concentrazione nell’assalto che stava per sferrare, s’irrigidì furioso in reazione ai loro pensieri. Si controllò e rivolse di nuovo la parola ad Aro.
«Nelle ultime settimane Alice ha cercato per conto suo dei testimoni», disse all’anziano. «E non è tornata a mani vuote. Alice, perché non ci presenti i testimoni che hai portato con te?».
Caius ringhiò. «È finito il tempo concesso alle testimonianze! Aro, deciditi a votare!».
Aro alzò un dito per tacitare il fratello e incollò gli occhi al viso di Alice.
Alice fece un passo avanti con grazia e presentò gli sconosciuti. «Lei si chiama Huilen e lui è suo nipote Nahuel».