Jacob gli scoccò un gran sorriso.
«Sono stati i lupi a fermarli, prima di tutto», dissi.
«Di sicuro», convenne Jacob.
«Proprio così», annuì Edward. «Altra visione senza precedenti, per loro. I veri Figli della Luna si muovono raramente in branco, non riescono a controllarsi molto. Non erano preparati alla sorpresa di sedici enormi lupi irreggimentati. Caius ha davvero il terrore dei licantropi. Ha quasi perso uno scontro con uno di loro, qualche migliaio di anni fa, e non l’ha mai dimenticato».
«Quindi esistono dei veri licantropi?», chiesi. «Con la luna piena e le pallottole d’argento e tutte quelle storie?».
Jacob sbuffò. «"Veri". E io cosa sono, immaginario?».
«Hai capito benissimo».
«Sì, la luna piena è una storia vera», disse Edward. «Quella delle pallottole d’argento, no: è solo una leggenda nata perché gli umani si sentissero in grado di fronteggiarli. Non ne rimangono molti. Caius li ha fatti cacciare fin quasi all’estinzione».
«Non ne hai mai parlato perché...?».
«Non ce n’è mai stata occasione».
Alzai gli occhi al cielo e Alice rise, sporgendosi in avanti — era infilata sotto l’altro braccio di Edward — per farmi l’occhiolino.
La ricambiai con un’occhiataccia.
A nessuno volevo bene come a lei, naturalmente. Ma ora che mi rendevo davvero conto che era tornata a casa, e che la sua diserzione era stato un semplice stratagemma per far credere a Edward che ci avesse abbandonati, cominciava a montarmi una certa rabbia. Alice mi doveva delle spiegazioni.
Lei sospirò. «Sputa il rospo, Bella».
«Come hai potuto farmi questo, Alice?».
«Era necessario».
«Necessario!», sbottai. «Eri riuscita a convincermi che saremmo morti! Sono stata uno straccio per settimane».
«Poteva finire così», rispose calma. «Nel qual caso dovevi essere preparata a salvare Nessie».
Per istinto, strinsi più forte la piccola, che ora mi dormiva in braccio.
«Ma sapevi che c’erano anche altre possibilità», l’accusai. «Sapevi che qualche speranza esisteva. Ti è mai venuto in mente che avresti potuto dirmi tutto? Ho capito che Edward, per via di Aro, doveva credere che fossimo spacciati, ma almeno a me avresti potuto dirlo».
Mi guardò per un attimo, meditativa. «Non credo proprio», disse. «Non sei una brava attrice, punto e basta».
«Cioè il problema era il mio talento nella recitazione?».
«Non esagerare, Bella. Hai idea di quanto sia stato complicato organizzare tutto? Non ero nemmeno sicura che esistesse qualcuno come Nahueclass="underline" sapevo solo che stavo cercando qualcosa che non avrei potuto vedere! Prova a immaginare di individuare un punto cieco: non è certo la cosa più facile che mi sia capitato di fare. In più dovevamo inviare qui i testimoni principali, come se non avessimo già avuto abbastanza fretta. E poi ho dovuto tenere gli occhi aperti in continuazione, nel caso tu decidessi di mandarmi altre istruzioni. Un giorno o l’altro mi dirai cosa c’è a Rio. Ma, ancora prima, dovevo prevedere tutti i trucchi che avrebbero potuto utilizzare i Volturi e trasmetterti ogni indizio in mio possesso per prepararti alla loro strategia... tutto nelle poche ore che mi rimanevano per abbozzare ogni possibilità. Ma principalmente, dovevo garantirmi che foste tutti convinti che vi avessi mollati: Aro doveva essere certo che non aveste assi nella manica, altrimenti non si sarebbe mai lasciato una scappatoia del genere. E se credi che non mi sia sentita un’idiota...».
«Okay, okay!», la interruppi. «Scusa tanto! Lo so che è stato terribile anche per te. È solo che... be’, mi sei mancata da morire, Alice. Non farmi mai più una cosa del genere».
La sua risata squillante risuonò per la stanza e sorridemmo nel risentire quella musica. «Anche tu mi sei mancata, Bella. Quindi perdonami e cerca di accontentarti di essere la supereroina della giornata».
Adesso ridevano tutti, mentre nascondevo imbarazzata il viso fra i capelli di Nessie.
Edward riprese ad analizzare ogni cambiamento d’intenzioni e di controllo che si era verificato quel giorno nel prato, insistendo col dire che era stato il mio scudo a far fuggire i Volturi con la coda fra le gambe. Il modo in cui tutti mi guardavano mi metteva a disagio. Persino Edward. Era come se nel corso della mattina fossi cresciuta di tre metri. Cercai di ignorare gli sguardi ammirati e di concentrarmi sul visetto di Nessie che dormiva e sull’espressione immutata di Jacob. Per lui sarei sempre stata solo Bella e questa consapevolezza mi dava un grande sollievo.
Lo sguardo che era più difficile ignorare era anche quello che mi confondeva di più.
Nahuel, mezzo umano e mezzo vampiro, non mi aveva mai conosciuto prima. Per lui, me ne andavo in giro a sgominare attacchi di vampiri tutti i giorni e la scena nel prato non era stata niente d’insolito. Eppure quel ragazzo non mi toglieva gli occhi di dosso. O forse guardava Nessie. Anche quella possibilità mi metteva a disagio.
Lui non poteva certo ignorare che Nessie era la sola femmina della sua specie che non fosse sua sorellastra.
Probabilmente Jacob non aveva ancora pensato a quell’aspetto della situazione e speravo che non lo facesse tanto presto. Dopo un giorno come quello, ne avevo più che abbastanza di antagonismi e tensioni.
Alla fine gli altri esaurirono le domande da fare a Edward e la discussione si spezzettò in gruppetti più ridotti.
Mi sentivo stranamente stanca. Non avevo sonno, naturalmente, ma era come se la giornata fosse durata fin troppo. Volevo un po’ di pace, un po’ di normalità. Volevo mettere Nessie a dormire nel suo letto; volevo vedere le pareti della nostra casetta intorno a me. Guardai Edward e per un attimo mi sentii quasi capace di leggere nel pensiero. Capivo che si sentiva proprio nello stesso modo. Pronto per godersi un po’ di pace.
«Portiamo Nessie...».
«Buona idea», convenne rapido. «Sono sicuro che non ha dormito bene la notte scorsa, con tutto quel russare».
Sorrise a Jacob.
Jacob alzò gli occhi al cielo e poi sbadigliò. «È da un po’ che non dormo in un letto. Credo che mio padre si emozionerà tantissimo ad avermi di nuovo sotto il suo tetto».
Gli sfiorai una guancia. «Grazie, Jacob».
«Sai che puoi contare su di me, Bella. L’hai sempre saputo».
Si alzò, si stiracchiò, diede un bacio sulla testa a Nessie e poi a me. Infine, diede un pugno sulla spalla a Edward. «Ci vediamo domani. Mi sa che adesso sarà tutto un po’ noioso, no?».
«Lo spero ardentemente», rispose Edward.
Non appena fu uscito, ci alzammo; mi mossi con attenzione in modo da non sballottare Nessie. Ero profondamente grata di vederla dormire bene. Quelle piccole spalle avevano sopportato un peso immenso. Era ora che potesse essere di nuovo bambina: protetta e al sicuro. Che si godesse ancora qualche anno d’infanzia.
L’idea di pace e di sicurezza mi ricordò qualcuno che non provava sempre quelle sensazioni.
«Ah, Jasper?», gli chiesi mentre ci dirigevamo verso la porta.
Era schiacciato fra Alice ed Esme, e in un certo senso sembrava più essenziale del solito nel quadro familiare. «Sì, Bella?».
«Sono curiosa: perché J. Jenks si spaventa a morte solo sentendo il tuo nome?».
Jasper ridacchiò. «Per la mia esperienza, certi rapporti di lavoro funzionano meglio se sono motivati più dalla paura che dal guadagno».
Feci una smorfia, ripromettendomi che da quel momento in poi certi incarichi sarebbero spettati a me, per risparmiare a J. l’attacco di cuore che era sicuramente in arrivo.
Ci baciarono, ci abbracciarono e noi augurammo la buona notte alla nostra famiglia. L’unica nota stonata era di nuovo Nahuel, che ci guardava intensamente, come volesse seguirci.
Attraversato il fiume, ci incamminammo con un passo appena più veloce di quello umano, senza fretta, tenendoci per mano. Ero stufa di essere ostaggio delle scadenze, volevo prendermela con calma. Edward probabilmente era d’accordo.