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Sulla pelle sentii un’altra ondata di calore.

Assaporai profondamente l’aria e mi avvicinai agli specchi, sopra il lungo mobile del bagno. Avevo proprio la faccia di una che aveva passato la giornata a dormire sull’aereo. Trovai la spazzola e l’affondai senza pietà nella mia chioma aggrovigliata fino a sciogliere tutti i nodi, a costo di riempire le setole di capelli. Mi lavai i denti con cura, due volte. Poi passai al viso e alla nuca, che spruzzai d’acqua perché sembrava febbricitante. La sensazione piacevole mi convinse a rinfrescarmi anche le braccia e infine ad arrendermi alla doccia. Sapevo che era ridicolo farsene una prima di un tuffo, ma avevo bisogno di calmarmi e l’acqua calda faceva al caso mio.

Anche depilarmi un’altra volta le gambe pareva un’ottima idea.

Appena finito, presi un grosso asciugamano bianco dal piano e mi ci avvolsi.

A quel punto affrontai un dilemma che non avevo considerato. Cosa avrei indossato? Il costume da bagno ovviamente no. Però mi sembrava sciocco infilarmi di nuovo i vestiti. Non volevo nemmeno pensare a ciò che Alice mi aveva messo in valigia.

Il mio respiro ricominciò ad accelerare e mi tremavano le mani; e tanti saluti all’effetto rilassante della doccia. Iniziò a girarmi la testa, come se stessi per subire un attacco di panico in piena regola. Mi sedetti sulle piastrelle fresche del pavimento, avvolta nel telo, la testa fra le mani. Pregai che Edward non decidesse di venire a cercarmi prima che mi riavessi. Sapevo come avrebbe reagito se mi avesse vista crollare in quel modo. Non ci avrebbe messo molto a convincersi che stavamo facendo un errore.

Per conto mio, non stavo impazzendo perché pensavo che stessimo commettendo un errore. Niente affatto. Stavo impazzendo perché non avevo la minima idea di cosa fare, avevo paura di uscire dalla stanza e di affrontare l’ignoto. Men che meno vestita di lingerie francese. Ero consapevole di non essere ancora pronta per una cosa del genere.

Mi sentivo esattamente come se avessi dovuto recitare davanti a una platea di diecimila persone senza sapere quali fossero le mie battute.

Come facevano le persone a cancellare i propri timori e fidarsi ciecamente di un altro, malgrado tutte le sue imperfezioni e paure, e senza una dedizione assoluta come quella che Edward mostrava per me? Se là fuori non ci fosse stato Edward, se non avessi sentito la certezza, in ogni singola cellula, che mi amava quanto amavo lui — senza condizioni, senza ripensamenti, e, a dirla tutta, senza alcuna razionalità — non sarei mai riuscita ad alzarmi dal pavimento.

Eppure, là fuori c’era Edward, perciò mi dissi «Non essere codarda» e, a stento, mi rialzai. Stringendomi l’asciugamano addosso, marciai determinata fuori dal bagno. Passai davanti alla valigia piena di pizzi e al lettone senza degnarli di uno sguardo. Oltrepassai la porta a vetri aperta, dirigendomi verso la sabbia fine come cipria.

Tutto era in bianco e nero, perché la luna dissolveva qualsiasi colore. Camminai lenta sulla sabbia morbida e calda, fermandomi accanto all’albero ricurvo sul quale Edward aveva appeso i vestiti. Appoggiai una mano alla corteccia ruvida e controllai che il respiro fosse regolare. Almeno quanto bastava.

Osservai le lievi increspature dell’acqua, nere nell’oscurità, in cerca di Edward.

Non fu difficile trovarlo. Era fermo, di spalle, immerso fino alla vita nell’acqua notturna, scrutava la luna ovale. La fioca luce trasformava il colore della sua pelle nel bianco perfetto della sabbia e della stessa luna, e rendeva i suoi capelli bagnati neri come l’oceano. Era immobile, le mani a palmo in giù sull’acqua; i flutti leggeri gli si frangevano contro come fosse una roccia. Osservai il contorno levigato della schiena, le spalle, le braccia, il collo, la sua figura perfetta...

Il fuoco non era più una vampata sulla mia pelle, ora lo sentivo lento e profondo; il suo calore sciolse la goffaggine, l’indecisione e la timidezza. Scivolai dall’asciugamano senza esitare, lo lasciai appeso all’albero assieme ai vestiti e camminai sotto la luce bianca; anch’io sembravo chiara come la sabbia simile a neve.

Mentre mi avvicinavo alla battigia non udii il rumore dei miei passi, che probabilmente non sfuggì a Edward. Ma non si voltò. Lasciai che l’andirivieni delicato delle onde s’infrangesse sulle caviglie e scoprii che la temperatura era davvero alta e l’acqua calda come quella di una vasca da bagno. Vi entrai camminando con cautela sul fondo invisibile dell’oceano, sebbene non fosse necessario: il fondale era perfettamente liscio e declinava con dolcezza verso Edward. Avanzai attraverso la corrente senza peso fino a raggiungerlo e con delicatezza misi la mia mano sulla sua, che sfiorava l’acqua.

«Bellissima», dissi alzando lo sguardo verso la luna.

«Niente male», rispose impassibile. Si voltò lentamente verso di me; il movimento produsse increspature che s’infransero sulla mia pelle. I suoi occhi sembravano d’argento, sul volto color del ghiaccio. Voltò la mano e intrecciò le sue dita alle mie, sotto la superficie dell’acqua. Era abbastanza calda perché il contatto con la sua pelle fredda non mi provocasse la pelle d’oca.

«Però io non userei la parola "bellissima"», aggiunse. «Non se il confronto è con te».

Abbozzai un sorriso, sollevai la mano libera — che non tremava più — e la posai sul suo cuore. Bianco su bianco: per una volta senza differenze. Il mio tocco caldo gli provocò un sussulto impercettibile. Il suo respiro si fece più agitato.

«Ho promesso che ci avremmo provato», sussurrò, improvvisamente nervoso. «Se... se faccio qualcosa che non va, se ti faccio male, dimmelo subito».

Annuii con espressione seria, senza staccare gli occhi dai suoi. Mi avvicinai fra le onde fino a posare il capo sul suo petto.

«Non temere», mormorai. «Noi ci apparteniamo».

Fui immediatamente travolta dalla verità delle mie stesse parole. Quel momento era così perfetto, così giusto, che per nulla al mondo potevo dubitarne.

Le sue braccia mi avvolsero stringendomi a lui, estate e inverno. Era come se ogni terminazione nervosa del mio corpo sprizzasse elettricità.

«Per sempre», aggiunse Edward e mi trascinò con dolcezza verso acque più profonde.

Il sole caldo sulla mia schiena nuda mi svegliò il mattino dopo. Era tarda mattinata, forse pomeriggio. Eppure tutto, esclusa l’ora, mi era chiaro, sapevo esattamente dove mi trovavo: nella stanza luminosa con il grande letto bianco, mentre il sole risplendeva dalle porte aperte. Le nuvole del baldacchino rendevano più tenue la luce.

Non aprii gli occhi. Ero troppo felice per cambiare anche il minimo dettaglio. Gli unici suoni erano le onde, il nostro respiro, il battito del mio cuore.

Mi sentivo a mio agio persino sotto il sole cocente. La pelle fredda di Edward era l’antidoto perfetto al calore. Distesa sul suo petto ghiacciato, avvolta nelle sue braccia, mi sentivo tranquilla e spontanea. Chissà da dove era venuto il panico della sera prima. In quel momento, tutte le mie paure sembravano sciocche.

Le sue dita accarezzarono lievi il profilo della mia schiena e capii che si era accorto che ero sveglia. Restai a occhi chiusi e lo abbracciai forte.

Non parlò; le sue dita si muovevano su e giù lungo la mia schiena, quasi senza toccarla, e tracciavano disegni leggeri sulla pelle.

Mi sarebbe piaciuto restare così per sempre, senza mai modificare quell’istante, ma il mio corpo non la pensava allo stesso modo. Risi del mio stomaco impaziente. Era quasi banale avere fame dopo tutto quello che era successo la notte precedente. Come atterrare dopo un volo a grandi altezze.

«Che c’è di buffo?», mormorò Edward, senza smettere di accarezzarmi. Il suono della sua voce, seria e roca, riportò con sé un’ondata di ricordi notturni e mi sentii arrossire.

In risposta alla domanda, il mio stomaco ruggì. Non potei fare a meno di riderne. «Che più di tanto non si può fingere di non essere umani».